Sono giorni in cui sui social sta spopolando l’hashtag #tenyearschallenge, hashtag che accompagna la nuova prova di coraggio del popolo di Facebook, instagram e non solo.
Il compito consiste nel pubblicare una foto di se stessi (un selfie sostanzialmente) risalente al 2009, ed una foto attuale per poi gettarsi a capofitto, con tanto di matita rossa in mano, nel gioco della differenze.
“Oddio com’ero giovane quando frequentavo le superiori”, “Quanti capelli”, “Spensierato appresso al pallone”, “Ma come mi vestiva mia madre?!” e chi più ne ha più ne metta. Questi però sono tra i commenti più sobri.
In realtà anche in questo caso “imparare l’uso di photoshop in pochi passi” dev’essere stato il tutorial più scaricato degli ultimi due giorni perché, a meno che non abbiate 12 anni ed abbiate pubblicato la foto di duenni, c’è qualcosa che non mi torna. Io che non sono particolarmente amante degli scatti di me stessa, spulciando tra le foto mi sono ritrovata alle prese con una ventitreenne tutta “Estate, abbronzatura, bikini, zero pensieri e sui i bicchieri” in lunghi periodi dell’anno. Ecco potete immaginare quale sia il punto fermo dei miei ultimi dieci anni. Il bicchiere è sempre al suo posto, senza ombra di dubbio, quando si dice la coerenza; l’abbronzatura che cerco di racimolare come le noccioline a Natale, al 28 agosto non so manco più dove sia (nonostante abbia magari finito le vacanze da due ore), l’estate dura sempre troppo poco, non faccio in tempo a cambiare due smalti che mia cognata mi rifila i colori autunnali, il bikini è una croce ed una lotta perenne con Calzedonia e la commessa a cui dico “Eppure mi sembrava ieri quando le mie tette sporgevano ed il mio culo non trasformava uno slip in una brasiliana” e per i pensieri mi basta darvi un’idea di come sto messa notando l’ora di pubblicazione di questo post.
Invece voi, sempre impeccabilmente perfetti, riuscivate ad essere magri allora e anoressici adesso. I capelli sbarazzini allora, oggi tutte parrucchiere, il trucco nature ha lasciato posto a Clio Make Up, l’abbigliamento pare che Giorgio Armani non abbia mai smesso di cucirvi abiti addosso dal 1992, e non dimentichiamoci i panorami: cioè è possibile che voi a 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40 anni, abbiate sempre fatto viaggi super fighi intorno al mondo in qualunque periodo dell’anno, con gli amici di Chiara Ferragni e le auto della Scuderia Ferrari? Chiedo eh, perché onestamente una porsche a 15 anni mi lascia intendere che forse forse di cognome facciate Ronaldo e all’anagrafe abbiano sbagliato un paio di vocali. E non mi soffermo sui commenti: “Oddio com’era grassa con quella taglia 38” oppure: “Guarda cosa mi è capitato, uno scatto spontaneo (nonostante la posa da Giugno, Luglio e Agosto messi insieme e il credit Oliviero Toscani) di una vacanzina tra amici del liceo in California“. Lo stile è all’incirca questo.
Ma siccome non è giusto fare di tutta l’erba un fascio, allora ecco l’altro lato della medaglia. Spazio ai temerari. Perché sì, ci sono anche loro. Quelli che impavidi se ne fregano del tutorial di photoshop mentre la dignità sta prendendo il vino giù in cantina.
Occhialoni alla ragionier Fellini, pantaloni alla Steeve di Otto Sotto un Tetto, brufoli della serie “Unisci i Puntini”, capelli alla “Cugini di Campagna”, mezzo di trasporto “Mountain Bike” e panorama di un campo da calcio senza porte con gli zaini della Seven a fare da pali. Roba che ti fa chiedere “Ma era il 2009 o il 1989?”, ma ti fa anche domandare: “Ma il falò dei libri post maturità non vi dice nulla sulla fine che avrebbero dovuto fare ste foto?”.
E niente, sempre senza mezze misure.
Se non che poi ci siano gli imperterriti e gli ironici. Gli imperterriti sono quelli che una disgrazia non basta, di Ten Years Challenge pubblichiamone almeno 2/3 così da arrivare ad un centinaio di like. Gli ironici o autoironici sono i miei preferiti, quelli che partecipano al gioco prendendolo come un gioco e che se ne fregano degli sfottò. E restano i miei preferiti anche quando sfociano nella categoria fancazzisti. Ed i fancazzisti sono quei geni che pensano robe del genere. A voi la gallery.

