E se vi proponessi un Chiavari Tour? Se vi dicessi che ne vale la pena? Vi fidereste?

Il mio lavoro è anche questo, per fortuna, e non vi nego che è uno degli aspetti che mi piace di più: valigia in mano e destinazioni “piccole” ma sorprendenti. Quando segui un evento nella maggior parte dei casi è sempre un “toccata e fuga”, un giorno, due, tre al massimo e riuscire a ritagliarsi del tempo per vedere qualcosa che i tuoi occhi non hanno mai visto non è semplice.

Ma a me piace riuscire sempre in tutto, anche in questo. Non nascondo che talvolta la bellezza di girovagare in compagnia, magari con una collega, offre stimoli maggiori ed opportunità diverse, ma passeggiare con se stesse, scegliere le mete e fare un po’ #tuttoquellochemipassaperlatesta (che resta di gran lunga uno dei miei hashtag preferiti) ha un enorme fascino.

E così sabato e domenica a Chiavari, in occasione della finale di Supercoppa Italiana di calcio femminile, sono valsi scorci di una cittadina ligure di circa 27 mila abitanti che, covid a parte, ha avuto il suo peso specifico e che è stata la mia prima boccata d’ossigeno in questo inizio 2021.

Chiavari tour, ecco cosa vedere

In ordine assolutamente sparso ecco cosa fare, cosa vedere, a Chiavari.

  1. Passeggiata lungomare (Corso Valparaiso): da non perdere. Il mare ha il suo fascino anche d’inverno e questo lungo waterfront comincia dal porto turistico per arrivare fino alla suggestiva piazzetta dei pescatori.   Bella, bella davvero. Attrezzata (ci sono una serie di piccole spiaggette, anche per disabili ed una serie di strutture ricettive quali bar, ristoranti…) ma soprattutto un panorama spettacolare.
  2. Carruggio dritto. È il centro storico di Chiavari fatto di via Martiri della Liberazione, portici neri e tanti negozi. Qui c’è sempre qualcuno con cui condividere due passi e qualche storiella tipica. Piazza Fenice, Piazza Roma e Piazza Mazzini sono le piazzette adiacenti dove è facile trovare mercatini, uno su tutti, quello ortofrutticolo. Io ci ho trovato anche una pista da pattinaggio sia per grandi che per piccini.
  3. Cattedrale Nostra Signora dell’Orto. Uscendo dal viale della stazione è lì che ti aspetta, nell’omonima piazza, ed è troppo grande per non essere notata, maestosa oserei dire. Fu progettata dall’architetto modenese Luigi Poletti nel 1836 ispirandosi al Pantheon di Roma (sarà per questo che è così grande?) Nel 1938 è stata ultimata la facciata inserendo 5 riquadri marmorei a basso rilievo, raffiguranti la vita della Vergine. All’interno della Cattedrale sono presenti numerose opere d’arte, in questo periodo ecco anche un carinissimo presepe.
  4. Chiesa di San Giovanni Battista. Situata nel bel mezzo del centro storico di Chiavari, la Chiesa non vanta facciate esterne particolarmente ammirevoli, ma vanta un soffitto ricco di affreschi ed una serie di dipinti sulle pareti perimetrali.
  5. Chiesa di San Giacomo Rupinaro. Si trova all’estremità del centro storico ma non si differenzia molto da San Giovanni Battista, pulita fuori, ricca di affreschi dentro.
  6. Santuario Nostra Signore delle Grazie e Santuario della Madonna dell’Olivo. Io non ho fatto in tempo a vederle ma ho letto che anche queste offrono una spettacolo interno ma ancor di più uno spettacolo esterno ovvero la vista mozzafiato frutta di una posizione di rilievo (la prima si trova lungo la salita della via Aurelia, la seconda sulla sommità della collina Bacezza). Ecco un motivo per tornare a Chiavari
  7. Sentiero 5 Torri di Leivi. Un percorso panoramico che parte dalla stazione della ferrovia, attraversa il centro storico della città e prosegue lungo le colline che sovrastano Chiavari; il percorso è un po’ lungo, dura 4 15′ ore ma relativamente facile, con soli 400 metri di dislivello; durante la passeggiata si potranno ammirare 5 Chiese, quelle di Leivi, S. Bartolomeo, S. Stefano, S. Lorenzo e Maxena. Altro motivo per tornare a Chiavari (non sono pigra, ma non avevo 4 ore libere soprattutto con quel freddino😬)
  8. La focaccia. Sono stata ampiamente redarguita da chi proviene da Recco sostenendo che se si chiama “Focaccia di Recco” un motivo ci sarà, però garantisco che anche quella di Chiavari non scherza. Io mi sono servita dal Panificio Piombo e devo dire che sì, ne è valsa la pena.
  9. Il B&B Archi di Borgolungo. Top. L’ideale per ogni tipo di vacanza. Semplice ma accogliente, Paola è di una gentilezza indiscussa e la posizione è praticamente perfetta.
  10. Dulcis in fundo: lo stadio comunale di Chiavari dove disputa le sue partite l’Entella. Un gioiellino.

