Io ad Alessandro Del Piero devo tutto. Tutto. La mia infanzia si è aggrappata al suo esempio, a quegli occhi buoni e ai sorrisi timidi, a quel destro a giro che è diventato un tiro tutto suo, “alla Del Piero” in gergo, alla fantasia, alla gratitudine, ai pochi fronzoli e alla tanta pazienza, dopo un infortunio lunghissimo, nell’attesa di un gol su azione che non arrivava mai.

Devo tutto all’umiltà di chi scende in serie B da Campione del Mondo, di chi mette il coraggio nero su bianco con una firma che non conosceva cifre, devo tutto al gol con la Fiorentina, al gol di tacco nel derby, a quello nel sette nella magica notte di Tokyo, al 4° posto di un Pallone d’Oro che in quell’anno aveva inciso su di sé solo un nome ed un cognome ma nessuna polemica al seguito e probabilmente nessuna poltrona vuota, che nei tempi moderni sa tanto di scaramuccia per riempire pagine social, ma che tradotto equivale ad una maleducazione che mai avrebbe sfiorato i pensieri di certi Campioni di quegli anni: una volta non ce lo si sognava nemmeno di non dire grazie anche quando sapevi di aver ricevuto meno di quanto avresti meritato.

E poi devo tutto a quella linguaccia, alle parole taciute, agli applausi sarcastici dopo un pugno in faccia, ai gol sbagliati in una finale europea e a quel destro mondiale che abbatté una Germania intera, devo tutto a quella fascia al braccio, alla leggerezza con cui le cose difficili sembravano facili, all’entusiasmo di un bambino, al gol con la Lazio e alla standing ovation di Madrid. Devo tutto a quel giro di campo, alle lacrime di quel giorno, all’abbraccio con mio padre e alla telefonata con mio zio, alla fine di una storia che in quel 13 maggio 2013 capì proprio che non c’era nessuna fine, che ci sono legami di cui si conosce sempre e solo il principio.

Ne è passato di tempo da quel giorno, e ne è passato ancor di più da quel Foggia – Juventus del 1993, così tanto che oggi Alessandro Del Piero non ha più solo “due stelle” sulla maglia, ne ha 50, o se volete 5 x 10 cucite sul cuore. Per me non c’è Maradona, Pelé, Ronaldo il Fenomeno, Messi o Cristiano Ronaldo che tenga: e non è questione di non essere oggettiva, è che penderò sempre dalla parte delle emozioni ed in tutti i secoli dei secoli, non ci sarà mai nessuno che mi emozionerà tanto quanto Alessandro Del Piero. Amen.

So per certo che la mia passione, il mio amore per questo benedetto, maledetto sport, senza Alessandro Del Piero non sarebbe stata la stessa cosa, ma so anche di aver assistito all’eccezione, alla storia d’amore che “intanto il tempo passa e tu non passi mai”, al lieto fine. Un lieto fine fortemente voluto da chi sa di aver lasciato in quell’orbita un’eredità pesante tanto quanto una maglia numero dieci “da continuare ad esistere affinché ogni bambino che tifi la Juve possa ancora sognare d’indossarla”.

Buon compleanno Alessandro Del Piero, fenomeno di una generazione senza tempo, occhi buoni e sorrisi timidi che proveranno a trovare forma e senso in altri volti, in altri talenti, pur sapendo che “come te, nessuno mai” o, per dirla tutta, “come te, nessuno mai più”.

Mariella Lamonica
foto: oggitreviso.it

Ci sono emozioni che vanno lasciate fluire per percepirne a pieno il reale valore. A volte non basta nemmeno una notte intera per trasformarle in un tangibile discorso, pensi e ripensi ma poi ti lasci andare alla stanchezza, gli occhi si socchiudono e tutto il meglio del mondo resta racchiuso lì. Fateci caso quando andate a nanna la sera, tutto quello che avete vissuto in quel giorno è imprigionato nei vostri occhi, è culla per le cose belle, salvagente per le cose fragili, muro per respingere le ostilità.

Stamattina quando mi sono svegliata ho pensato ai brividi sulla pelle nel non riuscire a staccare i miei occhi da quegli occhi, quelli di Nicolò Martinenghi. Non trovare le parole e vedere la colma misura di una gratitudine irreale e devastante, mi hai scombussolato i piani Nicolò. Più penso a quella gara, a quella medaglia, e più rivedo i tuoi occhi, anche attraverso gli occhialini c’era qualcosa di magico, e c’era già da sabato mattina, quando sei entrato in vasca per le qualificazioni e ti sei guardato intorno con la convinzione giusta di chi, innanzitutto, voleva godersela.

E poi i tuoi occhi prima della semifinale, e ancora gli occhi pre ultimo atto. Per non parlare dei tuoi blocchi all’arrivo, quando guardi il tabellone e ti chiedi “ma sono proprio io?”, quando li alzi al cielo a mani giunte, quando ti godi le interviste, sbirci l’arena attorno, trattieni quasi il respiro come se tutto, di quel momento, dovesse essere dentro di te. Per sempre. Gli occhi mentre abbracci mamma e papà, mentre baci la tua fidanzata. Gli occhi sul podio, ancora increduli, ma lì c’è pace anche per le orecchie, con quell’inno che risuona per la prima volta in terra francese, una cornice intorno di un pubblico che lo canta solo per te, e poi l’Italia, Varese, la tua Varese, che di fronte a qualsiasi schermo si sente d’un tratto in cima all’Olimpo trascinata da una gara magistrale di un ragazzo di 24 anni che si è fatto in anticipo il regalo di compleanno, e che ha colto l’attimo.