Ps. Caro Marco Borriello lo so che mi stai leggendo, tu oggi, dieci anni fa, o fra venti, vai sempre bene. Ma che te lo dico a fa’.

Fans del Liga se ci siete battete un colpo!
Poco meno di cinque minuti e sarà di nuovo lui, il rocker di Correggio, a riprendersi la scena. Lo farà dando il là al 2019 con un nuovo singolo che anticipa l’uscita dell’album nonché il tour negli stadi.
Da mezzanotte, infatti, su tutte le piattaforme online ed in rotazione radiofonica ecco “Luci d’America” il nuovo singolo del Luciano.
Le pagine social del cantautore emiliano hanno lanciato messaggi negli ultimi giorni che hanno lasciato presagire indizi subliminali con la certezza, però, che Ligabue saprà stupire anche questa volta.

Detto ciò e detto soprattutto in maniere spiccia: ma che 2019 sarà per la musica italiana?
Jovanotti se la canterà e suonerà sulle spiagge, Vasco Rossi ha pronto l’ultimissimo tour negli stadi della sua vita (sì lo so questo è uno scoop, notizia mai sentita in giro), Ultimo che Ultimo non è si è pure preso l’Olimpico, Ermal Meta dopo tre anni di tour chiuderà ad Assago nel giorno del suo compleanno (per i regali vi lascio pure il mio Iban tranquilli), Giorgia aveva finito le parole e si è lanciata nel suo anno con una serie di cover, Laura Pausini farà coppia fissa con Biagio Antonacci, Tiziano Ferro chiuderà con gli inediti a novembre, ma soprattutto prende nota sulle due notizie bomba:
il 25 gennaio torna con un certa prepotenza un tridente da paura che farebbe invidia pure a Higuain, Cutrone e Suso: Adriano Celentano, Fedez ed i Backstreet Boys. Sì avete capito bene: il molleggiato, il tatuato e l’invecchiato (i).
Ma questo è niente: Sanremo 2019. Dal 4 al 9 febbraio tocca al Festival per eccellenza prendersi la scena. E lo farà con nomi di spicco, nomi che “che ve lo dico a fà”, prendete ferie per ste serate d’autore e per tutti i concerti a seguire. Gli esempi che più m’inquietano sono la coppia Patty Pravo – Briga e Ghemon, e pensare che quest’ultimo lo avevo lasciato anni fa di fianco a Lupin ed ora, probabilmente stanco di fare quella brutta vita, me lo ritrovo sul palco dei palchi d’Italia…mi scappa la lacrimuccia, come vola il tempo!
Infine ma infine un corno: Nino d’Angelo. Sì anche lui sarà a Sanremo ed i brividi mi travolgono. Non vedo l’ora di comprare il nuovo album e spararlo a palla in camera mia perché sono sicura che il fascino del caschetto biondo di “Nu Jeans e na Maglietta” della serie Pitti uomo scansate, prevederà il territorio e sì, io ci credo, sarà irresistibile pure per Marlena. Stavolta torna a casa, ne sono sicura.

Ps. Albano manchi solo tu!
Pps. nella foto di copertina il vero uomo della mia vita 💙😂

Una dolce poesia, una citazione romantica, un evento strampalato, una storia strappalacrime, un racconto da ridere a crepapelle, una cazzata, una frase senza senso, uno spunto di riflessione, un’amara verità o una sacrosanta verità: cosa hanno catturato i miei occhi oggi sul web?

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Titanic

Mi piace svegliarmi la mattina e non sapere cosa mi capiterà, dove mi ritroverò. Proprio l’altra notte ho dormito sotto un ponte e ora mi ritrovo qui, sulla più imponente nave del mondo a bere champagne insieme a delle persone raffinate come voi…secondo me la vita è un dono, non ho intenzione di sprecarla: non sai mai quali carte ti capiteranno ancora alla prossima mano. Impari ad accettare la vita come viene, così ogni singolo giorno ha il suo valore“.