 

Chiavari tour, qualche scatto qua e là

 

Happy birthday Lorenzino mio. Happy birthday.

Due anni. Due anni di te. Il tempo vola, ma tu lo rendi magico e metti in secondo piano anche il Natale che di fronte ai tuoi occhi blu arrossisce, diventa piccolo.

Amo tutto di te. Il tuo casino, i tuoi scherzi, i tuoi capricci, il tuo coraggio. Non hai paura di niente e non puoi immaginare la forza che mi infondi trascinandomi nel tuo mondo fatato, fatto di bellezza pura, risate, mare e tramonti. E di tanta musica. Perché “Zia metti la na na na resta una della mie frasi preferite. Poi mi prendi la mano e vuoi ballare con me. Ed io sono felice. Mi rendi felice.

Amo quando cerchi Riky. Amo come lo guardi. Fra i due la peste sei tu, lo coinvolgi nelle tue marachelle, fai il “grande”e ti prendi la scena, ma non lo perdi mai di vista. Siete l’incastro perfetto e la parte più bella del mio cuore. Per non parlare di Alice: ti prendi cura di lei, la cerchi, la osservi, è un amore tra cugini che somiglia tanto all’amore assoluto, quello intoccabile ed ineguagliabile in ogni sua forma, inarrivabile per chiunque altro.

E così mentre nella mia mente scorrono le immagini di questi due anni, il mio cuore trabocca di gioia ed io piango. Perché è sempre la stessa storia della zia innamorata che si commuove al sol pensiero di avere nella vita una cosa tanto bella. Persino la commessa del negozio di giocatoli, l’altro giorno, mi ha detto “Sei una zia innamorata”.

Oh se sono innamorata. Al diavolo il cuore di pietra, i lucchetti, i muri, gli scudi e le armature, la forza dei tuoi sorrisi ha buttato giù tutto soffiando su di me, a suon di carezze e baci. Ma al diavolo anche le favolette, le frasi fatte, i lieti fine, i dizionari ed il misurino. Tu sei di più, molto di più, e noi siamo noi e nessuno è come noi.

Tutto ciò che posso fare è essere me stessa senza timori, perché tu Lorenzino del mio cuore, sei stato la seconda possibilità di credere nell’amore eterno, perché io ti amo e tu mi ami e non c’è niente di più bello al mondo.

Grazie per avermi accettata, per aver reso la mia vita migliore, grazie per essere tutto quello che sei…UNICO.

Buon compleanno al mio per sempre. 

La tua zia tutta matta

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Giochi di un tempo, giochi di una volta che ti salvano pure le domeniche in quarantena: ebbene sì, la NON rubrica “A volte ritornano” si affaccia nel mondo dei “passatempo”.

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Sdraiata sul dondolo in cortile, con la voglia di fare qualcosa pari a quella di Tina Cipollari, e con un ingegno scippato dal  quoziente intellettivo di un concorrente di Ciao Darwin, scavo nei più remoti meandri della mia mente alla ricerca di un’attività fisicamente non troppo dispendiosa, mentalmente più coinvolgente di una canzone del Volo e moralmente più emotiva della copertina di un libro vinto alla pesca di quartiere.