Carpe diem. I sogni, a volte, ci passano davanti in un millesimo di secondo, bisogna avere un cuore allenato con i riflessi pronti, altrimenti sfuggono via e non li riprendi più, e chissà poi, se ripassano.

Non è il tuo caso Nicolò Martinenghi, tu sai cosa vuol dire saltare su quel treno quando la destinazione è un viaggio verso l’infinito, tu sai davvero cogliere l’attimo ed i tuoi occhi sono l’istantanea perfetta. Ti auguro che in questi giorni a Parigi tu possa averne ancora di occhi così, azzurro velato gratitudine, mentre li strizzi un po’ ed incastri dentro il “È tutto vero”…che poi sei un generoso e quegli occhi li regali anche noi. Grazie perché ci aiuti ad essere felici. Come te, con te, più di te.

E ci perdonerai, mi perdonerai, se io invece ho lasciato aperte le fontane dell’emozione, se di fronte a quello sguardo e a quel sorriso, non ce l’ho fatta a tenere tutto dentro, lacrime dolcissime di una ricetta dai pochi ingredienti, di cui uno segreto che troppo segreto non è…io lo chiamo libertà, quel segreto, libertà di amare, di lasciarsi condurre dalla passione, libertà di piangere o no, libertà di volare, su quelle onde, dentro e fuori dall’acqua anche con te.
Grazie Nicolò Martinenghi per farmi sentire così magnificamente libera.

Foto Italia Team

LEGGI QUI – LA CERIMONIA D’APERTURA

Quattro ore incollata alla tv, e non poteva essere diversamente, Parigi 2024 chiama, i pazzi sognatori come me, rispondono presente. L’Olimpiade è l’Olimpiade, è più del sogno con la S maiuscola, è quello che non osi pensare, è l’inimmaginabile, è un mix di roba che senti dentro e per cui non hanno ancora inventato le parole, chissà che magari quest’edizione non riesca a coniarne di nuove.

Io in Parigi 2024 ci ho sperato tanto, ci ho creduto tanto, non ho bisogno di raccontare ciò che ho fatto o non ho fatto, il tempo è galantuomo dicono, speriamo anche un po’ galantdonna, aggiungo io. Se non è successo ora è perché è giusto che sia così, ma l’Olimpiade resta l’apoteosi dei miei sogni e Los Angeles 2028 non mi pare un postaccio, rinunciare è un verbo che non m’appartiene, quel sogno lo sposto solo un po’ più in là. Detto ciò parentesi chiusa, non dirò più nulla in merito, ho solo voglia di godermi Parigi 2024. E allora, si parte.

Questa cerimonia è stata molto divisiva, ho letto veramente di tutto. Io dico la mia e parlo di un crescendo di emozioni. Idea pazzescamente originale, fatta di tanti elementi che hanno fatto da filo conduttore e per di più andata in scena per la prima volta al di fuori di uno stadio. A tratti mi è sembrata dispersiva, è vero, concordo con chi parla di atleti un po’ poco coinvolti, diciamo che se ci fosse stata una passerella finale con i portabandiera a prendersi la scena ai piedi della Torre Eiffel, forse sarebbe stato qualcosa di molto simile alla perfezione.

Resta il fatto che di cose belle ce ne sono state tante: Lady Gaga ha spaccato, poi la passerella di Bebe Vio, i quadri partiti dal prevedibile Liberté, Égalité e Fraternité, salvo poi passare da un sorarité, a sottolineare come per la prima volta ai giochi ci siano atleti e atlete equamente suddivisi, i cuori nel cielo di Parigi, ma d’altronde è pur sempre la città dell’amore, e ancora artisti e trampolieri, dj e balli scatenati, un mix di modernità e tradizione, ed un messaggio di pace con Imagine magistralmente cantata da Juliette Armanet, una ex giornalista culturale, ridisegnatasi cantautrice, capace di prendere per mano la Francia ed il mondo intero con una voce sublime, condurli in un viaggio di fiori che accarezzano la pelle e disegnano arcobaleni. Il resto lo ha fatto la Senna in notturna, splendente in quei giochi di luci e d’acqua. We stand and call for peace.

E poi il finale. Quaranta minuti di gloria mentre il cielo di Parigi 2024 non vuole smettere di commuoversi, Zidane che passa la fiamma a Nadal, un Re che questa città l’ha conquistata più volte e che forma il quartetto internazionale con Serena Williams, Carl Lewis e Nadia Comaneci, ulteriore passaggio di consegne agli atleti francesi, eccellenze assolute. Da Manadou a Lavillenie, menzione particolare al ciclista centenario Charles Coste che vinse nell’inseguimento a squadre a Londra 1948, poi la chiusura è toccata alla velocista Marie-José Pérec e al judoka Teddy Riner. Le fiamme volano in cielo, il braciere è un’immensa mongolfiera che s’innalza guidata dal vento, dai sogni, dalle speranze di tutti coloro che rivolgono uno sguardo a quel bagliore, cullati dalla divina Celine Dion: torna in scena dopo 4 anni e lo fa con la strapotere di un dono in gola ancora cristallino, a dispetto di una vita che le sta giocando da tempo un brutto scherzetto.

