Ciao Alika, ciao. Le prime parole di queste poche righe le rivolgo a te, nella speranza che tu ora possa aver intorno la pace e vivere in un posto migliore, fra i colori dell’arcobaleno ed un tripudio di cuori buoni.

Io non ho pensieri per gli altri, non ho fiato, e forse non ho nemmeno più speranze. Gli altri sono quelli che ti hanno visto morire davanti ai loro occhi, aggrappati ai loro iPhone da 1.500 euro, intenti ad utilizzare il filtro giusto per mettere ancora più in risalto il colore della tua pelle scura. Purtroppo, però, non esistono filtri per aggiungere un pezzettino di cervello al vuoto cosmico delle loro teste vuote.

Gli altri sono quelli che non appartengono all’umanità, sono gli inumani. Sono lo schifo che resta di un’equazione molto semplice, dove razzismo al quadrato evoca solo altro razzismo, parentesi tonda, parentesi quadra, parentesi graffa, uguale indifferenza. E non è tutto qui perché a piene mani si attinge all’odio per i poveri, alla odio generalizzato, all’incapacità di avere un proprio pensiero libero e pulito e non condizionato, tanto dalla politica, quanto dall’opinione pubblica.

Il mondo funziona al contrario. Se difendi un nigeriano, invalido, che prova a vendere fazzoletti, che chiede l’elemosina, sei un fallito anche tu. O peggio ancora sei un qualunquista incapace di difendere il proprio paese, come se questo “nostro” territorio debba essere ricco più di soldati che di cittadini.

Ma la cosa che più mi fa rabbia e paura in questa situazione è che Alika non è morto “solo” quando Filippo Claudio Giuseppe Ferlazzo, gli ha sferrato quei colpi da assassino, non è morto “solo” in un’agonia lunga quattro minuti e non è morto “solo” quando quella stampella e quelle mani nude lo hanno accinto alla gola…

…Alika è morto nel vostro silenzio. Nella vostra omertà. Nei vostri merdosissimi like che oggi fanno più gola di un corpo che va a fare da scudo a quelle botte, nell’indifferenza di un popolo che non ha più ideali, non ha più valori e forse non ha nemmeno più amore. Questi sono “gli altri” ma voglio credere che non siano tutti. Ed io sento ancora di far parte di quei “tutti” che trovano il coraggio di mettere nero su bianco un dolore, un pensiero, le urla di un’ingiustizia acuta, crudele.

L’indifferenza ucciderà il mondo, ma poi si ritorcerà contro ed ucciderà anche noi stessi. O forse lo sta già facendo.

Ciao Alika, ciao. Trova il tuo posto su una nuvola bianca, proteggi la tua famiglia e riposa in pace.

Foto Gianluca Costantini
IG channeldraw

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Vi siete mai chiesti quali siano i diritti delle donne forti? Io sì, ci ho pensato a lungo qualche giorno fa, ho stilato una lista e mi sono resa conto che le donne forti non solo hanno gli stessi diritti di tutte le altre donne, ma più di tutto hanno il diritto di essere deboli.

Le donne forti non sono indistruttibili, non hanno una corazza tatuata sulla pelle, non sono delle stronze patentate che non sanno piangere e che se ne fregano di tutto e tutti, è vero non si sbilanciano troppo e non fanno voli pindarici con i sentimenti altrui, tantomeno con i propri, ma sanno comprendere, sanno ascoltare, e non giudicano. Mai.

Le donne forti sono lo scoglio a cui vi appigliate senza chiedere permesso pur di non annegare in un mare in tempesta, loro non si sgretolano facilmente e non cadranno mai davanti ai vostri occhi, ma hanno un vissuto a forma di strada e passi compiuti.

Non confondete la loro leggerezza con superficialità, planano sulle cose dall’alto perché cercano nuovi punti di vista, nutrono la mente di alternative, di scelte, e fremono quando devono dire la loro. Ma poi magari inciampano, sbandano, perdono la rotta e si ritrovano deboli in un mare in tempesta. E chiedono aiuto con gli occhi, senza essere capite. E così annaspano, ma non affondano.

Le donne forti hanno segreti che non raccontano nemmeno a loro stesse, si guardano allo specchio alla ricerca di conferme che faticano a trovare nei volti altrui, si raccontano storie che gli altri non hanno tempo di ascoltare e provano a credere che a quella stessa forza possano aggrapparsi anche loro.

Le donne forti hanno paura. Di fare un passo, di imboccare una strada contromano, di ritrovarsi ad un bivio, di aprire la porta di casa e non sbattere sulla bellezza di un cane che scodinzola e ti corre incontro, o sul profumo di una cena quasi pronta, ma anche di essere troppo stanche per ritirare i panni stesi. Hanno paura ma anche coraggio. E quando si guardano attorno non scorgono vuoti ma spazi, e la stanza non è così deserta e la credenza nasconde in fondo in fondo i biscotti al cioccolato. E allora anche una serata sul divano, con le mani che affondano nelle calorie ed in tv un film strappalacrime, possono avere un enorme senso di rispetto verso loro stesse.

Le donne forti fanno paura perché la gente scambia la loro determinazione per un bene d’uso comune e la loro indipendenza per una fuga dalle cose facili, e allora sembrano complicate in un mondo semplice quando in realtà sono semplici in un mondo complicato e forse proprio per questo restano con i pezzi di puzzle in mano senza riuscire a dare forma al quadro.

