365 giorni di non ce la faccio e poi…ce la faccio sempre!
È così che aspetto il 2020, senza quell’attesa bramante tipica di qualche anno fa ma con delle consapevolezze in più.

Arrivo al termine di questi 365 giorni con il fiato corto, stanca, provata, forse poco lucida, ma vissuta: se c’è una cosa che ho imparato dal 2019 è stata proprio quella di tornare ad apprezzare le cose più semplici in un caos di vita che un po’ mi sono scelta e un po’ mi è capitata. Il pranzo della domenica, le vacanze non troppo lontane da “casa”, la riscoperta di certi profumi, la voglia matta di correre su quel prato verde, dietro ad un pallone possibilmente, strizzare l’occhio davanti ad un obiettivo, la musica durante la colazione, una serata davanti alla tv, il sorriso di due angeli che in in realtà sono molto di più, sono la facciata più bella di un paradiso terrestre, è questo tutto ciò che mi ha aiutata a respirare anche quando mi mancava l’ossigeno.

Se mi guardo indietro e cerco i modi ed i momenti per focalizzare questo 2019 faccio un po’ fatica, forse perché sono stati tanti o forse sono stati troppo pochi, o forse perché c’è ancora della rabbia che mi prende e mi agita di fronte a quello che avrei voluto fosse e invece non è stato, o forse ancora perché ho capito che guardare avanti ha sempre un fascino diverso e riserva sorprese, scelte, stagioni che paiono una porta spalancata che precede terrazzi ed avventure costruite su misura per me.

So che ci sono dei pulcini che mi hanno riportata in una delle città che amo di più, Firenze, e che si sono intrufolati nel mio cuore gettando la chiave in un burrone, so che ci sono state delle pesti testimonianza acuta di quanto le cose belle finiscano ma che non per questo siano meno belle, so che c’è stata, fra le altre, l’intervista ad un Campione del Mondo che…vorrei solo farvi vedere la mia pelle d’oca ora per farvi capire. Ma c’è stata anche una notte di luglio in cui non sono stata capita e apprezzata quanto avrei meritato, ma che riesce comunque a rendermi orgogliosa di aver fatto quello che ho fatto e di aver detto quello che ho detto perché mi ha aiutata a sentirmi più leggera oltre che a seguire il mio cuore, nonostante tutto, nonostante mille nonostante. La leggerezza è la via maestra verso la serenità, a volte bisogna svuotarsi, persino di lacrime, per far sì che lo spirito e la mente viaggino ad altezza nuvole, altrimenti si fa fatica a volare.

Chiudo un 2019 ricco di opportunità, di treni, di stazioni, di brusche fermate, chiudo un 2019 a mani piene, qualcosa mi è sfuggito, qualcosa l’ho lasciata andare, sull’agenda trovo scarabocchi, mancanze, errori,… sono ammaccata e piena di lividi, ho imparato, però, nonostante gli specchi facciano ancora tanta paura, a scegliere dall’armadio il vestito migliore, a nascondere questi lividi e ad andare avanti, salvo poi spogliarmi e ritrovarli esattamente lì, che si fanno spazio tra una cicatrice ed un sorriso e allora, con coraggio, mi guardo allo specchio e mi rivedo anche unica, tutta sbagliata ma unica.

E fra mille passioni, incomprensioni, capelli scombinati, tra un po’ di cellulite ed uno sguardo talvolta malinconico, talvolta malizioso, tra un’ambizione troppo grande ed una lista di buoni propositi rimasta incompiuta, tra una performance canora in auto, un cuore malconcio, so che a costo di restare l’unica fra le uniche non sarò mai diversa o troppo lontana da ciò che sono, e che non avrò l’intenzione di cambiare per volontà altrui, o per dovere nei confronti di una società che fa di tutto per nasconde il diritto all’essere se stessi.

Perché poi in un qualunque giorno di dicembre capita che per puro caso ti ritrovi di fronte ad un lago e ti emozioni, e la corazza scivola giù, e quel passato di cui fai fatica a fartene una ragione, non è mai stato così limpido ai tuoi occhi.