A volte ritornano

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Ma niente, non la trovo. E così ripiego sul gruppo whatsapp delle 4 disperate sapendo che non mi avrebbero deluso. Piccola premessa: ieri ho giocato a bocce, sì a bocce, con mamma, papà e zio quindi, nel momento in cui vi racconterò di questa domenica pomeriggio, sappiate che alla frutta c’ero già arrivata. Ora, diciamo, è definitivamente marcita.

E così, la butto là: “Giochiamo a nomi, cose, città?”. Ovviamente le disperate, che con ogni probabilità sono anche più disperate di me, accettano al volo. Tranne una che ha deciso di fare la doccia in quell’istante, ma per la privacy non posso fare nomi. Dopo 25 minuti di tentennamenti con la connessione a skype, perché nel 2020 per qualcuna la tecnologia è ancora un optional (ma anche qui non posso fare nomi), ci ritroviamo in una conversazione a tre. Nuova precisazione: abbiamo detto no alla chiamata whatsapp perché non permette di convogliare più di 4 persone, ma abbiamo detto sì alla idiozia perenne. Siamo così, dolcemente complicate.

Giochi di un tempo che salvano la domenica

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Armate di carta e penna, stabiliamo le colonne e decidiamo per il low profile: nomi, cose, città, mestieri, personaggi famosi. Per il riscaldamento ci sembrava ideale. Creato il foglio con l’alfabeto, si parte. Dopo la prima manche ci rendiamo conto che per una delle tre non c’è speranza. Nemmeno qui. Attendiamo sviluppi per i prossimi giochi, ma siamo ben conscio dell’esito. La tensione inizia a salire, ci prendiamo gusto, la competizione sfiora le stelle, palpabile persino nel wi-fi di A. che ci fa capire una parola ogni tre (sarà per questo che ha vinto🤔); dietro quelle videate iniziano ad intravedessi sguardi sempre più agguerriti.

Mentre D. cerca sostegno da Google, A. s’ispira ai muri del salotto, snobbata pure da sua mamma che pur di non addentrarsi in questa operazione “ricordo delle ore di diritto alle superiori” opta per la più classica delle scuse “Sono al telefono”, io rompo invece le palle alla mia di mamma, che non accetta ma viene comunque nominata “Giudice supremo”. 

Al degenero manca poco. Mentre fra gli oggetti vengono catalogati, ginocchia, ugole e valium, prontamente declassati dal giudice supremo, capiamo che stiamo toccando il fondo quando D. fra i personaggi famosi spara Dio. Nuovo intervento del giudice: “Almeno aggiungici dato e fai Diodato“. Passa Umido fra le cose “A proposito stasera devi portarlo fuori”, la voce fuori campo, restano al palo Hula Hop (che sarà mai un h in più o in meno) e Farfalla (perché ovviamente farfalla non è un oggetto anche se in alcuni casi potrebbe sembrarlo). La discussione si accende però sulla I.

Il gran finale

Alla voce “personaggi famosi” D. spara una “Isola dei famosi” sostenendo che ce ne sia un gran concentrato, Untore non viene riconosciuto tra i mestieri e, soprattutto, Qui Quo Qua non strappa trenta punti tra i vip. Qui c’è il degenero. E allora la chiudiamo così.

Classifica finale

1° A. 675 punti
2° M. 625 punti
3° D. Incapace di intendere e di volere

Fuori classifica G. che all’alba delle 19.35 stava ancora facendo la doccia.

Alla prossima puntata, chissà magari passeremo al gioco dell’oca, se ne saremo in grado. Ok potete ridere.

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Per tutte le parole che non ci diciamo e per i silenzi che valgono molto di più.

Perché non servono poemi, né lunghi discorsi, non servono grandi parole, non servono gesti eclatanti od infinite dichiarazioni, non servono smartphone, controfigure, paesaggi balistici, gioielli, viaggi sulla luna, chef stellati, vestiti da sfilate o case lussuose per dirti ciò che non ti dico mai ma che ho barricato nel cuore.