Ma quel verde, bianco e rosso messi in fila a voi non sembrano un qualcosa di una bellezza acuta e sconvolgente? Non vi affascinano ogni qualvolta li vediate sventolare in alto primeggiando su tutto il resto? E non vi sembrano la più bella espressione dell’italianità quando accompagnati da quel “Siam pronti alla Morte, l’Italia chiamò” scardinano ogni puntello che regge in piedi le pareti di un cuore che, assecondando quel ritmo, finisce col cimentarsi nella più armoniosa delle danze?

Oh ragazzi, per me è adrenalina allo stato pure. E così oggi, ricordando come spesso ho fatto che ogni giorno è il “Day” di qualcuno o qualcosa, eccoci qua a commemorare il “Tricolore Day”, n tricolore che spegne la bellezza di 222 candeline.

La sua storia risale, infatti, al 7 gennaio 1797 (quanti sette in questa data) quando dalla Repubblica Cispadana venne adottato come bandiera nazionale di uno stato. Il tutto ebbe luogo in una sala del palazzo comunale di Reggio Emilia, quando in seguito agli eventi della Rivoluzione Francese, ogni popolo fu chiamato all’autodeterminazione; quella sala divenne poi la “Sala del Tricolore”. I colori comparvero qualche tempo dopo, ovvero il 7 agosto 1789, quando a Genova alcuni manifestanti si appuntarono sui vestiti una coccarda verde-bianca-rossa, da lì in poi il connubio viaggiò in prima classe fino al più famoso 17 marzo 1861 quando con la proclamazione del Regno d’Italia divenne vessillo nazionale.

Per il resto associate al tricolore qualsiasi ricordo vi passi per la testa, qualsiasi emozione vi susciti, qualsiasi fotogramma appaia tra i cimeli della vostra memoria, ma non ci provate nemmeno a dirmi che quel verde speranza, quel bianco purezza e quel rosso passione non siano capaci di pelle d’oca e scariche di botte di vita. Come la scorsa estate quando a Berlino l’Italia dettò legge nella maratona maschile degli Europei di Atletica Leggera: ma voi potete immaginare cosa significhi un gruppetto di Italia tinti d’azzurro cantare a squarciagola l’Inno di Mameli dinanzi a tedeschi ammutoliti? Se non è adrenalina questa…

E poi c’è il fumo di sogni che avvolge con la più soffice delle nuvole quell’utopia che, o prima o poi, si trasformerà in realtà. Perché non so di preciso a cosa lo associate voi ma per me il tricolore rimanda dritto dritto alle Olimpiadi e le Olimpiadi rimandano dritto dritto alla cima della lista dei miei sogni.
Tokyo 2020 è dietro l’angolo, ed io sì, son pronta alla morte per arrivare fin là giù.

Ho preso in mano la lista dei buoni propositi del 2018 e non ho fatto altro che arrabbiarmi con me stessa. Ho chiuso gli occhi nella speranza di riaprirli e non trovarmi di fronte a quei 53 punti di cui meno della metà si è trasformata in cosa fatta. E le colpe, al di là di un destino che non sempre è di luna buona, sono soltanto mie. Perché se alcuni limiti oggettivi faticano a dare tregua, altri hanno la flessibilità giusta per essere deformati a tal punto da assorbire le sembianze di un sorriso che basterebbe per vedere tutto da un’altra prospettiva dando alle cose una luce nuova, filtrandole come un post su instagram che in realtà è solo un appuntamento con la propria memoria per fissare lì, in quell’angolino di anima, un ricordo che vale come punto di partenza.

Poi ho richiuso gli occhi ed ho provato a rendermi conto della vita che mi è passata addosso. 
Ho respirato ed analizzato tutto ciò che mi venisse alla mente dandomi le colpe che merito e le lodi che merito. Perché deve essere così, perché è giusto così.
Ho fatto diversi sbagli quest’anno.