E poi c’è l’Italia, che dire…per me le immagini impresse sono due: i tempi scenici di un team che cerca di “nascondersi” salvo poi svelarsi in alto al richiamo della Nazione, casinisti come sempre, con i sorrisi e l’energia di Tamberi – Errigo devastanti e contagiosi, e l’immagine del Presidente Sergio Mattarella, che incurante di una pioggia copiosa, correda il suo abito di una mantellina improbabile ed attende i “suoi” ragazzi, si alza in piedi e saluta, con quel sorriso che sa di garanzia assoluta ed immensa riconoscenza. Se penso a quel “Ho disobbedito al protocollo, ho partecipato per due sere di fila agli Europei di Roma, ma vi assicuro che ne è valsa la pena“, ancora mi commuovo. Che Presidente, ragazzi!

Ora, però, viene il bello: team Italia facci divertire e qualsiasi cosa accada…INSIEME.

Ho un gruppo su whatsapp che si chiama 5ªB. È la mia 5ªB di tanti anni fa. Quanti? Venti, vent’anni fa. Sbam.
Questa mattina Andrea ha scritto: “Ragazzi, 20 anni fa preparavamo la maturità, ve lo ricordate?”, “Che Ansia” la mia prima risposta.

Ero una ragazzina, mannaggia, piena di sogni e belle speranze, avevo tante idee in testa e mai una giusta, avevo sempre qualche parola di troppo, uno scherzo da combinare a qualcuno, un’allergia al diritto (anche se poi i miei diritti me li sono sempre presi tutti), ed un gelato tra le mani, mentre andavo di corsa, sempre di corsa e chissà dove. Avevo tanti dubbi ed altrettante domande senza risposta, ma una cosa la sapevo, e l’ho sempre saputa: avrei fatto la giornalista. A qualunque costo. Per me quella maturità era solo un rito di passaggio da togliermi dalle scatole quanto prima, non me la sono goduta affatto, io pensavo all’università, al test di Scienze della Comunicazione, a tutto quello che sarebbe stato poi, a voler diventare grande. L’ho sempre avuto questo difetto, guardare oltre senza godermi a fondo il momento…devo dire che vent’anni dopo qualcosa l’ho imparata. Ma sono fatta così: mi basta una finestrella per andare alla ricerca di nuovi orizzonti, per vedere le mie ambizioni disegnare in cielo voli pindarici, per colorare con toni accesi anche le figure più astratte della mia anima.

Vent’anni fa, dicevo, era tutta un’altra storia ma anche in questo doppio decennio, di storia, ne ho scritta un’altra bellissima, ed è la mia. Lo so che le storie si dovrebbero raccontare dall’inizio ma io voglio partire dalla fine, da oggi. Prometto commenti non troppo smielati ed un milione e mezzo di lacrime circa, almeno finché sono riuscita a contarle.
“Accredito?”, “Mariella Lamonica”, prego signorina si accomodi. Di fronte a me il Quirinale, alle mie spalle, senza quasi saperlo, mi stavo lasciando 20 anni di sacrifici e passione. I passi in maniera inversamente proporzionale ai battiti del mio cuore, andavano lenti, pronti ad assecondare la mia voglia di gustarmi tutto. A pieni polmoni e testa alta ho attraversato i vialetti, raccolto i saluti composti delle guardie, annusato i particolari, mi sono accomodata nei posti riservati alla stampa e ho provato a farmi largo in un vortice di emozioni che sono riuscita a tenere a bada solo per i primi 25 secondi netti, poi mi hanno travolto ed ho lasciato loro il pieno comando dei miei sorrisi, dei miei sguardi e della mia pelle.

A pochi passi dalla squadra Olimpica prossima a partire per Parigi, a pochi passi dalle parole del Presidente Malagò e del Ministro Abodi, vicina, vicinissima, al discorso encomiabile del Presidente Pancalli, rivestita ed investita dalle parole di Arianna Errigo, Gianmarco Tamberi, Luca Mazzone ed Ambra Sabatini, dentro, totalmente dentro, le parole del Presidente Sergio Mattarella che ancora una volta ha dimostrato d’essere innanzitutto un uomo d’altri tempi dall’inestimabile spessore umano, e che poi, ha quasi scherzato con la sua carica per mettersi al pari di un “tifoso elegante”, ma appassionato, mai sazio e mai domo di fronte alle storie azzurre.
Mi auguro che possiate tornare con un bus pieno zeppo di atleti medagliati ma se così non dovesse essere non toglierà nulla ai vostri percorsi, sono certo che darete il meglio di voi stessi e ci renderete orgogliosi di voi“.
Ho commesso un’infrazione alla prassi di protocollo del Quirinale tornando per la seconda serata consecutiva allo Stadio Olimpico per assistere agli Europei di atletica leggera. E ora posso dire che ne è valsa la pena“.

Ha ragione Presidente, ne è valsa la pena. Ne è valsa la pena di scrivere una storia così, come la mia, arzigogolata, stancante, incompresa ai più, fatta di sacrifici e passione, parole chiave in un percorso che ha preso la direzione dei sogni e non è più tornato indietro. La giornata di oggi me la porterò dentro e addosso per sempre. Ma la cosa più bella è che tutto ciò non è nemmeno la fine di questa storia che dura da vent’anni, ogni traguardo sarà sempre e solo l’inizio.