E allora al mio orizzonte e al mio porto sicuro, a colei che non mi ha mai giudicata, ma capita, alla donna che mi ha insegnato ciò che davvero conti nella vita…il rispetto, il sacrificio, l’umiltà, il bicchiere sempre mezzo vuoto, la semplicità e l’importanza delle piccole cose, il valore dei silenzi ancor più di quello delle parole…

…alla più bella delle mani tese, alla cuoca perfetta, alla miglior “rimboccatrice di coperte”, all’artefice del capolavoro dei capolavori, la mia famiglia…

…alla mia mammina del cuore, buon compleanno dalla tua figlia

tutta matta
totalmente imperfetta
ma speciale (questo l’ho preso da te).

I love you.

Ho un sogno che dista 365 giorni, ho un sogno che si chiama Tokyo 2020 o più comunemente “Olimpiadi” e per raccontarvelo dovrei scomodare tutti i miei brividi, le mie lacrime, ogni centimetro della mia anima e circa 365 milioni di miliardi d’affanni del mio cuore e forse, forse, potrei vagamente rendere l’idea di ciò di cui sto parlando.

Se vi state chiedendo se “è quello in cima alla lista” la risposta è sì, è proprio quello. Ogni tanto salgo sul grattacielo delle mie ambizioni, lo sfioro, lo cullo, lo stringo a me e poi lo rimetto là, dove pare inarrivabile.

Ma le apparenze, si sa, hanno quasi sempre un solo destino: quello di finire appallottolate nel cestino della propria stanza, magari con un tiro alla Kobe Bryant degli anni d’oro.

Chiudete gli occhi e immaginatevi su una montagna di panna montata a giocare con le stelle e le nuvole, con il vostro sorriso al posto del sole e con mucchietti di felicità a cui attingere a pieno viso.

O immaginatevi in quarta elementare quando la vita pareva la giostra più figa di Gardaland, con la matita blu fra le dita ed un foglio bianco su cui raccontare “Cosa voglio fare da grande?”.

O ancora sdraiati in un prato verde, con attorno una distesa di girasoli che sanno prendere luce per vivere solo dai vostri occhi.

Immaginatevi così o in un milione di modi differenti o come preferite.
I meravigliosi disegni dipinti a due mani dall’anima non hanno niente a che vedere, però, con ciò che vedo io. Io dinanzi a me vedo solo una bambina con i capelli ricci dall’aria ribelle, gli occhi chiusi stretti stretti simbolo di speranza, un diario che sa di verità poggiato al petto, protetto da mani giunte in segno di preghiera, un alone di incantesimo intorno al cuore ed una bacchetta magica incastrata tra lo stomaco e la gola, dove si proteggono le cose rare. Ma non è tutto. Perché vedo anche una salita e sacrifici che provocano solletico. Vedo gambe forti ed una volontà ferrea. Vedo il vento soffiare in una sola direzione, vedo il vestito buono e tasche piene di paura e di coraggio, una mappa del tesoro ed un paio d’ali che spuntano dallo scrigno.

E sorriso. E sorrido. Senza catene, senza radici.

Non so nient’altro ma so già tutto.

Ce la farò.

 

Già, è proprio così: settordicimila domande e nessuno che ti chiede più se sei felice.
Pochi giorni fa mi sono imbattuta in un pezzo sul web che parlava proprio di questo, di richieste, di frasi abitudinarie, di etichette e di superficialità. Null’altro che sconfinasse in qualcosa di più profondo, qualcosa di reale oltre il materiale, o che si avvicinasse vagamente al concetto di felicità.

Ogni giorno viviamo in una società che ci tartassa di domande nelle circostanze più svariate. La quotidianità ci porta ad imbatterci nella consuetudine, nell’ovvietà, nella catalogazione di persone che, più o meno volontariamente, etichettiamo a seconda del lavoro che svolgono o dei loro rapporti sentimentali.