Ho sbagliato quando non mi sono concessa un taglio di capelli in più, un tacco dodici in più, un libro in più, una giornata in più, solo per me, ho sbagliato quando non ho saputo valorizzare a puntino il mio lavoro, per la paura di non essere all’altezza.
Ho sbagliato quando non ho detto sì a quell’amica, o presunta tale, che in realtà aveva bisogno di un sì qualunque e non del mio, ed ho sbagliato perché avrei dovuto dimostrarle che in realtà non perdo l’equilibrio salendo le scale e lasciandola alle mie spalle, né “lei” né chiunque altro.
Ho sbagliato quando ho lasciato quel progetto a metà, prometto che lo rispolvererò.
Ho sbagliato quando non me ne sono fregata abbastanza dei giudizi altrui, ma siamo sulla strada giusta, almeno io, perché voi, beh voi siete dei poverini.
Ho sbagliato tutte le volte che non mi sono vista bella, né carina, né accettabile, né adeguata, in pratica sempre. Questa è una ferita aperta ed una lotta continua che non mi dà tregua.
Ho sbagliato perché non ho avuto abbastanza coraggio e forse questa è una delle cose che mi rimprovero maggiormente e che mi fa più male.
Ho sbagliato perché avrei potuto dire qualche grazie in più e qualche scusa in più, ah l’orgoglio, e forse avrei anche potuto concedere qualche abbraccio in più e qualche bacio in più, ma ho il cuore di pietra.
Ho sbagliato perché sono ancora troppo sensibile e questo proprio perché ho il cuore di pietra.
Ho sbagliato quando non mi sono innamorata di me stessa quelle sere in cui ho indossato il mio “vestito migliore” nella speranza che tu potessi guardare me, oltre l’intimo di pizzo intendo, guardarmi per spogliarmi di ogni mio dubbio ed insicurezza ed apprezzarmi non solo per quello che sono ma per quello che saremmo. Perché se fai qualcosa che è puramente interpretabile ecco, non puoi pretendere che dall’altra parte ci sia qualcuno che interpreti tutto esattamente come lo interpreti tu e non è nemmeno questione di illudere, è questione di non chiedere, di stare a debita distanza solo per non sapere, per la paura di un sì che scombussolerebbe la tua vita ordinaria e arida di sussulti, o di un no che al contempo ti darebbe lo stesso scricchiolio al cuore e la stessa forza per prendere una decisione che saprebbe portarti oltre, là dove i tuoi occhi non osano e la tua anima cerca ossigeno. Ma ad un certo punto, punto giusto? Punto e a capo, e così sia. È ancora non so perché il destino mi sbatta in faccia segnali al led tutte le volte in cui io dica stop, tutte le volte in cui io dica “Questa è l’ultima”, ma spero che il 2019 sia più clemente perché tutti questi segnali portano verso strade che percorse da sola sono buie, desolate, insignificanti e non arrivano mai a destinazione, mentre io ho bisogno di arrivare lontano. Da sola evidentemente, ma lontano, dove io so.