Ho creduto ad un sogno, ho dato retta a quella bambina sbarazzina con gli occhiali ed i capelli ricci che ho dentro, e ho fatto bene. I sogni a volte, diventano realtà.


Day 5 – Devo essere proprio noiosa quando racconto quello che vivo e come lo vivo, ma non posso nemmeno discostarmi troppo dallo sguardo che i miei occhi hanno sulla realtà, da ciò che assorbono portandolo in un’orbita parallela, quella dimensione intoccabile a chiunque ma non dal vento. Il vento è l’unico compagno di viaggio in questo pianeta oscuro, accarezza i sogni e riesce sempre a soffiare per potarli un po’più in là, e più in là è un posto bellissimo.

La prima immagine che rimembro di questa lunga giornata è una scolaresca di piccolissimi alunni vestiti di tutto punto con magliettina bianca, si mettono in fila per due e varcano lo Stadio Olimpico. Poi eccoli lì, in un pezzettino di curva che trasformano in nuvola bianca al contagioso grido di “Italia, Italia”.

La seconda immagine sono gli occhi di Sibilio: piangere alle 21.07 non dovrebbe essere permesso dalla legge. Ma se ti vesti d’argento dopo un 400 hs in cui abbatti il record italiano di Fabrizio Mori che durava da 23 anni, se oltre quel traguardo sei lacrime, storia, forze stremate, l’abbraccio con il capitano, il primo dei normali dietro l’alieno Warholm, è perché il velo sugli occhi è polvere magica che rende perfetta una serata indimenticabile.

La terza immagine sono le braccia al cielo di Nadia Battocletti e la standing ovation. Dopo 10 mila metri nemmeno l’Olimpico ce la fa a stare al proprio posto, si alza in piedi, si spella le mani, strabuzza gli occhi, Battocletti è d’oro grazie alla capacità incredibile di rendere semplici le cose difficili, è una semplicità che miete nello sguardo, nella calma con cui si presenta ai microfoni post fatiche europee, nella compostezza con cui fa il giro d’onore, nell’abbraccio con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

E allora eccola la quarta immagine, il Presidente. Ottantatré anni e restare svegli fino alle 23 già non è da tutti, diciamolo. Arriva quasi puntuale e si gode la serata, si prende la scena giusto il tempo dell’Inno di Mameli, poi sa che Roma, questa sera, non ha occhi che per i suoi eroi azzurri e si fa da parte con galanteria, ma non dimentica di rispondere con un inchino ad un altro inchino, non dimentica di lodare chi sta portando in alto il tricolore azzurro.

La quinta immagine è la composizione di un quadro astratto d’inestimabile valore: Gimbo Tamberi, olio su tela. 
È sempre una storia nella storia. Entra in pista e parte lo show, aizza il pubblico, strizza l’occhio alla telecamera, va alla ricerca di Mattarella e gli manda un saluto commosso, indossa la sua divisa preferita, abbraccia Lando e Sottile, ed inizia a volare. A 229 centimetri da terra il volo s’interrompe per due volte, le spalle sono già appoggiate al muro, e l’unica via di fuga è non cadere nell’affanno e aggrapparsi alla pazienza, una pazienza fatta di consapevolezze. Spalle al muro Gimbo non molla mai. Mai. Ma proprio mai. Spalle al muro è solo un modo per prendere la rincorsa e volare ancora più su, sospinto dal fiato sospeso di una curva che non ha occhi che per lui. Alla voce morire e risorgere capeggia un solo nome e no, non è quello che religiosamente parlando tutti pensano. È quello di un marchigiano che nelle difficoltà si esalta, vezzo tipico dell’italiano vero. E allora Gimbo Tamberi vola, e vola a 231, vola a 234, strabilia a 237, piazzando la miglior misura della stagione a livello mondiale. Non ci si crede. S’inventa lo show di un finto infortunio e di una molla in una scarpa, 30 secondi di panico puro in cui l’Italia trema, mentre quel matto da legare gongola. Si è di nuovo ripreso l’Europa, in attesa del mondo, in attesa dell’Olimpo, e lo ha fatto nell’unico modo che conosce, tra talento e follia.

Date un’occhiata alla luna stanotte, le donerà persino la mezza barba…da quelle parti, e solo da quelle parti, potrete trovare Gimbo Tamberi.

Buonanotte Roma

Foto European Athletics

QUI IL RIASSUNTO DEL DAY 4

Cari Europei di atletica, da dove partiamo stasera? Partiamo dalla capatina al negozio: che fai non la compri la maglietta di Roma 2024? La compri eccome, e già la immagini incorniciata e piena di firme, da buona teenager sempre viva dentro. Fuori dallo stadio c’è una sana aria di festa, tra un panino ed una birra e la caccia al gadget di turno, con il sole che fa capolino dando incoraggianti segnali d’estate. 
Passo dopo passo sei di nuovo all’ingresso e pensi, “è ancora più bello di ieri”, non sembra possibile, ma è così per davvero.
E da lì via con quelle stramaledette emozioni, le provi una volta e ne vuoi sempre di più, non ti accontenti mai. Creano dipendenza.