Le donne forti sono così forti che brulicano nell’invidia altrui di un mondo troppo codardo per ammettere che per quella forza venderebbero reni e congiungerebbero mani in preghiere folli, ed è così che le fate sentire sbagliate, dando largo alla vostra ipocrisia più che alla vostra lealtà. Se solo sapeste ascoltarvi, tutti quei cassetti che avete nelle vostre menti non conoscerebbero polvere.

E scorre il tempo, nemico giurato delle rughe sul cuore. E si ritrovano al terzo atto di uno spettacolo per cui non hanno pagato il biglietto. Stanno lì, sul palco, col trucco colato, senza copione e le luci in faccia che cercano di domare con le loro stesse mani.

E non ce la faranno a strappare applausi, eppure, nonostante tutto, non sapranno nemmeno arrendersi.

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La storia del calcio femminile è una storia impregnata di pregiudizi, dove chi ci crede si ritrova a sbattere su un muro a costo di lasciarci le ossa, la pelle, il cuore, pur di ridurre in brandelli il cemento armato. È un po’ il “Nothing is Impossible” ma al contrario, dove infondere il dubbio agli avvocati del “So tutto Io” ha le sembianze di un miracolo.

Eppure qualcuno ha fatto male i conti, perchè dall’altra parte del muro non c’erano soldati, bombe atomiche, missili terra area, non c’erano fenomeni, non c’era saccenti, ma c’era il peggior nemico che ti possa capitare quando decidi di mettere i bastoni fra le ruote, c’erano le donne. Mi correggo, ci sono le donne. Il “sesso forte”.

Ho appena finito di guardare Azzurro Shocking, il documentario ideato dalla Rai per raccontare come le donne si siano riprese il calcio. Bello, bellissimo. Complimenti alla Rai per il lavoro fatto. Un concentrato storico e adrenalinico nudo e crudo, che ti sbatte in faccia la realtà delle cose, il sacrificio, che ti mostra il mondo in cui fino al 30 giugno 2022 queste ragazze hanno vissuto. Perchè dal 1 luglio qualcosa è successo per davvero e avere un infortunio, partorire, dedicare la propria vita a questo sport non come un secondo lavoro, ha un senso. In Italia, per la prima volta, ci sono sportive professioniste e sono le calciatrici, e non si parla di stipendio, si parla di diritti. Chissà che qualche altra federazione non prenda esempio.

calcio femminile

Questa mattina mi sono svegliata con una sana agitazione nello stomaco, con le farfalle che cercavano di domare il concerto di emozioni, mi succede sempre così quando so che di lì a poco ci sarà dello sport di cui cibarsi. “Today is the day”. Il 6 luglio è iniziato l’Europeo di calcio femminile 2022, oggi tocca a noi, tocca all’Italia. Alle ore 21 il fischio d’inizio di una partita che non vedrà tanto le transalpine contro le azzurre, quanto la Francia contro tutte noi. Noi che ci abbiamo sempre creduto, noi che abbiamo lottato, noi che non abbiamo più bisogno di licenziarci per partecipare al raduno estivo, noi che ogni giorno coltiviamo questa passione cucendo un vestito che ci trasforma in calciatrici, giornaliste, dirigenti, collaboratrici, allenatrici, preparatori atletici, noi che abbiamo preso a testate quel muro senza preoccuparci delle conseguenze.

Quest’ Europeo è più di tutti quello che dimostra quanta strada sia stata fatta, ma caricarsi di eccessive responsabilità non vale, tutto ciò che vale è la consapevolezza che nulla avviene senza sacrificio, e che scendere in campo compatte, un po’ incazzate, con il desiderio di giocarla per prendere il sopravvento sul senso del dovere, sia abbastanza da poter dire “Sì, ce la stiamo facendo”.

Chiudere gli occhi e lasciar scorrere nelle menti il susseguirsi di fotogrammi di una strada lunghissima, una sorta di reel dei tempi moderni, vuol dire avere a che fare con gli anni in cui le donne giocavano a calcio utilizzando materiale usato, vuol dire avere a che fare con l’accettazione della prima donna arbitro, vuol dire Carolina Morace prima allenatrice nella storia del calcio maschile, Patrizia Panico primo tecnico di una nazionale azzurra, vuol dire riempire l’oblìo di frasi tipo “La domenica stai a casa a stirare”, vuol dire tornare a quando era difficile immaginare qualcosa che non esisteva.

“Sembra sempre impossibile finche non viene fatto” (Nelson Mandela)

Undici ma non undici, ventidue ma non ventidue, centinaia ma non centinaia…milioni: questo Francia – Italia e tutto quello che sarà vedrà un popolo intero scendere in campo mano nella mano, e lo farà con due grandi consapevolezze.

La prima è che il calcio, lo sport, non è uomo o donna, e non è di tutti: è di chi lo ama. L’amore vero esige rispetto, senza rispetto, non è amore.

La seconda è che la differenza tra uomo e donna la fa la competenza, la trasparenza, il coraggio, la personalità. Nient’altro. Mi spiace deludere i detrattori sottolineando che le donne hanno coraggio e personalità da vendere.

“Siam pronte alla morte, l’Italia chiamò”.

Foto FB nazionale di calcio femminile

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Che tu abbia dieci anni o settantacinque, che i tuoi gusti musicali spazino dai Guns N’ Roses ad Achille Lauro, che tu sia un giardiniere di un piccolo paese di provincia o il più rinomato imprenditore in doppio petto di piazza Gae Aulenti, da una regola non scappi: è sempre l’ora del Deejay Time.