Chiudo gli occhi di nuovo e mi trema il cuore.
Mi balzano in testa le immagini di un’estate vissuta a mille, le immagini di un torneo che mi ha vista rinascere, le immagini dei concerti che mi hanno cullato e degli amici, quelli veri, che ci sono sempre stati. Le immagini di Milano di giorno e di Milano di notte (adoro), le immagini degli spritz condivisi e pregustati, le immagini di tutte le mie corse, dei miei sacrifici, l’immagine di mia madre che mi vede stanca ma felice, le immagini di una videocamera e di un microfono, le immagini di tutte le scommesse vinte talvolta con qualche mano d’azzardo. Mi trema il cuore quando penso a Berlino, a quanto ho voluto quell’esperienza, a quanto l’ho costruita tassello dopo tassello, a quanto mi sono sentita figa (per una volta) in quell’Olimpia Stadium da brividi, mi trema il cuore quando penso che io e le mie pesti siamo ancora insieme su un percorso così complicato ma così voluto e mi trema il cuore perché mi amano incondizionatamente e perché stiamo costruendo insieme qualcosa di unico che non avrà mai eguali nella vita.
Mi trema il cuore per quel sì che nella mia testa è frullato per giorni, pronunciato in maniera titubante, sussurrato quanto basta per salire su una nave rossoblù comandata da pulcini che sanno dove condurla. Ho trovato un altro posto che sa di casa.
Mi trema il cuore tutte le volte che penso alle mie notti insonni, fra pensieri e pezzi che riescono a trovare forma solo nel buio, fra un lavoro che mi succhia pure il midollo ma che è anche la più magica delle pozioni che vale scorci di felicità.
Mi trema il cuore per ogni immagine di un rettangolo verde che no, non ce la faccio, sono fatta così, sono matta così. Ogni minuto di quei novanta minuti ha le stesse emozioni della prima volta, ha le stesse emozioni dell’ultima volta e quella passione che se tradotta in litri traboccherebbe pure dalle damigiane di un paradiso di vino, resta sempre il mio orgoglio più grande. Dio benedica mia nonna o chiunque me l’abbia trasmessa perché è il più bel difetto di fabbrica che io abbia.
Poi mi balzano alla testa le immagini di uno specchio a forma di maryseven.it, uno specchio da maneggiare con cura ma che non incute più timore: riuscire ad aprirsi, a confrontarsi, a raccontarsi è un processo lento e faticoso, ma io so che sono nata per domarla quella fatica.
E poi ancora ci sono le immagini di te che mi chiami zia per la prima volta ed io che mi sciolgo, le nostre mani che si intrecciano, i tuoi giochi, i tuoi occhietti furbi, le canzoni che dondolano te, alle prese con la nanna, me, alle prese con l’amore che non conoscevo. E come se non bastasse, voilà: tutto elevato al quadrato, perché la vita mi ha dato due opportunità per rinascere e quelle opportunità siete voi, voi che siete tutto l’amore del mondo ed io che per una volta riesco a sentirmi amata come non mai. Riky del mio cuore, Lorenzino del mio cuore, per sempre.

E così tracciamo la linea, voltiamo pagina come si suol dire.
Alla luce di tutto questo non faccio altro che rendermi conto di ciò che sono: un casino vivente. Scombussolata, strampalata, ironica, pazza, orgogliosa, disordinata, insicura ma allo stesso tempo decisa, ammaccata, ferita, delusa, semplice, onesta, ma con una forza incredibile. Mi crogiolo in questo e vado avanti. A testa alta e con il mio sorriso.
Vera più che mai, pura, uragano fra la tempesta.
Ho ancora tanta troppa voglia di scalare le montagne.
Non soffro più di vertigini.
Fammi volare 2019.

Un passo indietro ma solo per prendere le rincorsa“.

Doing what you like is freedom, loving what you do is happiness”.

Gli auguri per il Natale sono d’obbligo.
Poi ognuno è libero di festeggiare o meno, di crederci o meno, di stare in famiglia o meno, di non lavorare o meno, di fare quel cazzo che gli pare o meno ma, ma tutti abbiamo un grande obbligo: MAGNA’.

Se state scrivendo la lista delle persone da mandare fare un giro sui tombini aperti nel 2019, fermatevi un attimo e mettete immediatamente al primo posto la bilancia, che tanto se siete fighe con un paio di kg in più lo sarete lo stesso, e se siete cessi con un paio di kg in più lo sarete lo stesso. Non fa una piega giusto? A casa mia, da lombardi purosangue proprio 🙈 il Natale è il cenone della vigilia, rigorosamente a base di pesce. Mia madre e mia zia confabulano solo da un paio di settimane, stasera, come sempre, sapremo di che morte dovremo morire. Antipasti, primo, secondo, contorno, dolce…dolce? E chi lo fa il dolce se non la sottoscritta? Mi relegano a quello perchè tanto pandoro e panettone sono sempre dietro l’angolo e rimediare è un attimo, per il resto l’anima della festa (che sono sempre io) ce la metterà tutta per non deludere le aspettative rigorosamente mal riposte, anche se giallozafferano e fatto in casa da Benedetta sanno sempre come venire in mio soccorso.
Cibo a parte l’altro capitolo tutto da vivere è il capitolo regali. Negli ultimi dieci anni non credo di essere mai arrivata alla Vigilia di Natale con all’attivo un solo regalo da comprare (Sarà che in totale ne faccio tre? Sarà che ho delegato da fare schifo? Sarà perché ti amo?), e queste sono soddisfazioni. Fatto sta che con la curiosità di una dodicenne io, anche quest’anno, non vedo l’ora di scartare e fare baldoria, anche se il regalo più bello l’ho ricevuto ieri: tu, Riky del mio cuore, che mi guardi negli occhi e per la prima volta mi dici Zia, io più rincoglionita che mai, sposto la faccia per non farti vedere le lacrime e provo l’emozione di essere amata. Tutta scema ma amata. A breve che tutto ciò avrà una dimensione doppia, il mio livello di scemenza raggiungerà livelli inauditi ma so per certo che non acciufferà mai e poi mai i nostri livelli d’amore 💙💙
Mi gira già la testa al sol pensiero, anche se a pensarci bene quelli potrebbero essere i litri di prosecco che mi scorrono nelle vene dopo aver toccato quota 12 (e dico 12) cene natalizie consecutive.
Obiettivi per il 2019: prenotare un ricovero.
Obiettivo per fine 2018: andare di corsa a fare il dolce o mia madre il cocktail di gamberetti potrebbe farmelo passare dal naso.