Ci provano nei 200 metri Siragusa e Kaddari, niente finale per loro, ci provano Bruni e Molinarolo nell’asta, ma quell’asticella là in alto ad un certo punto diventa barriera insormontabile, il materassone culla e consola, come l’abbraccio del pubblico; ci prova, ci crede, fa sperare tantissimo Luca Sito. Il giro di pista è un giro d’onore che a 21 anni, pulito e sfacciato allo stesso tempo, vivi con orgoglio e coraggio, ma il coraggio a volte basta per sparigliare le carte e solleticare i big, poi ti frega sul traguardo quando arriva per primo insieme al cuore ma lascia indietro le gambe. È 5° posto ed uno stadio intero che canta “Luca, Luca”. Sito è uomo adulto, da qui non si torna più indietro. 
Zoghlami nei 3000 siepi è una bomba ad orologeria, ma esplode troppo presto, l’all-in della serie “Scappo e vediamo se mi prendono” non ha funzionato, tutta esperienza da mettere in saccoccia. 

Tocca di nuovo ai decathleti. Lasciatemi fare una domanda: ma il fegato dei decathleti quanto è grosso? Più o meno di quello dei peggiori frequentatori dei bar del Bronx? Chiedo eh. Perché loro fanno tutto. Ma tutto. Servono i pop corn al bar, passano dagli spogliatoi per una pulitina, aizzano il pubblico, e nel mezzo ci piazzano pure 10 gare in pochi giorni. Immensa stima per Dario Dester e Lorenzo Naidon, portacolori azzurri dal fegato enorme ma anche gambe forti.

“La Notte Vola” cantava Lorella Cuccarini, il volume lo alza Sara “gli occhi della tigre” Fantini: orooooooooooooooooooooooooo! Quel martello che vola fino a 74.18 e lei che voleva prendersi Roma si è presa l’Europa intera. Poi ride e piange, piange e ride ed abbraccia la primatista al mondo, la polacca Wlodarczyk che questa sera si è dovuta inchinare di fronte all’azzurro vivo accecante di quegli occhi fidentini, fari nella notte romana.

Ma non è finita, non è ancora finita, anzi non finisce mai soprattutto quando c’è l’Italia di mezzo. Siamo all’ultima portata di una cena filata via liscia, con un dolce da chef stellato, ma se la torta è servita manca la ciliegina e a guardarla bene persino la targhetta di cioccolato. I 200 metri hanno tutti gli ingredienti per essere dolcissimi, ma c’è un cameriere tedesco che inciampa sul più bello: Hartmann, uno dei favoriti, viene tradito dalla tensione e commette una falsa partenza che gli costa il cartellino rosso, gli altri commensali al tavolo iniziano forse a leccarsi i baffi con largo anticipo, ma la torta, ahinoi, è amara: Filippo Tortu perde l’occasione di mettersi al collo un oro europeo che dopo la straripante semifinale di ieri godeva di tutti i favori dei pronostici, la medaglia è d’argento ma pesa come un macigno sul cuore e su un sogno rimasto a metà, svanito, addirittura, per Fausto Desalu:Quel bronzo poteva essere mio, ho sporcato la corsa sul più bello e perso una grande occasione, ma sono sereno perché so come sto lavorando, perché sono lo stesso atleta di ieri che ha fatto la gara che ha fatto, questo è lo sport, si accetta, non si trovano scuse e si va avanti”.

E allora guardiamo avanti perché il day 5 degli Europei di Atletica vorrà rimpinzare un medagliere che da stasera tocca quota 17 (8 ori), il day 5 crea aspettative fameliche e tra poche ore alzerà il sipario su una lunga giornata pronta ad assumere le sembianze di una sbornia collettiva…inizia a shakerare Gimbo!

Buonanotte Roma

Foto European Athletics

QUI IL RIASSUNTO DEL DAY 3 – EUROPEI DI ATLETICA

Chiudi gli occhi, respira, gira l’angolo, passa a ritirare l’accredito ed affacciati sul vialetto…lo vedi là in fondo e senti già un certo fascino che ti avvolge, diciamoci la verità l’Olimpico è l’Olimpico, e se ci metto che il contorno è quello di una delle città più belle del mondo, sai già che sarà un’altra bella storia. Basterebbe questo per raccontare il mio primo giorno agli Europei di atletica, perché è più forte di me, perché quando respiro un’aria sana di sport e passione, riesco a mettermi alle spalle persino i peggiori malumori delle settimane premestruo.

L’Olimpico prima ti spalanca le porte e poi ti abbraccia, apre lo scrigno e svela uno dei miei primi veri amori, l’atletica. La bellezza del gesto tecnico sportivo per eccellenza io la vedo sempre racchiusa lì, in un’asticella che vibra, nella sabbia dorata che ti sfiora la pelle, nel religioso silenzio che accompagna l’attesa fino allo sparo, quando poi esplode tutto e parte la danza. Questa è l’atletica, gli sforzi di una vita in 10’’, in un centimetro più in su o più in là, nei denti stretti di un finale in cui le gambe non reggono più ma la fatica diventa tua alleata.

Certo poi mettici un Tortu che spara a bomba, la curva pennellata di Desalu, ed i bronzi di Tecuceanu e Dosso, uno acciuffato in rimonta l’altro al fotofinish, mettici il medagliere che tocca quota 15 ed un collega che ti strappa due risate, mettici la pioggia, i campanacci degli svizzeri ed il “tutti pazzi per Ciara Mageean”, mettici, infine, la mixed zone, ed i commenti a caldo, più le dita stanche su di una tastiera che digitano emozioni e le lasciano lì, imperfette come non mai ma leggere come sempre.