A partire dalla conoscenza di due persone che nasce inevitabilmente con un “Mi chiamo Giulia e tu?” si prosegue con il quiz che conduce a delineare il profilo esatto di una persona. Studio, lavoro, amici, casa, auto, sei sposato, hai figli, dove vai in vacanza, quanto costa la tua borsa, ti piace Ligabue, preferisci questo o quello e bla bla bla…ma nessuno più che osa porti l’unica domanda che conti davvero: sei felice?

L’apoteosi dell’assurdità è che ci divertiamo a creare un archivio mentale su risposte che nemmeno ascoltiamo e su domande di cui non ci prendiamo cura trasformandole, nella maggior parte dei casi, in convenevoli adatti alla circostanza.

E poi eccola qui l’arma letale: la superficialità. Provare a scavare è vietato, approfondire è fuori moda, interessarsi una fatica immonda. Allora restiamo lì nel limbo delChiedo ma non troppo” e del “A debita distanza per non incappare in grossi rischi“. Ma passare al Metal detector con in tasca un “Sei felice?” non permette più di salire sull’aereo dell’atterraggio sicuro, quello delle quote basse e dei paesaggi scontati. Se solo ogni volta dopo un “Come stai”, un “Cosa fai di bello” o un “Ti piace il pistacchio” ci aggiungessimo un “sei felice”, ci accorgeremmo che non solo il Metal detector si tratterebbe nell’emissione di qualunque suono, ma che l’aereo di terza classe lascerebbe posto al velivolo con rotta verso l’infinito, quello dei paesaggi inesplorati, delle mete a malapena disegnate nelle nostre menti dei percorsi inesplorati. Ma non è tutto: il “Sei felice” implica impennate di buon umore, implica interesse e genera interessa, implica spunti di riflessione e dà il là a conversazioni più ampie, cestina i convenevoli, vi veste di un abito che fa luce sui sogni pieni di polvere, lustrando ambizioni ed autostima, che non guasta mai.

E così oggi quando vi troverete al bar a bere il caffè, quando vi scambierete favori con un collega, quando vostra madre vi preparerà la cena o il vostro vicino sarà alle prese con il taglio del prato, provate ad avvicinarvi e buttatelo lì un “Sei felice?”, sarà sorpresa, estasiato, incuriosito. Magari vi prenderà anche un “Che cazzo di domande fai” e verrete guardati un po’ straniti ma attendete una risposta. Non giudicatela per nessun motivo al mondo, guardate negli occhi il vostro interlocutore e, con quello sguardo fate un controllo incrociato per vedere se “tutto combacia”. Che tanto di parole possiamo dirne e raccoglierne milioni, la verità è sempre racchiusa lì.

Tutti quelli che incontri ti chiedono sempre se hai un lavoro, se sei sposato o se possiedi una casa, come se la vita fosse una specie di lista della spesa. Ma nessuno ti chiede mai se sei felice“.
– Heath Ledger