Buon Natale gente, vogliatevi bene e soprattutto voletevi bene. 

Non posso dilungarmi perché sto scrivendo col telefono e mi vengono i crampi al pollice, non posso dilungarmi poi perché, guarda caso, ho i minuti contati, ed infine non posso dilungarmi anche se alla fine mi dilungherò, mannaggia a me.

Vietato non commentare la finale di XF12, per i poco social X-Factor 12, per mia madre “Quelli che cantano là”.

Su Twitter mi sono sbizzarrita nel lanciare sondaggi improbabili a partire dalle giacche di Fedez e Cattelan che anche stavolta non si sono risparmiati, senza dimenticare il look della Mara Nazionale che però finisco sempre col mettere fuori classifica altrimenti vincerebbe a mani basse.

Poi ho azzardato un “Quanti anni ha Luna?” visto che Manuel Agnelli lo ha ripetuto solo 8 mila volte e mi sono resa che a qualcuno potesse essere sfuggito.

Sono ritornata al capitolo moda quando Marco Mengoni e Tom Walker si sono presentati stile Mio Nonno e il Falegname della Casa nella Prateria, ovviamente non ho tralasciato Ghali in versione Lou Bega di Mambo number Five.

Ho poi strabiliato gli occhi al grido della Mara “A me piace una minchia” e mi sono resa conto che a quel punto i giochi fossero fatti (in tutti i sensi). E per fatti chiedete lumi a Tommaso Paradiso dei The Giornalisti che ha sbiascicato parole come solo un mio compagno delle superiori sapeva fare nelle interrogazioni di storia prendendo pure 7 inventandosi date e guerre a caso.

Ma venendo alla gara io vi dico solo questo:

la regina delle scommesse che c’è in me mercoledì di fronte al capo e ad uno spritz ha sparato un “Scommettiamo su tutto perché non scommettiamo su X-Factor?“. Bocca mia zitta mai proprio. E per peggiorare la situazione: “Cosa scommettiamo?” “Quello che vuoi“. Mi voglio male.

La frittata è fatta.

La mia classifica vedeva 1. Naomi 2. Anastasio 3. Bowland 4. Luna

La sua 1. Naomi 2. Luna 3. Anastasio 4. Bowland

Avete già capito vero?

A botte di spritz, patatine, schifezze e varie, ho obbligato le mie amiche a scaricare l’app e a votare disperatamente Naomi quando, ad un passo dal verdetto finale, mi sono resa conto di essere spacciata. SPACCIATA. Ho lanciato appelli su Twitter, Instagram, Facebook, whatsapp e con il piccione viaggiatore, ho imprecato l’imprecabile e alla fine, quando Cattelan stava con quella busta in mano mi sono detta: ne va del mio aumento di stipendio, come lo chiuderò questo 2018, con il solito MAI UNA GIOIA o con una botta di culo?

La risposta è: con la domanda più inutile e scontata dell’anno.

Ciao poveri che più povera di me non c’è nessuno. Vado a scrivere la letterina sperando che Babbo Natale per una volta realizzi il mio unico desiderio: “Fa che il mio capo abbia pietà di me“.