Buonanotte Roma 2024, ci vediamo domani. 

Foto European Athletics

È scattata l’ora dei saldi 2024 e dopo un mese di cene, pranzi, aperitivi e colazioni H24 che manco alla Casa Bianca, il minimo che si possa fare è concedersi una bella seduta di shopping terapeutico. Sì perché poco importa se le vostre maniglie dell’amore si siano trasformate in maniglioni antipanico, e poco importata che giriate con il bottone slacciato dalla terza fetta di pandoro con mascarpone consumata alla cena degli amici dell’asilo che non vedevate, appunto, dall’asilo, nel momento in cui scocca l’ora dei saldi approfittarne è il minimo sindacale per iniziare il 2024 con il piglio giusto.

E così, forte della mia autostima cresciuta negli ultimi 5 giorni grazie all’oroscopo di Simon and Star che senza giri di parole ha buttato lì un “Toro voto 10, è il tuo anno”, non potevo esimermi ed in questo primo venerdì di gennaio mi sono armata di tutto il mio charme per regalarmi pochi, pochissimi, quasi nulli, momenti di gloria.

Saldi 2024, mission impossible?

Saldi 2024, davvero una mission impossible? No, nient’affatto. Scordatevi le code chilometriche, scordatevi il questo o quello, scordatevi il “ma forse mi fa grassa”, ho stilato una super guida che vi farà uscire da quei camerini in tempi record come se stesse andando ad un Matrimonio, possibilmente il vostro…certo senza soldi e senza partner ma questo è un altro discorso.

Ora aggiungete una nota alla lista delle 8.267 già presenti sui vostri smartphone, perché a sto giro si svolta.

Sette consigli per lo shopping perfetto

Consiglio numero 1: il BUONUMORE. Se al mattino vi svegliate con il piede sbagliato, state a casa. Senza buonumore vi sta male tutto.

Consiglio numero 2: UOMO RICCO O CARTA DI CREDITO RICCA. Se siete di buonumore riuscite a vedervi come la più figa del reame che manco Biancaneve e vorrete comprarvi pure il braccialetto da un euro dal venditore ambulante nel parcheggio. Non vedo altre soluzioni.

Consiglio numero 3: NON PARCHEGGIATE A CANICATTÌ. Che poi guarda caso piove, guarda caso i capelli si arricciano, guarda caso gli occhiali si appannano, e guarda caso uscite con 92 mila pacchetti che ora che arrivate alla macchina hanno già fatto il primo lavaggio. Ogni riferimento è puramente casuale.

Consiglio numero 4: NEL DUBBIO, COMPRATE. La tattica ci penso e poi ripasso non funziona. Ai saldi non c’è pietà, vi strappano qualsiasi vestito dalle mani, figuriamoci se lo posate un secondo. Rimetterlo a posto significa perderlo. E anche la tattica made in Mary Seven “lo imbosco in fondo o nella pila sbagliata e ripasso al prossimo stipendio”, non funziona. Sia perché al prossimo stipendio sarete comunque povere, sia perché vi costa un litigio con la commessa, sicuro.

Consiglio numero 5: OCCHIO ALLE PUBBLICITÀ INGANNEVOLI. Se leggete “Saldi 2024” fino al 75%, il 75% vale sempre e solo sull’unica t-shirt che non usereste nemmeno per pulire il pavimento di casa vostra dopo un hangover.

Consiglio numero 6: FATEVI I CONTI PRIMA DI ARRIVARE ALLA CASSA. Innanzitutto perché eviterete figure di merda, e poi perché è un attimo rendersi conto che state andando in banca rotta fraudolenta. E se state andando in banca rotta fraudolenta scappate. Non con i pacchi sottobraccio, ci manca solo quello, scappate e chiudetevi in casa e non uscite più mica che cascate in tentazione.

Consiglio numero 7: VESTITEVI COME SE FOSSERO I SALDI 2024 ESTIVI. Temperatura percepita nei negozi 9 mila gradi. E quando vedrete lo scontrino raddoppierà pure.

Saldi 2024, note aggiuntive di vitale importanza

Ancora un paio di appunti per una giornata perfetta.

Le partenze intelligenti. Scordatevi di presentarvi alle dieci del mattino o alle cinque del pomeriggio. La Salerno – Reggio Calabria pare il percorso vita del Parco di quartiere in confronto mentre voi un amico nemmeno troppo intimo di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre in coda per Gerusalemme con all’orizzonte quel jeans a vita bassa ideale per ogni occasione che, inevitabilmente, non sarà della vostra taglia.

Per chiudere: io lo so che Tezenis, Yamamay, Intimissimi, Calzedonia e chi più ne ha più ne metta, abbiano delle cosine sensazionali, ma il completino intimo per una notte di passione solo se avete in rubrica più di 152.727 numeri di uomini (o donne) perché altrimenti, se non altro per la legge dei grandi numeri, la notte di passione non la vedete manco con il binocolo.