Dopo due lunghissimi anni di assenza, il Rugby Sound Festival di Legnano è ripartito in grande stile e non poteva certo fare a meno del Deejay Time. Albertino, Prezioso, Fargetta e Molella, in giro per l’Italia con AdvenTour, hanno fatto ballare migliaia di fanciulli e fanciulle giunti da ogni dove per immergersi in quell’atmosfera che solo i quattro moschettieri della consolle sanno regalare.

deejay time

E chissenefrega delle code chilometriche per una birra, delle zanzare, dell’ appiccicaticcio, dei polveroni alzati dalla terra sotto i piedi che in realtà non era nemmeno troppo vicina a quelle impronte, con le gambe in continua direzione “verso l’alto”. La voglia di urlare a squarciagola, di ballare senza pensieri, di azzerare il “tutto intorno” e godersi il momento, mentre il Deejay di turno sbloccava ricordi di continuo, hanno preso il sopravvento come solo quei quattro mattatori sanno fare.

Ballare, cantare, urlare, e non obbligatoriamente in questo preciso ordine, sono stati i verbi coniugati all’infinito con quello show che in realtà non sarebbe dovuto finire mai, nella serata in cui il famoso “Illumina” di Albertino ha dato una nuova luce al Castello di Legnano: perchè tutto quello che c’è stato prima non aveva lo stesso risalto, e perchè tutto ciò che verrà dopo avrà la strada tracciata da uno shaker di mixaggi che rilanciano l’estate del divertimento. Ma è sempre così, in fondo, dove passa il Deejay Time lascia il segno, indelebile sulle anime leggere di chi ha collezionato i ricordi di una gioventù troppo lontana ma nitida nelle menti e nei sentimenti, o più semplice ma genuino, per chi, invece, è stato influenzato da fratelli maggiori, mamme, papà, amici più grandi ma ha comunque cucito frammenti di avventure esaltanti.

E così questo spettacolo nello spettacolo è scivolato via in poco più di due ore e tra le mille emozioni ci ha fatto anche commuovere: “Devo mettere ancora due canzoni prima di andare viaha detto Molellala prima è per tutti quelli che almeno una volta nella vita si sono innamorati, la seconda è per il mio amico Gigi”, l’applauso ha accompagnato “Con il Nastro Rosa” e ha detto tutto quello che c’era da dire.

“Non c’è Deejay Time senza Rugby Sound Festival” ha urlato Albertino in uno dei momenti della serata, “Non c’è Rugby Sound Festival senza Deejay Time” avrà pensato la maggior parte della folla, ma in verità non c’è estate, non c’è memoria, non c’è baldoria che basti a farci sentire necessariamente vivi senza il connubio di entrambe, perchè il Rugby Sound ed il Deejay Time sono solo una cosa: il connubio perfetto.

Foto di copertina Elena Di Vincenzo

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No, la mia maturità non la ricordo con piacere assoluto, non la ricordo con quella sensazione di appagamento né tantomeno come un punto esclamativo posto con il sorriso sulla fine di un percorso, per me fu quasi tragica (a tratti tragicomica), ma sono passati un po’ di anni e sono abbastanza certa che da quella volta alla maturità 2022 qualcosa sia cambiato.

Oggi è tutto diverso, tra tablet e idee fin troppo chiare sul “Cosa farò da grande”. Io avevo solo una certezza ovvero che da quell’istituto sarei uscita e avrei fatto altro. Perchè ero di passaggio lì, ma lo sapevo fin dal primo giorno che mi sarei dovuta spingere oltre per colorarmi la vita di entusiasmo e caos, che in fondo sono gli ingredienti essenziali di quello che faccio oggi.

Per me fu una certezza quel traguardo, quel diploma, un punto fermo come a dire che da lì non sarei più tornata indietro e non sarei più caduta troppo in basso.
Il 5^ anno di ragioneria fu un anno difficile, sotto diversi punti di vista, e so bene che agli esami non arrivai pronta. I motivi erano diversi ma a ripercorrerli oggi paiono banalità. È strana la vita, in un attimo hai davanti l’Everest ed un paio di battiti di ciglia dopo ti ritrovi catapultato in un’altra epoca, ti giri indietro e vedi lo stesso Everest trasformatosi in una piccola duna, e davanti a te strade troppo strette e diritte per chi vuol cambiar rotta oppure sdraiarsi un po’ (grazie Liga!).

La mia notte prima degli esami

La mia notte prima degli esami, o meglio prima della prima prova, il tema di Italiano, la passai a cercare su internet possibili tracce che potessero illuminarmi quelle ore. Trovai ipotetiche e farlocche soluzioni che ovviamente non avevano nulla a che fare con ciò in cui mi sarei imbattuta il giorno dopo, ma per un attimo furono sollievo. Dormii poco, un classico, e mi ritrovai immersa in un saggio legato al valore dell’amicizia. Ci volle tempo, anni, per capire la rarità del riuscire a trovare un amico vero, altro che quel foglio protocollo fatto più di frasi ridondanti e ad effetto che di verità. Che per dirla tutta la verità non la so nemmeno oggi…che cos’è un amico? Bella domanda vero? Non c’è risposta su alcun libro, è la vita che te lo insegna.

Il secondo giorno era tempo di economia, il terzo della prova “mista” e poi spazio all’orale dove fui la prima di tutto l’istituto. E tutto l’istituto praticamente era alle mie spalle. Situazioni imbarazzanti ne abbiamo? I prof mi misero in difficoltà, come a dire “Signorina non penserai mica di passarla liscia”, e infatti fu ruvida, altroché. Ruvida, scorbutica, complessa. Ci fu quasi dell’accanimento da parte di chi non me lo aspettavo ed una inaspettata sciallaggine da parte di chi mi aveva tartassato per anni (leggasi prof di Diritto e Scienze della Finanze).