Amen.

Ps. Nella foto un esplicito esempio di Milf e preda

PPs. Mi rifiuto di pubblicare il video della mia disperazione

Un’immagine di Piazza San Carlo del 3 giugno 2017

È stato un risveglio triste quello di ieri mattina perché alla vista del telefono e delle mille notifiche sparse sui vari gruppi whatsapp, l’occhio mi è caduto su un link che recitava così: “Panico in discoteca a Corinaldo pre spray urticante: 6 morti nella calca al concerto del rapper Sfera Ebbasta, oltre cento feriti“.
Sbam. Una raffica di pugni nello stomaco.
Ho sentito tutti i brividi di Torino sulla schiena, ho chiuso gli occhi e sperato che non fosse vero. Li ho riaperti e mi sono trovata al cospetto di foto, video, di news pronte a rincorrersi, perché l’acchiappa click è come l’acchiappasoldi, si vive nell’ingordigia, nel “non ne ho mai abbastanza”. Che poi per carità fortuna che esista questo web che sa arrivare ovunque ed aggiornarci su ogni cosa, ma il dolore in prima pagina è sempre l’estremo. Questi però sono altri discorsi, sono discorsi più complicati ed ampi da rivalutare in altri momenti.
C’era un dolore da gestire che mi ha invaso e devastato allo stesso modo di quel 3 giugno 2017, perché io c’ero a Torino e so perfettamente cosa si prova, il male che fa ed il soffocamento nella testa ancor prima che nel corpo, che non ti abbandona e non ti abbandonerà mai. Ricordo ogni dettaglio di quella sera ed ogni virgola di quel pezzo mi ha risbattuta in piazza San Carlo senza preavviso. Le immagini in tv e quel: “Mary te lo ricordi bene eh?“, detto con leggerezza da mio padre sa tanto di: “Grazie per non esserti preso la mia bambina“.
Piango, mi viene da piangere. Non può essere successo di nuovo. È devastante.
È un mix di tragedia e miracoli. Tutti i sopravvissuti sono miracolati, credetemi. La vastità di quello che potrebbe accadere in situazioni simili non credo possa immaginarla nessuno che non le viva direttamente. Ecco perché purtroppo c’è chi non ce la fa e c’è chi si trasforma in miracolo, senza vie di mezzo.
Questa vicenda purtroppo non avrà mai fine, perché gli strascichi te li porti dietro a lungo…per sempre? Sì, per sempre. Sta a te riuscire a tramutare le ferite in cicatrici da ostentare per ribadire che siamo vivi più vivi di quanto si possa immaginare. Lo scrissi anche in quel famoso pezzo per SportFace:…perché se c’è una cosa che ho imparato da questa tremenda vicenda è che l’amore vince sempre. E allora che vi siate aggrappati a chissà quale pensiero in quegli istanti, all’amore per i vostri figli o per i vostri compagni, per i vostri amici, per le vostre madri, per voi stessi o a Dio, non fa differenza: non lasciatevi vincere dalla paura, lasciatevi vincere dall’amore”. (CLICCA QUI per leggere il pezzo integrale). Un anno dopo, proprio su questo blog, scrissi invece questo (CLICCA QUI) ricordandomi di essere più forte di quanto immaginassi.

Ora, vi prego, fate qualcosa. Chiunque abbia il potere per fare qualcosa, lo faccia. 1400 anime accalcate in una stanza che può contenerne poco meno di 500 per realizzare il sogno di alcuni ragazzini pronti a sgolarsi per il loro idolo da palco. È un prezzo troppo, troppo salato. Fate qualcosa e state vicini ai miracolati, perché hanno bisogno di voi e perché solo dalle loro parole e dai loro occhi potrete capire cosa significhi esserci stati ed essere in piedi, adesso.

 

E fu così ci prendemmo anche delle puttane, in effetti mancava all’appello.
L’uscita di Di Battista e Di Maio i leader del partito 5 stelle sta facendo il giro del mondo e così volevo spendere due righe per dire la mia, ma giusto due righe perché in fondo non si meritano molto.