Alla luce di questa mini guida, lo shopping “Belen Scansati” è servito. Perché proprio “Belen Scansati?”. Perché quando dicono che lo shopping sia anche una seduta terapeutica, è vero. Perché entrare in un camerino con una pigna di vestiti da 20 o 200 euro non cambia, siete tutto ciò che va oltre quell’etichetta e quel prezzo. E poi guardatevi allo specchio e ditelo forte che siete belle: con il vestito corto, con la tuta, con gli shorts, con il cappotto, in pigiama, truccate, struccate, come vi pare…basta non avere paura degli specchi per scorgere ciò che siete. Viziatevi un po’, concedetevi una terapeutica seduta di shopping e fatelo con leggerezza, a volte basta poco per sentirsi e vedersi belle. Ma belle quanto? Belle tanto, fino alla “Belen, scansati proprio”.

LEGGI ANCHE —> PIUTTOSTO CHE NORMALE…FELICE: GOODBYE 2023

Goodbye 2023, lo dico così, tutto d’un fiato e lo guardo negli occhi quest’anno che se ne va senza sensazioni malinconiche o rabbia o rancori, ma con consapevolezze.

Non sono mai stata una grande amante dei parchi giochi, a Gardaland penso di esserci stata appena 2 volte, soffro un po’ di vertigini, l’ansia prende il sopravvento quando devo salire su giostre probanti che mi fanno perdere contatto con la realtà…eppure io sulle montagne russe ci vivo. E questo 2023 me lo ha spesso ricordato.

Un saliscendi di emozioni e sconvolgimenti, dalle risate ai pianti, dai pianti alle risate, dalle decisioni certe alle titubanze, dai “vorrei ma non posso” ai “vaffanculo, mi gioco tutto”. Così eh. Cinque minuti di straordinaria follia, e poi altri cinque o più di insulsa pigrizia. Se mi guardo indietro non so nemmeno da dove partire, dove raccattare i ricordi e le cose belle, come interpretare le lunghe giornate no. Ma c’è tutto, proprio tutto in questo 2023.

Ho avuto paura.
Ho riso a crepapelle.
Ho viaggiato.
Sono rimasta immobile.
Ho avuto il cuore a pezzi ed il cervello in frantumi.
Ho collezionato domande.
Ho chiesto spiegazioni.
Mi sono data risposte.
Ho mangiato schifezze.
Ho cucinato per me.
Ho preso ago e filo e dato un abito alla mia anima.
Ho camminato all’aria aperta.
Ho consumato il divano.
Ho pianto.
Ho pianto ancora.
Ho pianto di nuovo.
Ho capito che piangere, poi, mi fa stare meglio.
Ho osato.
Ho mandato quelle mail.
Ho viaggiato.
Mi sono arrabbiata.
Ho accolto a braccia aperte nuovi progetti.
Mi sono emozionata.
MI sono maledetta e stramaledetta.
Ho fatto un percorso.
Ho odiato (e la odio tuttora) la mia cellulite.
Ho indossato la gonna.
Ho litigato con gli specchi.
Ho amato, incondizionatamente.
Mi sono sentita amata.
Sono stata amata, probabilmente.
Ho sentito, dopo tanto tempo, il mio cuore battere.
Ho fatto i conti, in tutti i sensi in cui si possano fare i conti.
Ho cantato a squarciagola.
Ho presentato un libro.
Ho fatto ridere la gente.
Ho visto il Golden Gala dal vivo.
Ho girato Firenze in bicicletta.
Ho mangiato la carbonara a Roma. (Adoro).
Sono tornata a casa.
Ho giocato ad Uno per ore ed ore.
Riccardo.
Lorenzo.
Alice.
Aurora.❣️​
Ho avuto coraggio.
Sono stata debole.
E poi forte.
Ho aperto la porta.
Ho fatto l’amore.
Ho letto e riletto le conversazioni su whatsapp.
Ho messo la crema solare.
Ho sognato.
MI sono fatta schifo.
Ho detto la verità, sempre.
Ho osservato le nuvole.
Ho fatto la valigia.
Ho visto Roberto Baggio.
Ho contemplato il letto sfatto.
Ho fatto dei gran casini.
Ho amato le cose semplici.
Ho perso tempo.
Sono stata ferita.
Sono stata delusa.
Sono stata usata.
Ho accettato.
Ho messo punti.
Ho perdonato.
Ho scritto una lettera.
Ho respirato.
Ho fatto figure di merda.
Ho provato imbarazzo.
Non ho perdonato.
Ho sbagliato.
Ho sbagliato ancora.
Ho sbagliato di nuovo.
Ho scritto tanto.
Ho dato fiducia.
Ho ascoltato il silenzio.
Sono stata lì, lì nel mezzo.
Ho avuto pazienza.
Ho guardato delle serie tv.
Ho fallito.
Ho tentato.
Ho sorriso.
Ho fatto l’albero di Natale.
Ho fatto pace.

Goodbye 2023

Trecentosessantacinque giorni di montagne russe senza sosta per scoprire, in fondo, che sono sempre più forte di quello che penso, che la mia scelta è quella di non essere normale ma felice e che non sono sbagliata ma…unica.

“Alla faccia di chi aveva calpestato il suo essere per farne un’altra donna. Lei avrebbe deciso di rimanere lei e, come lei, nessuna al mondo”.

La cosa migliore che possiamo fare quando ci troviamo così vulnerabili in quel processo di rivelazione a noi stessi è offrirci tutta la tenerezza e tutta l’empatia di cui siamo capaci. La nostra più grande salvezza, forse, è essere disposti a metter piede, sia pur per breve tempo, in quelle zone abbandonate in rovina e senza perdono che abbiamo dentro“.