È sempre la ragione a creare casini, dover cercare necessariamente una via d’uscita, una soluzione, una risposta, ho imparato a sedermi e ad aspettare, e nel frattempo guardarmi attorno, godermi il panorama, cercando di non farmi soffocare dalle domande, perché non rispondere adesso non vuol  dire che non si avranno mai delle risposte, vuol dire che bisogna avere il coraggio di spostare un po’ più in là determinati quesiti che possono poi essere la chiave di volta in un percorso di vita.

E così, mentre ora torno a respirare, pigio i tasti colorati del mio diario segreto, alzo la testa e vedo un bouquet che è bellissimo, che non arriva da nessun principe azzurro ma che è ancora una volta il simbolo di una passione che riesce a rendermi viva tanto quanto a contraddistinguermi fra la folla, ed ecco che allora, anche la mia più testarda delle insicurezza mi sussurra: “No, non sei tutta sbagliata”.

Waiting 2020: ho un milione di progetti nella mente e ho ancora il coraggio di continuare a sognare e se in tutto questo caos trovo la forza di sognare e credere in qualcosa allora è perché sì, ho fatto 365 giorni a dirmi “Non ce la faccio” per poi rendermi conto che in realtà ce la faccio sempre.

Non sono mai stata tanto brava come questa volta a mettere i punti, i punti e a capo, le virgole, i due punti, le virgolette…in un racconto, è la punteggiatura a dargli un senso.
Un anno fa ti avevo chiesto di farmi volare, come se fosse facile, come se mi fosse dovuto, questa volta ti chiedo solo di non scalfire la mia forza, lasciala intatta così com’è, per favore, perché oggi, mai come oggi, mai come dopo un anno così, io tutto quello che so è che posso farcela.

Quest’anno sono stata forte, l’anno prossimo sarà felice“. 

I sogni sono fatti per le persone coraggiose, per tutte le altre ci sono i cassetti“.

zia e nipote lorenzino

Lorenzino del mio cuore, altro che Natale, più del Natale, molto ma molto oltre ci sei tu. Tu e il tuo primissimo compleanno.
Trecentosessantacinque giorni per raccontare te e noi non bastano, e non bastano perché non racchiudono abbastanza e non bastano perché in realtà non basterà nemmeno tutta la mia vita per contemplarti ed amarti come e quanto vorrei. Ma farò del mio meglio.
Trecentosessantacinque giorni fa hai elevato il mio amore al quadrato e ne hai fatto qualcosa di nuovo e meravigliosamente unico.
Il tuo fratellone Riky aveva aperto una strada sconosciuta, tu Lorenzino del mio cuore sei riuscito a tracciare un percorso parallelo non altrettanto bello ed incredibile, ma nuovamente bello ed incredibile. E che potessero esistere due strade così…nemmeno nei miei più bei sogni.

Un anno fa non ti sei fatto attendere, hai anticipato tutti, come un fulmine a ciel sereno sei apparso fra le luci del Natale che potevano solo arrossire di fronte ai tuoi occhi.
Lo spettacolo dei tuoi occhi e la meraviglia del mondo, è lì che mi perdo e non so da che parte voltarmi, indecisa sulla mia scelta, fin quando poi sorridi e condizioni i mei sguardi a seguire, innamorata di te e di quello stupore, grazie per aver aperto una nuova finestra sul mondo. Mi affaccio e prendo ossigeno, sento il vento, mi godo lo spettacolo. Mi affaccio e resto lì, e da lì ti guarderò andare lontano, dove i tuoi passi arriveranno, dove i tuoi sogni ti condurranno.