La domanda più bella fu l’ultima: “Cosa farai fuori da qui?” “Tenterò il test di ingresso di Scienze della Comunicazione, mi piacerebbe entrare nel mondo del giornalismo”. Si guardarono un po’ sbigottiti. Mesi prima quella stessa domanda me la fece la prof di religione, che già una che fa la prof di Religione si commenta da sé, ma udite udite: “No, tu devi fare un post diploma di un paio d’anni, trovare la tua strada e cercare una sistemazione”.

Laura triennale in scienze della comunicazione interculturale. Conseguita in tre anni e mezzo. Lavorando.
Laurea specialista in teorie e metodi per la comunicazione. Conseguita in tre anni. Lavorando.
Master di primo livello in “Sport Management Marketing and Sociology”. Durata un anno. Lavorando.
Tralascio i corsi che tutt’oggi mi ritrovo ad affrontare…e niente, faccio il lavoro più bello del mondo.

Maturità 2022, cosa ne sarà di voi…

Partendo dal presupposto che io non sia nessuno, mi permetto di dire solo che voi, cari maturandi, sarete esattamente ciò che vorrete essere. L’esame di maturità 2022 non vi renderà realmente maturi, ma coraggiosi. Vi aiuta a capire che le sfide si devono affrontare a testa alta anche se non sapete tutto della 2° Guerra Mondiale e non siete degli assi della matematica. La maturità è l’apripista del vostro futuro, vi spalanca le porte, pone qualche segnale lampeggiante e vi mostra le innumerevoli strada da seguire: ad un incrocio in auto ci sono almeno tre scelte percorribili, sta all’autista mettere la freccia e pigiare sull’acceleratore.

E voi pigiate. Pigiate. Il bagaglio che vi porterete dietro sarà un ottimo biglietto da visita ma credetemi quando vi dico che non sarà il numero finale di questa maturità 2022 a consegnarvi una classificazione nel mondo, non sarà quel numero a definire se diventerete dei falliti o degli imprenditori, degli incompiuti o dei geni, com se poi avesse davvero importante, ma a fare la differenza sarà il modo in cui ci sarete arrivati. E parlo di atteggiamento, non di bigliettini. Che i bigliettini non hanno mai fatto del male a nessuno, le intenzioni, il modo di porvi, la volontà, l’assenza di curiosità e di ambizione, sì. Fanno del male a tutti quelli che se ne privano, a voi/noi stessi.

La Notte Prima degli Esami ve la ricorderete per sempre e nella maggior parte dei casi la citerete al tavolino di un bar con un sorriso divertito, o alla cena di classe di qualche anno dopo. Provate a domare le emozioni, a non sentirvi appesi ad un filo, in fondo domani sarà un altro giorno, e questa notte avrà tutte le sembianze di un trampolino di lancio.

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Ho scritto la più bella lettera d’amore e l’ho scritta perchè tu mi hai insegnato come fare. La verità è che mi hai insegnato tante cose, e forse la pienezza di tutto la sto comprendendo ora.

Un anno dopo provo ancora tanta rabbia, ma sto imparando a domarla, provo a respirare profondo, ma annaspo un po’, provo a camminare senza vacillare troppo, talvolta ci riesco, talvolta un po’ meno. Provo a non piangere e mi nascondo dietro il cuscino quando lo faccio, spero sempre che tu non mi veda. Un anno dopo è cambiato tutto e poi ci penso e non è cambiato niente. Ti racconto le cose che non ti ho mai detto, rido e mi chiedo se lo stai facendo anche tu, osservo posti ed immagino di vederli con i tuoi occhi, sento le tue parole e solo ora le ascolto per davvero.

Tutto questo non mi basta papy, non sarà mai abbastanza, e così mi aggrappo alla lettera, alla nostra lettera d’amore, e mi rendo conto di quanto tu sia stato il primo, il solo e l’unico.

Se è vero che quel maledetto 19 giugno mi ha strappato un pezzo di cuore, è vero anche che la vita mi ha fatto un regalo troppo grande, e che la tua grandezza è proprio quel mantello che mi abbraccia da dietro e mi fa sentire al sicuro. Non sei andato troppo lontano nemmeno stavolta, Papy…

La nostra lettera d’amore, è QUI

Il mio amato calcio dilettanti. 5 settembre 2021, 5 giugno 2022: nove mesi esatti, duecentosettantatre giorni e di fronte il primo weekend senza calcio. Nè un torneo, né un’amichevole con la mia squadra, né una finalissima da poter andare a scovare in un paesino anche a 100 km da qui, come altre volte ho fatto. Nemmeno un match estivo della Juve. Niente. A malapena la Nations League, capirai.

Anche quest’anno va in archivio un enorme capitolo del mio libro preferito, quello a cui non sono ancora riuscita a trovare né un titolo né una copertina ma che un giorno potrebbe davvero finire nero su bianco. Avrei così tante storie da raccontare…

Calcio dilettanti, stagione 21/22

È stato un anno lunghissimo, intenso. Pieno di vicende controverse, di sbagli, di articoli mancati, di imprevedibilità, di errori grossolani e microscopici, di interpretazioni errate, di moduli non capiti e scelte non afferrate. Ho tanto da migliorare.

Ma dall’altro lato è stato anche un anno di ossigeno ritrovato intorno a quel rettangolo verde, di trasferte improbabili, di telefonate e messaggi in orari strampalati, di lacrime e di sorrisi, di sorrisi e di lacrime, di interviste piene, di scoop o qualcosa di simile, (sono gli altri che preferiscono chiamarli così), di insegnamenti, di confessioni, di scelte raccolte al volo, di tempismo, di confronti. Amo i confronti, aiutano a crescere e ad arricchirsi. Ma soprattutto, di emozioni, di passione, il denominatore comune della frazione perfetta. Perché è così che funziona, tu ti dividi in mille mila parti ma sai che “sotto” di te non c’è un numero, ma un fattore. Un appiglio. Una ancora di salvataggio.