Togli la ragione e lasciami sognare in pace…

Se qualche anno fa mi avessero detto “Parteciperai ad un evento di beneficenza, a tinte bianconere, in un lussuoso hotel vista lago, con la presenza di 180 persone vestite di tutto punto, tra cui il presidente della Juventus Andrea Agnelli, Fabio Paratici, la coach Rita Guarino e una serie di giornalisti di un certo spessore e ne scriverai anche un pezzo”, beh, mi sarei ammazzata dalle risate. Ed invece, stanotte, con l’orologio che segna le 2.07, le poche ore di sonno accumulate nelle ultime settimane, non c’è verso di dormire. L’adrenalina mi fa ancora tremare il cuore e sento le gote sorridere mentre lo sguardo si colora della luca dei sogni, ma non quelli che si fanno ad occhi chiusi, quelli che senti sulla pelle quando è pieno giorno e quando l’orizzonte sembra così vicino da poter essere sfiorato con la mano.
Sono qui a cercare le parole, guardo questa tastiera nella speranza che le frasi giuste prendano forma da sole, mi torturo i boccoli e sento, d’un tratto, le guance calde mentre lacrime incomprese e prigioniere da troppo tempo di una cassaforte dorata senza combinazione, vanno a caccia della loro via di fuga. La bocca prova ad assaporarle mentre le narici si riempiono del profumo di una serata indimenticabile, il profumo di buono, il profumo del vento che spazza via le nubi e che mi fa scorgere il cielo di primavera.
In questa stanza buia cerco i dettagli di una vita che danno senso alla mia follia, una follia che sperpera doni e che, come i bambini nel giorno di Natale, mi osserva curiosa scartarli, con i fiocchi fra le dita e le carte stracciate in giro per casa. Da lì al caos è un attimo perché lo so bene che la lista dei desideri è sempre troppo lunga, ma so anche che ogni qual volta inizi a scriverla, a ridimensionarla, a cambiare l’ordine dell’elenco puntato, diventa la lista di qualcun altro ed io, al mio cuore, non posso più fare questo. Per tutte le pugnalate ricevute, per tutte le volte in cui ho lasciato che venisse messo al tappeto dalla ragione, per tutte le volte in cui è stato frantumato in mille pezzi e per tutte le volte in cui, quei pezzi, non combaciavano mai, ora so che è il suo tempo e che il segreto è lasciarlo volare in alto dove non esistono vertigini che tengano per non sfociare nelle acque dei mari inesplorati.
Come su una barca che sa quale rotta seguire, che sa quanti viaggi deve ancora da affrontare, ho preso il timone e l’ho messo nelle mani del mio cuore, consapevole che non esista posto più sicuro al mondo.

Libero com’ero stato ieri, ho dei centimetri di cielo sotto i piedi, adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori…sono nuvola e tra poco pioverà, e non c’è niente che mi sposta o vento che mi sposterà…

…Togli la ragione e lasciami sognare in pace”.

 

Un milione di volte è poco: io Rocky Balboa potrei recitarlo a memoria. Tutti e 5. Anzi tutti e 6. Più i due “Creed”.
Una delle immagini più fighe che io abbia in testa di quando ero piccola è questa: divano, lite per i posti (come di consuetudine), io, i miei fratelli, papino, mia madre che lava i piatti e Rocky in tv. E quante volte lo abbiamo imitato: “Io sono Rocky”, “E io sono Drago” “E allora io ti spiezzo in due”.
No va beh, come ve lo spiego?
Penso che anche il videoregistratore fosse stufo di quelle videocassette, usurate, viste e riviste fino allo sfinimento, e quante volte prima di una gara, giusto per darmi la carica, perché come mi dava la carica Rocky…
…adesso mi scappa un sorriso a ripensare a tutto ciò, ma stasera quando ho acceso la tv e mi sono trovata di fronte Rocky 4, il mio preferito (anche il due però non scherza eh?! 😬) mi ha pervasa un velo di malinconia.

Il tempo che è passato da quelle serate pare infinito, la vita che è trascorsa, la testa di quella ragazzina era così leggera e spensierata, oggi ci sono i mattoni a far compagnia al mio cervello, sono cambiate tantissime cose, i sogni li abbiamo ridimensionati quasi tutti, ma la voglia di farcela è rimasta intatta. Anche in periodi come questi, dove bisogna scavare nel profondo per sfiorarla, so che sotto la polvere, le ossa rotte, le speranze disilluse, la più fragile delle autostime, lei è lì, alla ricerca del varco giusto per emergere, paziente, un po’ smarrita ma intatta, presente ed infinita. Ritroverà la strada. Ne sono certa.

ps. Ho scoperto che è la saga, ci vediamo lunedì prossimo per Rocky 5 😉

 

📌”No, forse non vincerò. Forse l’unica cosa che potrò fare sarà quello di rendergli la vita difficile. Ma per battere me, dovrà riuscire ad uccidermi, e per uccidermi dovrà avere il fegato di stare di fronte a me. E per fare questo, dovrà essere pronto a morire anche lui. E io non so se sia disposto a farlo… non lo so“.