Per tutte le volte in cui dico che tu e Riky siete una delle cose più belle della mia vita, so che non dico abbastanza, non racconto abbastanza di un amore gigantesco, senza confini, per cui non esistono parole che lo sfiorino o lo solletichino. E allora scusami se non avrò mai le parole giuste, scusami se non saprò inventarne di nuove e scusami se tutto questo nero su bianco resterà esattamente nero su bianco, ma ti garantisco che là, oltre le promesse, i miraggi, le utopie, le scelte, la ricchezza, oltre i pianeti, il sole, la luna, l’orizzonte, le nuvole, la tempesta e l’arcobaleno, là ci siamo noi, le nostre manine, i tuoi occhietti e la più acuta forma d’amore mai esistita al mondo. Grazie per averla reinventata, grazie per avermi scelto, grazie per aiutarmi a nutrirla e per stare lì, paziente, ad osservarla crescere con me.

Il Noi è una parola importante che ha il peso specifico dell’amore.
Questo NOI è pura magia.
E dinanzi a tutto questo, altro che Natale, molto più del Natale, buon 1° compleanno Lorenzino del mio cuore.

I love you.

sogni nel cassetto

Dal web…buongiorno così!
Una dolce poesia, una citazione romantica, un evento strampalato, una storia strappalacrime, un racconto da ridere a crepapelle, una cazzata, una frase senza senso, uno spunto di riflessione, un’amara verità o una sacrosanta verità: cosa hanno catturato i miei occhi oggi sul web?

 

Solo una citazione, poche parole per dare il là ad una giornata baciata da un timido sole, fredda, ma non per questo meno insignificante di altre…anzi…e se fosse questo un giovedì pronto a riservarci numerose sorprese?

I sogni sono fatti per le persone coraggiose, per tutti gli altri ci sono i cassetti“.

Un po’ di tempo fa, per non dire anni fa, lessi su un giornale questa frase: “Avevo tutti i soldi possibili per curare mio padre, eppure…“. Eppure, quei soldi, non bastarono per evitare a Gino Del Piero un destino crudele. Suo figlio, Alessandro, uno dei miei idoli di sempre tanto per il giocatore quanto per l’uomo, rispose così alla domanda del giornalista. Schivo, il suo carattere non lo ha mai visto esporsi troppo soprattutto sulle faccende personali, ma non per questo poco determinato nel rimarcare i pensieri ed i valori di una vita.
Con quella frase, con quelle poche parole, il concetto era molto semplice: i soldi beh certo, aiutano, come negarlo, ma contano davvero più di un affetto, un sentimento, un legame indissolubile?
La risposta, anche oggi, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti. Luis Enrique nel pomeriggio di oggi ha perso la piccola Xanita “Xana” di 9 anni a causa di un tumore alle ossa che non le ha lasciato scampo.
Nonostante le cure, nonostante i soldi, nonostante le mille possibilità, non c’è stato nulla da fare, un angioletto le ha portato quelle ali che la condurranno in un posto un po’ più lontano da questo.
A leggere tutto questo ed ora a scriverlo, ho un senso di dolore e sgomento che mi pervade dentro.
Vado sui social e leggo milioni di condoglianze provenienti da tutto il mondo.
Lo stomaco mi si attorciglia.
Passano pochi secondi e mi si attorciglia di nuovo. 
Se mi guardo attorno vedo tutto diverso e mi pare di non possedere nulla.
Non vedo una casa, non vedo un’auto, non vedo libri, collane, vestiti, del cibo. Non vedo niente.
Mi chiedo solo cosa conti davvero, me lo chiedo per l’ennesima volta come se fosse un dazio da pagare ogni qualvolta mi lamenti dei jeans che non mi entrano e della vacanza in Canada che non posso permettermi.
Se mi guardo ancora intorno, poi, vedo foglie, alberi, un cielo infinito ed un mare profondo a cui affidare anche i miei pensieri più intimi. Vedo sole, stelle, luna, tramonti, albe e silenzi. Vento e silenzi per l’esattezza. Vedo occhi blu e sguardi incredibilmente compromettenti almeno quanto sorrisi giganti che colorano giornate intere dando speranza a sogni nemmeno troppo notturni, nemmeno troppo nascosti.
Lo stomaco mi si attorciglia ancora e dentro quei nodi, indistricabili, trovo risposte limpide. 
Ciò che conta davvero non ha prezzo.
Fottuti soldi, la felicità è esattamente sul binario accanto e l’amore, quello vero, da stasera ha una spettatrice in più, volata in alto per dar man forte ad un cielo che sarà meno buio.