Ce l’ho, ce l’ho, mi manca

Sto cercando di mettere in fila i ricordi e non so perché, d’istinto, mi sto soffermando su un paio di occhi lucidi che non mi aspettavo di incrociare, non così almeno. Il Var conferma che si trattava di due lacrimoni enormi, i replay non ingannano. Tutto d’un pezzo e poi…basta un coro per sciogliersi a volte. Ci sono le mani sul volto di un “ragazzino” incredulo di fronte ad un trofeo vinto, la rabbia per un playoff andato come non doveva, uno stadio gremito di palloncini e bimbi, un gol alla Zidane, un inverno troppo lungo e che ci ha fatto temere un nuovo stop, un direttore sportivo che fa quadrare i conti con gli spicci ed un altro che cerca conforto. Sorpassi e controsorpassi, pronostici azzeccati e miseramente falliti, pacche sulle spalla e gol da trenta metri. Questa stagione 21/22 è un altro album zeppo di figurine, fotogrammi, citazioni. e lo metto in bacheca.

Il mio posto nel mondo

Ma tra tutto quello che è stato e quello che sarà, ci sono io, che mi lascio alle spalle un’annata complicata ma piena, fatta di due estremi che nel loro interno abbracciano un “Ma tu sei Mariella Lamonica? Ti leggo sempre, i tuoi articoli sono bellissimi” e un “Grazie per tutto il lavoro che fai, grazie per come lo fai” ma anche di mille dubbi (“Il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli non hanno dubbi” cit.) e di una nuova certezza: c’è una linea sottile fra il tempismo e il fuori luogo. La tempestività è l’arma di chi riesce a trovarsi al posto giusto al momento giusto, il fuori luogo appartiene a color che hanno messo in atto la guerra dei poveri(ni) e ne sono gli unici protagonisti. Chi tace non è stupido, chi tace è una signora.

Bisogna sapersi togliere i sassolini dalle scarpe per poter camminare comodi, anche perché la strada è ancora lunga.

Grazie calcio dilettanti per avermi nuovamente scombussolato la vita. Talvolta mi spingi all’estremo del mio credo e nemmeno il tempo di pensare “Ma chi me lo fa fare”, che ti sei già fatto perdonare.

Sai sempre come prendermi…tu mi prendi per il cuore.

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Willy Gnonto è una favola semplice, quasi troppo semplice per sembrare vera.
A 19 anni ancora non compiuti le cose difficili le ritrovi spesso in una dimensione parallela e fanno rima con la paura che non conosci, ed anche un debutto in Nazionale Maggiore quando hai alle spalle un passato fatto di un padre operaio, di una madre cameriera, di un paesino di 30 mila abitanti che si affaccia sulle sponde del lago Maggiore, può rivelarsi in un sogno semplice inzuppato nella speranza. La speranza di credere che, talvolta, il talento misto al sacrificio e al crederci per davvero, siano l’equazione perfetta.

Corsi e ricorsi storici: Italia – Germania

In una calda sera che anticipa l’estate alle porte e prova definitivamente a chiudere quel maledetto cerchio mondiale, al minuto ’65 si alza il tabellone luminoso, quello che indica “Willy Gnonto è il tuo momento”. Lo stadio Dall’Ara lo ha già scelto, appena dopo Mancini, e lo applaude aggrappandosi a quella freschezza sul volto in segno di rinascita. Voltare pagina può passare da questo sorriso. Gli fa spazio Politano ma poco importa, il numero undici dell’Italia si fionda su quella fascia destra come se non vedesse l’ora di percorrere il binario che più che da Donnarumma a Neuer, lo porta da Verbania al Paradiso.

Passano cinque minuti e lui sa già cosa deve fare, deve prendere la sua personalità a due mani e colpire, mordere un Keher già ammonito, per lasciare il segno. Fa di più. Forse Keher avrebbe tanto voluto farsi ammonire di nuovo, ma non ci riesce, Gnonto vola via, in quelle ali c’è il suo sogno, in quei piedi, in quell’assist per Pellegrini, c’è un gol alla Germania che la storia ci insegna avere sempre un certo peso specifico. E poi c’è il gol di Kimmich che fa un po’ rabbia ma non spegne gli entusiasmi, contrasta i 25 mila del Dall’Ara che cantano, spingono, danno fiducia a volti nuovi per un percorso lunghissimo che sarà, anzi che è già iniziato.

Willy Gnonto, lo stagista

I tre fischi valgono un mattone posto sulle ceneri, il post partita raccoglie un imbarazzo timido ma genuino, speciale a tratti, perchè si aprono finestre sugli archivi di libri fermi al capitolo uno e dal titolo “Cosa farò da grande”. Willy Gnonto maschera Il rossore sulle guance con le sue sane origini ivoriane e si presenta come se fosse ad un provino: tre anni di liceo classico gli valgono il soprannome di latinista, l’infanzia tra Suno e Baveno dove cresce a pane e calcio, l’approdo all’Inter “Conoscevo tutti, era casa mia” ed i tragitti Verbania – Appiano all’età di 16 anni quando poi osa: “A quest’età ho scelto di giocare e sono andato in Svizzera“. Oggi è un punto fermo dell’attacco di Andrè Breitenreiter dello Zurigo, quest’anno 30 presenze tra coppa e campionato e 10 gol. Dopo quest’apparizione chissà, magari qualche riflettore in più si è acceso sugli occhioni grandi di Willy Gnonto.