Sono i tuoi straordinari errori che definiscono chi sei“.

Goodbye 2023 e grazie.
Caro 2024, non ti chiedo proprio nulla, dopo un anno così so per certo di essere pronta a tutto, tu lo sai, però, che in te si nasconde il mio sogno più grande.

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Immaginati alle prese con uno di quei sabati pomeriggio in cui l’inverno fuori dalla finestra è gelido ma dentro al tuo cuore trovi persino ghiaccio e neve. Immaginati alle prese con una tazza di tè caldo che tieni fra le mani per provare a scaldarti un po’, mentre il fumo ti appanna gli occhiali ed il naso si arriccia sentendo il profumo di biscotti caldi.
Immaginati anche girovagare tra un negozio e l’altro, in una seduta di shopping che sa più di terapia che di reale esigenza, ed immagina di provare 200 capi che non donano garbo al vostro look, che vi fanno il culo troppo grosso, che “Cosa lo compro a fare tanto non ho occasione di metterlo” e ancora “Questo è l’unico che potrebbe fare al caso mio ma figurati, costa un botto”; poi però c’è un maglioncino insignificante posto in una pila nell’ultimo scaffale in fondo, dal colore non definito, di una forma semplice e senza particolari vezzi, potrebbe star bene con un jeans classico o un leggings nero asciutto, non spicca, ma in quel momento ti rappresenta, lo indossi ed è così caldo, morbido, apatico ma giusto, giusto per te…

…ecco le canzoni non sono forse un po’ così? Non sono maglioni di lana della misura giusta che si prendono cura dei brividi di freddo? Non sono anche solo la possibilità di vedere navigare le emozioni in una melodia?

Io non riesco a smettere di ascoltare l’Inverno, canzone di Angelica Bovo di X-Factor e scritta da Tananai. L’ho indossata al primo ascolto, è il maglione che stavo cercando. Un testo semplice, una voce sublime, una melodia che in altri giorni assomiglierebbe tanto di più ad un coltello sulle vene e che invece in queste settimane così fredde riesce a tenere bada il tremolio, le mani gelide e persino gli occhi socchiusi. L’inverno è un maglione con il collo alto in cui mi rannicchio fino al naso, è una carezza su un volto stanco, è una mano che mi fa i grattini districando i capelli “capriccio” ed ingarbugliati.

Dare un nome alla follia di chi ha sofferto e non si vendica…

Vorrei venire lì dove fa freddo ma non nevica“…dove i gradi sono pochi ma non vanno sottozero, dove qualcosa non torna ma in fondo cambiare stanza o addirittura uscire dalla porta di casa significa percorrere una strada nuova e sconosciuta, trafficata o isolata, insolita e senza orizzonte a portata di mano.

Ho preso a pugni lo specchio”, le ho tentate tutte, questa notte, per far pace con me stessa, per riuscire a scorgere un riflesso che non somigli troppo né alle rughe né ai rimpianti, per asciugare gli occhi e presentarmi lì, al cospetto della mia coscienza, con coraggio ed in pace con me stessa. In una parola, mi sono guardata allo specchio a caccia di conforto e l’ho preteso dall’unica persona che può prendersi davvero cura di me.

Sai pensavo che potrei fare pure una pazzia, di quelle che non si dimentica, sai pensavo che potrei dare un nome alla follia di chi ha sofferto e non si vendica“…il senso di questo pezzo è racchiuso qui, attraversare il dolore e non cercare vendetta, viverlo fino in fondo in una sofferenza composta e poi trasformarlo in una magia prendendosi tutto il tempo di cui si ha bisogno.

“E scusa mi dimenticavo il bello di quei giorni, mi fa male quando non ci sei…”, i giorni belli non vanno dimenticati, ma accettati. Anche se sono acqua passata, anche se così belli, non torneranno.

Anche se è tutto diverso io ti aspetto, ti aspetto“. Il punto non è aspettare lui o lei, il punto non è proprio cosa si aspetta. Saper godere dell’attesa che divide un’emozione dall’altra, breve o lunga che possa essere, intensa o leggera, eccolo il punto.. La felicità e le emozioni sono un contatto, sono il panorama che godi da un punto straordinario in cima al Mondo ma che non dura più di una manciata di attimi, in tutto il resto del tempo scorre la vita.

L’Inverno – Angelica Bove

Sto pensando a dove sei
Fossi in me non chiamerei
E poi che ora è in America

Sto pensando a dove sei
Qui c’è sempre quella luna ed è una luna che si dedica

Volo via, vorrei venire lì dove fa freddo
ma non nevica

Anche se
Anche se è tutto diverso
io ti aspetto, ti aspetto
Ho preso a pugni lo specchio
Sto anche meglio, questa notte non ci porta via l’inverno

Sai pensavo che potrei
fare pure una pazzia, di quelle che non si dimentica
Sai che pensavo che potrei dare un nome alla follia
di chi ha sofferto e non si vendica

Volo via, vorrei venire lì dove fa freddo
ma non sembra

Anche se
Anche se è tutto diverso
io ti aspetto, ti aspetto
ho preso a pugni lo specchio
Sto anche meglio, questa notte non ci porta via

E scusa mi dimenticavo il bello di quei giorni
mi fa male quando non ci sei, ti aspetterò pensandoti

Anche se è tutto diverso io ti aspetto
Ti aspetto

Testo by AngoloTesti

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