Ci mancherai moltissimo. Ti ricorderemo ogni giorno della nostra vita, nella speranza che un giorno torneremo ad incontrarci. Sarai la stella che guida la nostra famiglia“.

Coraggio Luis Enrique & family, coraggio. 

Ti amo.
Il miglior modo che io possa trovare per iniziare questa lettera, è l’unico che sa avvicinarsi vagamente a ciò che provo per te. In realtà nemmeno il ti amo gratifica l’esperienza e l’emozione di essere tua zia, nemmeno il ti amo racconta questa incredibile storia d’amore.
Dalla luce di quella notte sono trascorsi settecentotrenta giorni e per quanto mi sforzassi d’immaginare come sarebbe potuta cambiare la mia vita, mai, nemmeno nei miei più bei sogni, avrei creduto di arrivare a tanto. E per tanto intendo questo amore che, giorno dopo giorno, ora dopo ora, continua a strapazzarmi il cuore.
Vederti crescere è una scoperta continua. I tuoi occhi verdi sono i diamanti più preziosi di cui il mondo possa vantarsi. Ed io ti amo. Ti amo quando giochi con dudu, quando abbracci quella meraviglia di tua madre, quando tiri la barba al papy, ti amo quando pretendi la musica e balli senza preoccuparti di chi hai intorno, questo i grandi dovrebbero tanto impararlo da te; ti amo quando piangi e chiedi attenzioni, ti amo per quella lingua instancabile che ogni giorno batte sui dentini raccontando, a tuo modo, un milione di storie ed una realtà tutta tua o forse anche un po’ mia, o magari addirittura nostra. Ti amo quando sei geloso di lorenzino ma ti amo anche quando lo guardi con lo sguardo del fratello maggiore che sa già proteggerlo, ti amo quando combini le marachelle e quando pretendi il formaggio, ti amo quando suoni il tamburello e poi mi guardi in cerca di approvazione, ti amo quando vuoi accendere le lucine colorate della tua nanna e ancor di più quando mi dici: “Ia Malella questa voglio ballarla con te“, ma anche quando fai colazione sulla tua sediolina con i tuoi biscotti. Ti amo nelle nostre video chiamate, quando mi riconosci, mi mandi i baci con la manina, la stessa manina che mi fa la cara e che si allunga in cerca della mia. Ti amo perché sei già indipendente, deciso nelle tue scelte, perché hai già una personalità spiccata che sa di buono e di estro. Ti amo quando facciamo i “colpi di testa” e quando gridi “Forza Juve”. Ti amo quando sull’altalena, mi dici “Spingimi forte Ia Malella, forte come il vento” e così ti vedo andare su e giù, più vicino e più lontano e poi ancora vicino e so che non esista metafora della vita più azzeccata ma so anche che se dovessi cercare qualcuno che possa lucidarti le ali per volare il più in alto possibile allora potrai sempre contare su di me. E potrai contare su di me per le tue favole, i tuoi libri, per le passeggiate, per le corse, per asciugare ogni lacrima, per ridere a crepapelle, per scalare l’Everest e per nuotare negli abissi di un mare che non sarà mai bello quanto i tuoi occhi. Ecco, un po’ meno, forse, quando mi presenterai la tua fidanzata.
Il mio regalo di compleanno è prometterti, ancora una volta, tutte le eccezioni, tutto l’impensabile ma anche la semplicità di un amore che non conosce parole che sappiano solleticarlo abbastanza da emergere dagli schemi, a me che in fondo gli schemi non sono mai piaciuti troppo, ma un amore che sa costruire castelli in aria liberi di racchiudere principi, principesse e sogni.
Ti prometto tutto o quasi. Tranne di non soffocarti di baci, di non chiederti “Gli abbracci che solo tu mi sai dare”, di non commuovermi ogni volta che ti guardo. Scusa, ma non sono ancora pronta per questo.
Settecentotrenta giorni dopo, ai primi passi di una lunga storia d’amore, più che gli auguri di buon compleanno, dovrei ringraziarti per essere stato l’unico capace di salvare la mia speranza in mezzo alla verità: è da te, anche da te, che ho capito chi sono.
E allora buon compleanno Riky del mio cuore. Tutto ciò che ti auguro è di avere sempre davanti ai tuoi occhi un milione di emozioni travolgenti da raggiungere, davanti ai miei, invece, basti tu.
Ancora una cosa: ti amo. Più di tutto e tutti quando sorridi. Lì il mondo si ferma, il mio cuore è lieto, tutto ha un senso e l’amore, quello vero, è un cerchio perfetto.