Con la mano che attorciglia il pantaloncino, i complimenti che piovono da ogni dove, l’umiltà di chi sa che questo è solo un punto di partenza, un sorriso accentuato da un apparecchio che sa ancor di più di gioventù, c’è un’Italia che vuol tornare a volare in alto insieme ai 170 centimetri di quello stagista con l’apparecchio che punta al contratto a tempo indeterminato.

E se da un lato c’è un motto che potrebbe recitare più o meno così: “Crescere, sbagliare, fare gol”, dall’altro c’è il tuo:

Il mio motto è divertirmi qualunque cosa io faccia“.

Pensa, Wilfred “Willy” Gnonto, anche il mio. E allora vivi il tuo sogno e facci divertire.

foto goal.it

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Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l’aquilone,
Togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace…

Posso partire da qui? Dalle bolle di sapone? Dal luccichio che nascondono, dalla magia che abbracciano, dalla leggerezza che mettono nel serbatoio per poter volare in alto. Chissà quante volte, da piccolina, ho soffiato troppo forte e lo ho viste scoppiare sul nascere, riempiendomi le dita di sapone, sentendone un profumo che non poteva bastare per gli occhioni grandi di una bimba troppo testona e curiosa che quelle bolle voleva trasformarle in ali per se stessa per farsi trascinare lontano.

Se penso alla mia ultima settimana mi sento così leggera e al tempo stesso piena da non saper da che parte iniziare per raccontarla.

Partiamo dalla leggerezza allora, partiamo dal saper prendere le cose così come vengono, senza troppe aspettative, e senza la paura di uno di quei no che sa tanto di portone sbattuto in faccia e bernoccolo sulla fronte. L’ho affrontata così questa impresa, imponendomi solo due regole: la prima era quella del “Senza rimpianti”.

I tag su IG, quelli belli

Quando la mia amica Gaia, interista sfegatata, mi ha taggato nel post dei The Jackal Commenta con noi la finale di Coppa Italia Juve – ,aInter“, era un po’ uno sfottò tra amiche tifose di due squadre diverse, della serie “Se andassimo noi sarebbe la fine”. Ma quando mi sono soffermata su quell’asta benefica, sulla possibilità di aggiudicarsi una maglia e devolvere tutto in beneficenza, per poi ritrovarsi su una poltrona vip dell’Olimpico di Roma e sul divano di casa Ebay accanto ai The Jackal, ho pensato che più che uno sfottò, potesse essere un bel mix di occasioni. Tante occasioni bellissime, in una botta sola. Ci ho pensato due notti e poi, appunto, ho applicato la prima regola: senza rimpianti.

Memento audere semper: fase uno

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Ho lanciato una campagna crowdfunding, ho contattato non so quante persone in tre giorni (grazie grazie grazieeeeeee!), gli ho spiegato la finalità benefica ancor prima del mio sogno, ed ho provato a far capire loro che è sempre il momento giusto per un gesto nobile (questo me lo hai insegnato tu papy). L’asta ha avuto due vincitori, Ezio, l’interista palermitano mio compagno di avventura, e me. Alle ore 18 di domenica scorsa ho chiamato mia mamma, mia zia e mio zio per poter urlare la mia felicità. Mi avesse risposto qualcuno…

…ho virato su mia cugina: “Ho vinto, ho vinto iooooo” e almeno lei la soddisfazione di saper schiacciare il pulsante verde sullo smartphone me l’ha data. E poi ho scritto su Facebook, su Instagram, sulla mia campagna crowfunding, sullo stato di whatsapp mai utilizzato fino a quel momento, su mille conversazioni a caso per ribadire a chi stava dall’altra parte la mia mattaggine, poche illusioni, mi conoscono da tempo, la conoscevano già. Il tutto, chiaramente, nella più classica domenica lavorativa, tra partite commentate, interviste e redazione. Ma questo non ditelo al mio capo.

Memento audere semper: fase “The Jackal sto arrivando”

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Vi tralascio i preparativi: chiama Livia l’amica romana sempre pronta ad ospitarti, prenota il treno, recupera la valigia, decidi cosa mettere in valigia, ed ovviamente fai la valigia a mezz’ora dalla partenza (must immancabile di ogni mio viaggio), prova a dormire di notte, non dimenticarti di mangiare, e poi lavora, lavora, lavora, che la vita da freelance è una corsa continua tra scadenze, giornate sempre troppo corte, un telefono acceso h24, arrampicate a mani nude su montagne di problem solving (esistono le lauree ad honorem per questo?) ed acuti attacchi di “Mannaggia a me e a chi me lo ha fatto fare” salvo poi “Dio benedica la mia indipendenza”.

Alla luce di tutto ciò: “It’s coming Rome”. Per alzare l’adrenalina, in una giornata da 152°, percepiti 157° sul campo, mettiamoci subito una mezz’ora di ritardo del treno. Muoversi nella capitale soprattutto in mercoledì particolarmente sportivi tra Coppa Italia ed Internazionali di Tennis, ve lo lascio immaginare. A casa di Livia nemmeno il tempo di abbracciarci è stato subito un trucco e parrucco e zaino e prenota il taxi e “Fammi un caffè ti prego”.