Noi giornalisti siamo quelli che questo lavoro, sognato da sempre, non riusciremo a farlo mai o quasi mai come vorremmo.
Essere giornalisti, oggi, non vuol più dire essere un prescelto che si cimenta in un lavoro nobile, tutt’altro, essere giornalisti vuol  dire essere appaiati a la qualunque in grado di fare una frase con soggetto – verbo – complemento senza un minimo di cognizione di causa, della serie “che ci vuole, sono capaci tutti” e fanculo alle lauree, ai master che ti spennano e agli stage sottopagati.

Ma mettetevi comodi perché il bello deve ancora venire.
Noi giornalisti di oggi siamo quelli che questo lavoro se lo devono mantenere, manco fosse una suocera o un fidanzato sfaticato, siamo quelli che per fare anche i giornalisti dobbiamo essere pronti e capaci a fare tutt’altro, siamo quelli che non possono neanche permettersi di guardare il conto in banca per paura di avere un mancamento, siamo quelli che non esistono domeniche, Natali, Pasque, ferie, giorno e notte e notte e giorno, siamo quelli che non possono stare fermi, quelli che devono stare al passo, quelli che ci rimettono, quelli che comunque vada non sono stati onesti, siamo quelli esaltati, poco umili, capaci solo di sparare sentenze, siamo quelli che “uomo o donna” c’è una bella differenza, siamo quelli che pioggia, vento, sole, ciclo, febbre a 39, gravidanza, labirintite, cambia poco, se vuoi avere due spicci “zitto e lavora”, siamo quelli che non possono presentarsi in gonna perché “Dio che volgarità” ma nemmeno in tuta “Da dove è uscita questa? Dalla Decathlon?“, siamo quelli che il disordine è il nostro pane quotidiano e che la pausa pranzo l’abbiamo consumata in macchina e che la macchina è sempre un ufficio, siamo quelli che devono necessariamente sapere tutto (altrimenti non siamo in grado) ma se sappiamo “tutto”, “Che pettegola”, siamo quelli che devono avere sempre coraggio a prescindere e a cui, talvolta, viene posto il divieto di sentimenti, o addirittura d’innamorarsi.
C’è sempre un però nelle cose.

Siamo quelli veri, quelli che la codardia non sanno dove si trovi, siamo quelli sempre sul pezzo e se lo siamo non è solo per tempismo, è per passione, la nostra arma migliore. Non posso dire che siamo tutti uguali e forse il bello è proprio questo, il non essere tutti uguali, perché c’è chi preferisce la carta stampata, chi il web, chi un blog che riesce ad aggiornare solo all’una passata di notte e sui cui si poseranno forse tre paia di occhi, siamo quelli che credono ancora nel diritto d’informazione e nella verità, quelli curiosi, che scavano, che vanno a fondo e non s’arrendono, quelli da “sposare” nonostante una vita piena di casini e nonostante nessuno abbia il coraggio di farlo, siamo quelli nati con questa predilezione o riscoperta lungo un percorso, ma attaccata visceralmente al più profondo e remoto dei sogni richiuso nel più segreto dei cassetti di un armadio a sei ante rilegato in soffitta, ricoperto di polvere ma mai troppo lontano dalla nostra luce, quella che, in un modo o nell’altro, sa sempre emergere dal buio più profondo.
Siamo quelli delle spalle larghe, della vita in salita perenne, dei sacrifici che non bastano mai e quelli della mente e del cuore, sempre e incondizionatamente…fuori dal coro ma unici.
Poi forse, o senza forse, qualcuno sarà pure pennivendolo e puttana, perché in fondo alla fine del mese dobbiamo arrivarci tutti e perché essere puttana, il mestiere più antico del mondo, ha anche quel non so che di tradizione, storia, memoria.

La nostra più grande fortuna
, però, la costituite voi, che ogni tanto sparate a zero dandoci luce ma che soprattutto, passino le esigenze del paese, passino i decreti, le leggi, le presenze in parlamento, le promesse mai mantenute, il dovere, la dignità e l’orgoglio di saper rappresentare al meglio un grande paese, passino tutti questi fronzoli, l’importante è “a puttane sempre presenti”.

Buonanotte Cara Italia.