📌”Beh, ecco, a dire la verità, sai certe volte un po’ di paura ce l’ho è vero; quando sono sul ring e le prendo, e le braccia mi fanno tanto male che non riesco più ad alzarle. Sì allora penso: “Dio quanto vorrei che mi beccasse sul mento così non sentirei più niente!” Però poi c’è un’altra parte di me che viene fuori e non ha tanta paura… c’è un’altra parte di me che non vuole mollare, che vuol fare un altro round. Perché fare un altro round quando pensi di non farcela, è una cosa che può cambiare tutta la tua vita. Capisci quello che voglio dire?

📌”Non fa male, non fa male

Se anche voi come me siete del segno del toro (il più bello di tutti ovviamente), se anche voi come me agli oroscopi non credete ma un orecchio teso verso Paolo Fox al 31.12 di ogni anno non guasta mai, se anche voi come me credete in ogni inizio del mese e nello specifico credete che ogni inizio del mese corrisponda ad un cambiamento radicale della vostra vita, ecco mettetevi comodi e datevi due sberle.

Poi però convocate per un faccia a faccia anche Paolo Fox e tutti i suoi surrogati, e due sberle datele pure a loro. Perché va bene non credere agli oroscopi e a tutte quelle fregnacce, ma se uno insiste e insiste e insiste, è ovvio che dia vita al tarlo nel cervello.

L’anno del toro lo è dal 2000. “Nuovo millennio, nuova vita” dicevano, se miao proprio. Da lì è stato un continuo incremento di sfighe che manco la mia prof di economia politica delle superiori riuscirebbe a rappresentarlo con il suo famoso grafico del Break Even Point (dev’essere nata lì l’espressione “Tenemos Huevos” tra l’altro). Ma anno 2000 a parte, non voglio rimuginare sui ricordi e fare quella rancorosa, voltiamo le diciotto pagine a seguire e parliamo del 2019. Perché anche quest’anno è stato preannunciato come l’anno del toro.

Occasioni di lavoro e di carriera come se piovessero, la salute di una ragazzina di 13 anni alta e magra, batticuore a non finire con conseguente coda fuori dalla porta, e poi soldi, soldi, soldi della serie Mahmood chi?“. Ma fosse solo questo il problema. Non vorrei snocciolarvi tutti i cavoli miei e ci mancherebbe altro, ma “Case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale” è stato con ogni probabilità il preludio all’1% del mio elenco di sventure datate “da qui all’infinito”. E così sia.
Sempre detto io che Tiziano Ferro la sapeva lunga. Che poi “Case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale” era troppo poco anche per una come me, che quanto a sfighe non è mica una dilettante da quattro spicci, allora l’elenco lo abbiamo arricchito con computer, hard disk a puttane, influenza tre volte in due mesi, un qualche centinaio di euro in tasse aggiuntive (tanto mi avanzano), la fatturazione elettronica, 2/3 questioni lavorative, le unghie che si rompono, il fantacalcio (e potrei scrivere poemi solo su questo a partire dal famoso rigore di Veretout), per non parlare di whatsapp che non manda i vocali: e se l’uomo della mia vita avesse deciso proprio oggi dopo le 17.30 di dichiararsi? E se il suo vocale fosse ancora in corso di invio e la sua dichiarazione d’amore più dolce si fosse persa nei meandri dell’app? E se per sbaglio, per sbaglio sia chiaro, quella stessa dichiarazione d’amore avesse deciso di scriverlo ed erroneamente, distratto da qualsiasi cosa, l’avesse mandata ad un’altra? Eh? Come la mettiamo? Le attese fanno soffrire la gente caro signor whatsapp, inizia a sentirti in colpa per la mia singletudine.

Comunque non ci pensate nemmeno al “È tutto qui“, perché no, non è tutto qui. Manco nei miei sogni. C’è stato un giorno in cui mi sono chiesta: ci manca solo che si faccia vivo il mio ex ed un paio di idioti appresso a lui, taaaaac. Più gufa io che gli interisti e milanisti ieri sera (e i romanisti e i laziali e i napoletani e i genoani e i fiorentini ed il Castronno, ed il Csi di Bareggio, ed il Greov di Varese, ed il torneo di beneficienza di Lurago Marinone, ma anche quelli della partitella scapoli ammogliati del 2001, solo per citarne alcuni). Ma la ciliegina sulla torta, perché c’è sempre una ciliegina sulla torta, è arrivata martedì.