Ta daaaaa, lo stadio Olimpico

the jackal

Giunta allo stadio con 45 minuti di anticipo (sì, per la prima volta in vita mia sono arrivata in anticipo), i primi (e unici) applausi li ho ricevuti dal mio contapassi che alle 18.07 aveva già sforato i 10 mila passi. Varcati i primi cancelli dell’ingresso gladiatori, mai nome fu più azzeccato, ho applicato la seconda regola: essere me stessa. Ringrazio tutti quelli che avevano dispensato perle di saggezza sul “Fai così, fidati”, fidatevi voi, per una volta, sapevo esattamente cosa dover fare, tradotto, nulla. Essere me stessa è bastato e avanzato.

Ho salito quelle scale al ritmo del mio cuore che ha poi toccato gli 8 mila battiti al minuto quando mi sono affacciata dalla tribuna vip su quel rettangolo verde. Occhi a cuore e pace dei sensi.

Dalla poltrona vip al divano dei The Jackal, il salotto era completo. Ecco perchè alla domanda di Fru: “Come ti senti quando hai lo stadio sulla sinistra e la tv di fronte e sei costretta a guardare la partita lì?”La risposta non poteva che essere una sola: “A casa, come se fossi a casa”. Non ho mentito. Ero lì, su quel divano, con indosso la maglietta di capitan Chiellini, con un sorriso che raccontava già molto e con gli occhi che facevano il resto. Al posto giusto, al momento giusto, più di un tapin vincente di David Trezeguet ai tempi d’oro.

Mary seven felice, grazie The Jackal

Quello che è successo in quei lunghissimi novanta minuti, divenuti centoventi, sconfitta della Juve annessa (😢😡) lo trovate qui. Tutto il resto, le emozioni, le sensazioni, i brividi, invece, li trovate qui 💙 È la cassaforte senza combinazione, una volta entrati, è impossibile uscirne.

Leggera e piena. Ecco come si spiega.

Il segreto per far volare le bolle di sapone sta in un fil di fiato.

Libero com’ero stato ieri ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi 
Adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori

ps. Il più bel messaggio ricevuto: “Grazie per l’insegnamento: anche se una cosa sembra difficile o impossibile, non provarci è un delitto”. Thank you.

È stato un Sanremo 2022 davvero da mille e una notte quello andato in scena al Teatro Ariston. Anzi cinque notti per l’esattezza, fonde pure, visto che l’Italia intera non faceva sti orari dai tempi in cui le discoteche erano aperte e la vita sociale aveva un senso compiuto. Un’altra epoca insomma.

E così mentre qualcuno è tornato a sentirsi giovane, o al contrario troppo vecchio con occhietto semichiuso già intorno alla settima canzone, ecco che Amadeus & co hanno condotto in porto la nave (capitana da sua maestà Orietta Berti) ed io, come al solito, mi sono divertita ad indossare i panni del giullare e a mettere la mia idiozia nero su bianco.

Dal martedì al sabato, tra quello che ho visto in diretta e quello che ho recuperato su Raiplay, ma anche sulla base di ciò che i miei ricordi offuscati ancora mi ripropongono (tra un meme ed un bicchiere di vino), ecco le pagelle “stonate” (e fatte rigorosamente a caso) firmate Mary Seven.

Bocciati Sanremo 2022

Tananai voto 4 – Mai sentito nominare fino ad oggi (è forse uno di quelli emersi da Sanremo giovani?), mai sentito cantare fino ad oggi. Perchè sto ragazzo che illude con un titolo che aggrada “Sesso Occasionale” non ha cantato nemmeno al Festival, ha stonato. Tutto il tempo. Non becca una nota nemmeno per sbaglio, un disastro dall’inizio alla fine ma quanto meno…costante (nello schifo).

Stilisti di Dargen D’Amico e Aka7even voto 0 – Si presentano alla finalissima esattamente con lo stesso, orribile, completo, fatto di pantaloni e giacchetta nera ma soprattutto di maglietta in glitter argentati roba che nemmeno a Bershka negli ultimi giorni di saldo. Tutto ciò dimostra, anche, quanto i protocolli covid abbiano funzionato alla perfezione: “Bounkerati” dentro i camerini, non hanno usufruito nemmeno degli spioncini, ma forse qualche strappo alla regola sarebbe stato meglio. Da rivedere.

Yuman voto 1 – Si presenta in pigiama all’ultimo atto, ma a sua discolpa canta in un orario in cui persino le babbucce, il segno del cuscino e la bolla al naso, non stonerebbero. Probabilmente una tisana in endovena ha fatto il resto. Assonnato.

Highsnob voto 2.5 – Lui pare un Achille Lauro ordinato su Wish. (cit. GG)

Ana Mena voto 5 – Direttamente dai quartieri spagnoli di Napoli, la figlia illegittima di Nino D’Angelo. “Altarini“.

Ana Mena con Rocco Hunt voto 4 – Riesce persino a peggiorare la situazione nella serata delle cover, ed era oggettivamente difficile. Masochista.

Gli outfit di Orietta Berti voto 2 – Solo una domanda: ma perchè vestirsi da bomboniera made in China per 5 sere consecutive? Boh.

Il megafono di Giusy Ferreri (non quello che ha in gola) voto 3 – Da buona cassiera dell’Esselunga è un attimo il “Cassa alla quattro, prezzo alla due”. Con il megafono effettivamente è più credibile. LOL-discount.

Haters e tuttologi voto -25 – Io lo so che avete una vita vuota e che le parolacce non si dicono, tantomeno sul web che amplifica tutto, ma avete decisamente rotto il ca…ctus. 🌵 Con l’emoji rende meglio l’idea? Da virologi dello Spallanzani, a direttori d’orchestra, ad esperti di curling è un attimo lo so, ma c’è anche gente, tipo me, che sta sul divano con la copertina e i pop corn e Sanremo 2022 se l’è guardato con piacere, senza elevarsi a maestri di vita assoluta, quanto piuttosto accaparrandosi il titolo di “gente qualunque” che scrive bagianerie su twitter. Così eh, senza troppi pensieri e senza nemmeno bussare alla porta di casa vostra. Cucinatevi una padellata di umiltà mista a leggerezza e vi garantisco che non vi spunteranno capelli bianchi per i prossimi quattro mesi.