Per tutte le parole che non ci diciamo e per i silenzi che valgono molto di più.

Perché non servono poemi, né lunghi discorsi, non servono grandi parole, non servono gesti eclatanti od infinite dichiarazioni, non servono smartphone, controfigure, paesaggi balistici, gioielli, viaggi sulla luna, chef stellati, vestiti da sfilate o case lussuose per dirti ciò che non ti dico mai ma che ho barricato nel cuore.

E allora al mio orizzonte e al mio porto sicuro, a colei che non mi ha mai giudicata, ma capita, alla donna che mi ha insegnato ciò che davvero conti nella vita…il rispetto, il sacrificio, l’umiltà, il bicchiere sempre mezzo vuoto, la semplicità e l’importanza delle piccole cose, il valore dei silenzi ancor più di quello delle parole…

…alla più bella delle mani tese, alla cuoca perfetta, alla miglior “rimboccatrice di coperte”, all’artefice del capolavoro dei capolavori, la mia famiglia…

…alla mia mammina del cuore, buon compleanno dalla tua figlia

tutta matta
totalmente imperfetta
ma speciale (questo l’ho preso da te).

I love you.

Premetto che merito di finire sui ceci in ginocchio dietro la lavagna perché sì, dopo avervi illuso con un primo resoconto su Temptation Island da mille e una notte, mi sono persa via in lunedì alcolici e pimpiripettenusa.
Prometto di andare a recuperare commenti social, video e schiamazzi vari dello zoo di canale 5 e di mettermi all’opera con un resoconto di quelli fatti di tuttopunto, stasera però lasciatemi buttar giù nero su bianco un paio di riflessioni acute (e argute) su quest’ultima puntata andata in archivio pochi minuti fa.
Tutto ciò che sono riuscita a vedere, oltre la befana 43enne che dice ad un tentatore “No, adesso voglio un bacio e tu mi baci“, beata autostima e milfaggio a seguito, è stato il falò di confronto tra Katia e Vittorio.
Lei pare la barbie, lui Ken, e già su tutto ciò potremmo stendere un velo pietoso.
Sostanzialmente la biondina paperina che ha trascorso 21 giorni a toccare e venerare addominali come reliquie e a pettinarsi le ciglia, c’ha strizza. E c’ha strizza perché il bell’addormentato si è svegliato. Vittorio dopo aver assistito per una settimana intera alle smorfie della “raperonzolo” la quale annovera fra i complimenti più sdolcinati al suo boyfriend un “Se a me va di provarci con un altro ci provo, chissenefrega che di là ci sia il mio ragazzo“, decide di provarci senza nemmeno troppe remore con la single Sofia. O Sonia. O Sara. Insomma il nome non me lo ricordo ma ricordo che ogni volta che lui l’abbracciava il rischio che quelle due mongolfiere esplodessero alla Snai era quotato a 0.1.
Tra video e moine da carie arriviamo a sto benedetto falò. Non senza un po’ di suspance che ogni volta Bisciglia crea con il suo savoir faire. E la suspance sale, e sale, e mi scappa la pipi e corro al bagno perché “Mannaggia alla pubblicità che quando serve non c’è mai”, e torno e li trovo allo stesso identico punto di prima. Giuro stessa identica immagine e stessa espressione del viso, per un attimo mi è parso di stare su Beautiful. Poi finalmente ce la facciamo.
Prima che lui inizi a parlare le maggiori preoccupazioni della Fotonica sono, nell’ordine:

  • L’abbinamento shock di un paio di pantaloni color ocra con la giacca blu che il monsieur ha mostrato al grande pubblico nel weekend fuori porta con la signorina canotto.
  • L’abbinamento possibile al falò di confronto: “Oddio e se lui arriva con gli stessi pantaloni?
  • Il fatto che lui abbia ripetutamente provato a limonarsi Canotto e che Canotto non ci sia stata (Fa male prendere un palo in testa eh?)
  • Il terrore che qualcuno possa aver visto l’asciugamano coi limoni da lui utilizzata nel bagno di mezzanotte con l’altra
  • La paura che gli occhi da pesce lesso di Vittorio nel guardare la tentatrice diventino uno sfottò su profili social tipo dei “Calciatori Brutti” o “Gli autogol”.

Ma quando lei capisce che Vittorio il dormiente, per gli amici Azzurro come il principe di Shrek, in realtà non dorme più, ecco che allora le preoccupazioni ed i timori si trasformano.
Salutata la convinzione del credere che “Qualunque cosa succederà è impossibile che mi molli”, Fotonica vacilla e si rende conto che il tronchetto posto sotto i suoi ciapet è tutto tranne che il tronchetto della felicità. Vittorio con le idee chiarissime le spiattella in faccia pure i minuti di sti 21 giorni e se la ride comodamente seduto sul trono dinanzi ai video della sua nuova fiamma.
Non c’è via di scampo ormai. Fotonica opta per le lacrime, mette a serio rischio il suo mascara waterproof ed il vestito da Cenerentola per di non ritrovarsi senza il suo tanto NON amato uomo al suo fianco. Filippo le dà il consiglio di aprirsi, lei con aria perplessa sembra chiedersi “Più di così”, prova a specchiarsi nel falò ma tutto ciò che intravede è il binocolo con cui osserverà la carta di credito di quel “Pezzo di Manzo” che in realtà in questi 2 anni e mezzo le è servito per guardaroba e chirurgo.
Siamo alla follia pura.
Il peggio però deve ancora venire. 
Sì perché nonostante i due vadano uno a nord e l’altro a sud con lo scazzo dei risvegli del lunedì mattina, la chicca ce la regala ancora una volta questa regia impeccabile.
Ebbene sì, la colonna sonora della fine di questo Amore che casualmente coincide con l’incontro tra Azzurro e Canotto, è nientepopodimeno che…Pupo. “Su di noi nemmeno una nuvola, su di noi nemmeno una favola, su di noi ci avresti scommesso” e bla bla bla.
Pupo, gente, ho proprio detto Pupo. Roba che se per sbaglio, ma per sbaglio, dovesse esserci un solo Cristiano al mondo (eccezion fatta per mio padre) che invitandomi a salire in macchina dovesse anche solo far partire un paio di note di qualsiasi canzone di questo cantante, probabilmente gli farei ingoiare il tappo del serbatoio ed un paio di litri di benzina, e lo porterei a Ponte Milvio per ingabbiarlo con i lucchetti. Pupo l’unico posto in cui possa comparire è sulle scatole di preservativi con la dicitura io non posso entrare 🙈😂 (non sia mai che arrivi a riprodursi).

E comunque sì, la pianto e la chiudo qui.

È stato bello guardare questo scorcio di ultima puntata con l’autostima che nonostante il ciclo in arrivo, sia riuscita ad aggrapparsi pure ad un panino con lo speck, rimanendo completamente intatta.

Queste sono le soddisfazioni FOTONICHE della vita.

 

Una dolce poesia, una citazione romantica, un evento strampalato, una storia strappalacrime, un racconto da ridere a crepapelle, una cazzata, una frase senza senso, uno spunto di riflessione, un’amara verità o una sacrosanta verità: cosa hanno catturato i miei occhi oggi sul web?