Promossi Sanremo 2022

Tananai voto 7.5 – Pare “Aspettando Godot” quando attende la posizione in classifica, quella che lo consacrerà ultimo a tutti gli effetti. E lui festeggia, ma soprattutto uscendo dal palco dopo l’ultima esibizione spara un “Ci vediamo all’Eurovision” collegandosi, con ogni probabilità, al sito di Ticket One per comprare il biglietto. Ma anche così rischierebbe di non entrare. E allora che fa? Pubblica un twitter leggendario: “Io continuo a sperare nelle 24 rinunce di chi mi precede”. Crederci, sempre. Autoironico da far paura. 😂

Dargen D’Amico voto 8 – La nonchalance con cui regala i fiori alla violinista dell’orchestra al termine dell’ultima esibizione con tanto di “Te li meriti, sei troppo carina”, vale un dialettale “Ce sta’ a provà”. Si presenta agli occhi della sua bella con occhialini discutibili e outfit imbarazzante a cui non si può concedere nemmeno il beneficio del dubbio, è riluttante quanto basta; a questo aggiunge l’appeal di un bonsai e il coraggio di Stuart di “Una Notte da Leoni” quando si lascia staccare un dente. Impavido.

Rkomi voto 8.5 – Faccia alla Olmo, fisico alla CR7. Dal collo in giù merita una standing ovation. I piegamenti con Amadeus lo rilanciano nel Fantasanremo ma soprattutto risvegliano pure gli ormoni delle casalinghe di Voghera. Come dice la sua canzone…insuperabile.

Sabrina Ferilli voto 8.5 – “…Di tuttologi ne è pieno il web e io non sono una di loro. In definitiva, ho pensato: ma perché la presenza mia deve essere per forza legata a un problema? Io sto qua per il mio lavoro, per la tenacia che ho avuto per prendermi quello che volevo. Sono qui per la mia storia, questo conta. Ho scelto questa strada della leggerezza perché, come dice Calvino, prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Leggerezza, sempre 💙

Drusilla voto 9 – “La parola diversità non mi piace, ho trovato un termine che possa sostituirlo ed è unicità. Io sono già una persona molto fortunata a essere qui, ma date un senso alla mia presenza su questo palco e tentiamo insieme l’atto rivoluzionario, il più grande, che è l’ascolto. Ascoltate voi stessi, gli altri, le nostre unicità. Accogliamo il tutto, anche solo per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convinzioni. Facciamo scorrere i pensieri in libertà, i sentimenti, e liberiamoci dalla prigionia dell’immoralità”. Il coraggio di essere se stessi ha un prezzo carissimo, ma non c’è niente di più appagante al mondo. Unica.

Fantasanremo voto 9.5 – “Na Guerra”. Proprio come il fantacalcio. Ormai tutto ciò che inizia per Fanta è più illegale delle dosi di cui si fa Donatella Rettore. Ma quanto ha coinvolto? Certo, forse la situazione è un po’ sfuggita di mano ma…rileggete il commento accanto a Sabrina Ferilli….leggerezza suvvia. Papalina stupefacente.

La competitività di Emma al Fantasanremo voto 9.5 – Lotta col coltello fra i denti e delizia i suoi fantallenatori con un punteggio da vertigini. Fa la storia, sul palco con la Michielin, giù dal palco con un epico inseguimento dei carabinieri. Leader.

Elisa voto 10 – Bravissima, fantastica, meravigliosa, incantevole, magnetica. Oserei quasi dire…da brividi.

Matteo Berrettini voto 8 (in orizzontale) – Non ho finito solo gli aggettivi, ho finito tutto. Ma tutto proprio. Illegale.

Il dialogo Giannetta – Lastrico voto 10 – Chi se lo fosse perso può fare solo una cosa, andare a vederlo. Subito. Basta cliccare qui.

Gianni Morandi voto 11 – Se mia madre che ha quasi 70 anni dice “Quando arriva Gianni Morandi”, se i miei nipoti di 3 e 4 anni dicono “Quando arriva Gianni Morandi”, se io, che sto nel mezzo, dico più hoplà di Gianni Morandi ogni volta che mi alzo dal divano, è perché Gianni Morandi non ha età e cito gli 883, Sei un Mito

Amadeus voto 10 (e lode) – Potete dire quello che volete, ma a me piace. Mi è sempre piaciuto. Io lo trovo un conduttore giusto. Giusto perchè non esagera e non si autodeclassa, non lo ha fatto nemmeno quando la sua carriera tv lo vedeva ai margini a discapito di chi, ad oggi, a Sanremo ci ha messo piede due volte in vacanza con la ex. È giusto perchè fa ridere al punto giusto, fa il serio al punto giusto, sceglie le canzoni nel modo giusto, mixando generazioni come un bartender d’esperienza. Ha pure un futuro da driver. È arrivato al terzo Sanremo e personalmente non mi ha stancato nemmeno un po’. Non so se al timone di questa kermesse ci sarà ancora lui nel 2023, ma so che nel corso di questi tre anni ha tanti, tanti meriti, come, ad esempio, giusto per dirne uno, aver fatto rinascere il Festival. Gloria eterna.

Foto copertina rai1HD

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