Non leggevo questa poesia da non so quanto tempo, mi ha capito di farlo ieri, per puro caso ed ho pensato che potesse essere un bel modo per augurare il buongiorno. Vale di più però: la profondità d questo messaggio è un appiglio nei momenti in cui è più vicino il fondo che la luce, ma anche un promemoria per ricordare dove siamo stati, magari fino a poco tempo fa, e dove ci ritroviamo oggi.

Abbiate il coraggio di camminare a testa alta e di essere Uomini e Donne.

Se, Lettera al figlio
Se riesci a mantenere la calma quando tutti intorno a te la stan perdendo e te ne attribuiscono la colpa, se sai aver fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te ed essere indulgente verso chi ti dubita;
se sai aspettare e non stancartene, e mantenerti retto se la calunnia ti circonda e non odiare se sei odiato, senza tuttavia apparire troppo buono né parlare troppo da saggio; se sai sognare senza abbandonarti ai sogni; se riesci a pensare senza perderti nei pensieri, se sai affrontare il Successo e la Sconfitta e trattare questi due impostori nello stesso modo; se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per gli ingenui; se sai guardare le cose, per le quali hai dato la vita, distrutte e riesci a resistere ed a ricostruirle con strumenti logori; se sai fare un fascio di tutte le tue fortune e giocarlo in un colpo solo a testa e croce e sai perdere e ricominciare da capo senza mai lasciarti sfuggire una parola su quello che hai perso; se sai costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi muscoli a sorreggerti anche quando sono esausti, e così resistere finchè non vi sia altro in te oltreché la volontà che dice loro: “Resistete!”; se riesci a parlare con i disonesti senza perdere la tua onestà, o ad avvicinare i potenti senza perdere il tuo normale atteggiamento, se nè i nemici né gli amici troppo premurosi possono ferirti, se per te ogni persona conta, ma nessuno troppo; se riesci a riempire l’inesorabile minuto dando valore ad ogni istante che passa: il mondo e tutto ciò che è in esso sarà tuo, e, quel che conta di più, tu sarai un Uomo, figlio mio!

– Rudyard Kipling –

 

 

 

 

Ho un sogno che dista 365 giorni, ho un sogno che si chiama Tokyo 2020 o più comunemente “Olimpiadi” e per raccontarvelo dovrei scomodare tutti i miei brividi, le mie lacrime, ogni centimetro della mia anima e circa 365 milioni di miliardi d’affanni del mio cuore e forse, forse, potrei vagamente rendere l’idea di ciò di cui sto parlando.

Se vi state chiedendo se “è quello in cima alla lista” la risposta è sì, è proprio quello. Ogni tanto salgo sul grattacielo delle mie ambizioni, lo sfioro, lo cullo, lo stringo a me e poi lo rimetto là, dove pare inarrivabile.

Ma le apparenze, si sa, hanno quasi sempre un solo destino: quello di finire appallottolate nel cestino della propria stanza, magari con un tiro alla Kobe Bryant degli anni d’oro.

Chiudete gli occhi e immaginatevi su una montagna di panna montata a giocare con le stelle e le nuvole, con il vostro sorriso al posto del sole e con mucchietti di felicità a cui attingere a pieno viso.

O immaginatevi in quarta elementare quando la vita pareva la giostra più figa di Gardaland, con la matita blu fra le dita ed un foglio bianco su cui raccontare “Cosa voglio fare da grande?”.

O ancora sdraiati in un prato verde, con attorno una distesa di girasoli che sanno prendere luce per vivere solo dai vostri occhi.

Immaginatevi così o in un milione di modi differenti o come preferite.
I meravigliosi disegni dipinti a due mani dall’anima non hanno niente a che vedere, però, con ciò che vedo io. Io dinanzi a me vedo solo una bambina con i capelli ricci dall’aria ribelle, gli occhi chiusi stretti stretti simbolo di speranza, un diario che sa di verità poggiato al petto, protetto da mani giunte in segno di preghiera, un alone di incantesimo intorno al cuore ed una bacchetta magica incastrata tra lo stomaco e la gola, dove si proteggono le cose rare. Ma non è tutto. Perché vedo anche una salita e sacrifici che provocano solletico. Vedo gambe forti ed una volontà ferrea. Vedo il vento soffiare in una sola direzione, vedo il vestito buono e tasche piene di paura e di coraggio, una mappa del tesoro ed un paio d’ali che spuntano dallo scrigno.

E sorriso. E sorrido. Senza catene, senza radici.

Non so nient’altro ma so già tutto.

Ce la farò.

 

Già, è proprio così: settordicimila domande e nessuno che ti chiede più se sei felice.
Pochi giorni fa mi sono imbattuta in un pezzo sul web che parlava proprio di questo, di richieste, di frasi abitudinarie, di etichette e di superficialità. Null’altro che sconfinasse in qualcosa di più profondo, qualcosa di reale oltre il materiale, o che si avvicinasse vagamente al concetto di felicità.

Ogni giorno viviamo in una società che ci tartassa di domande nelle circostanze più svariate. La quotidianità ci porta ad imbatterci nella consuetudine, nell’ovvietà, nella catalogazione di persone che, più o meno volontariamente, etichettiamo a seconda del lavoro che svolgono o dei loro rapporti sentimentali.

A partire dalla conoscenza di due persone che nasce inevitabilmente con un “Mi chiamo Giulia e tu?” si prosegue con il quiz che conduce a delineare il profilo esatto di una persona. Studio, lavoro, amici, casa, auto, sei sposato, hai figli, dove vai in vacanza, quanto costa la tua borsa, ti piace Ligabue, preferisci questo o quello e bla bla bla…ma nessuno più che osa porti l’unica domanda che conti davvero: sei felice?

L’apoteosi dell’assurdità è che ci divertiamo a creare un archivio mentale su risposte che nemmeno ascoltiamo e su domande di cui non ci prendiamo cura trasformandole, nella maggior parte dei casi, in convenevoli adatti alla circostanza.

E poi eccola qui l’arma letale: la superficialità. Provare a scavare è vietato, approfondire è fuori moda, interessarsi una fatica immonda. Allora restiamo lì nel limbo delChiedo ma non troppo” e del “A debita distanza per non incappare in grossi rischi“. Ma passare al Metal detector con in tasca un “Sei felice?” non permette più di salire sull’aereo dell’atterraggio sicuro, quello delle quote basse e dei paesaggi scontati. Se solo ogni volta dopo un “Come stai”, un “Cosa fai di bello” o un “Ti piace il pistacchio” ci aggiungessimo un “sei felice”, ci accorgeremmo che non solo il Metal detector si tratterebbe nell’emissione di qualunque suono, ma che l’aereo di terza classe lascerebbe posto al velivolo con rotta verso l’infinito, quello dei paesaggi inesplorati, delle mete a malapena disegnate nelle nostre menti dei percorsi inesplorati. Ma non è tutto: il “Sei felice” implica impennate di buon umore, implica interesse e genera interessa, implica spunti di riflessione e dà il là a conversazioni più ampie, cestina i convenevoli, vi veste di un abito che fa luce sui sogni pieni di polvere, lustrando ambizioni ed autostima, che non guasta mai.

E così oggi quando vi troverete al bar a bere il caffè, quando vi scambierete favori con un collega, quando vostra madre vi preparerà la cena o il vostro vicino sarà alle prese con il taglio del prato, provate ad avvicinarvi e buttatelo lì un “Sei felice?”, sarà sorpresa, estasiato, incuriosito. Magari vi prenderà anche un “Che cazzo di domande fai” e verrete guardati un po’ straniti ma attendete una risposta. Non giudicatela per nessun motivo al mondo, guardate negli occhi il vostro interlocutore e, con quello sguardo fate un controllo incrociato per vedere se “tutto combacia”. Che tanto di parole possiamo dirne e raccoglierne milioni, la verità è sempre racchiusa lì.

Tutti quelli che incontri ti chiedono sempre se hai un lavoro, se sei sposato o se possiedi una casa, come se la vita fosse una specie di lista della spesa. Ma nessuno ti chiede mai se sei felice“.
– Heath Ledger