Vado dal dottore. Premesso che ci andrà tre volte all’anno e che ogni volta faccio la coda con, nell’ordine, un vecchietto over 90 che ci prova, uno che mi chiede di dargli una mano con il cellulare, una signora che punta a rubarmi il posto, quelli che fanno i furbi “Le passo davanti solo per una ricetta, ci metto 5 minuti”, uno straniero a cui mi tocca fare da traduttore simultaneo, ed un paziente a cui rispondo con l’affetto di una mamma accorgendomi solo dopo mezz’ora che non sta parlando con me ma da solo; ecco al netto di tutte queste situazioni habitué, martedì sono stata fortunata perché “meno gente del solito e appena appena un paio di casi umani, niente di più“. Ma era ovvio che la congetture si nascondessero dietro l’angolo.

Entro dal dottore, ogni volta è una seduta dallo psicologo, dove lo psicologo sono io. Non ho capito se ispiro fiducia, chiacchiere o se le mie sembianze da pungiball mi facciano passare per essere il sacco di Rocky 4, fatto sta che questo si sfoga con me. E si sfoga con me perché internet non funziona e si sfoga con me per le mille chiamate che riceve e si sfoga con me per tutti i pazienti che gli fanno domande Marzulliane o che pensano di essere in punto di morte solo perché gli viene prescritto un integratore, senza dimenticare il “Dove l’ho messo, era qui ne sono certo“. Ma passiamo al riconoscimento del paziente ed in questo caso di me medesima. Il suo primo atto è scambiarmi per mio fratello Daniele, il secondo per mio fratello Davide, il terzo è chiedermi se sono certa di non essere uno dei due. Poi finalmente è il mio turno e posso raccontare le mie problematiche. Certo che io sia una rompipalle è risaputo e quindi oltre le problematiche emetto anche la mia sentenza e mentre lui mi guarda esterrefatto e mentre la sua mano è già pronta a prescrivermi un ciclo alla neuro, ad un certo punto taglia corto e mi smentisce con due giri di parole; nella mie mente vedo andare in mille pezzi le 967 pagine internet consultate prima di mettere piede lì. Alla fine dell’incontro emette la sentenza: “Signorina le prescrivo questo, questo e poi questo e mi raccomando assolutamente da evitare il cioccolato e l’alcool“.

Il mondo si ferma. Chiedo di ripetere.

Niente cioccolato ed alcool, non sarà mica un problema immagino, lei è una golosa? È una che beve?

Fin da piccola mi hanno insegnato: negare l’evidenza, sempre. Quindi fanculo alla panza, alla cellulite e ai rotoloni (che tra l’altro potrebbe conoscere meglio di chiunque altro), fanculo anche ai brufoli e a tutto il resto. “Io golosa? Ma no, si figuri, qualche sfizio ogni tanto ma sono una che sa trattenersi tranquillamente (pugno allo stomaco). Bere io? Ma va, sono un’atleta ricorda? Uno spritz quando capita…” “Ecco bene, allora non farà fatica a non farlo capitare“.

Pugno allo stomaco, spada conficcata nel cuore e botta in testa della serie Game, Set, Match.

Ci vediamo fra un mese caro Roger Federer, ma ricordati bene che la prossima volta le faccio passare tutte avanti le tue pazienti preferite, persino quelle che ci provano senza ritegno.

E per la seduta sono 50 €. Grazie.

Salgo in auto, in direzione farmacia ovviamente e sento la news che d’un tratto illumina il mio cammino: “A novembre uscirà il nuovo album di Tiziano Ferro e si intitolerà “Si accettano miracoli“”.

Caro Paolo Fox, ora te lo devo proprio dire: fanculo alle tue congiunzioni astrali, Tiziano Ferro is the way.

L’8 marzo festa della donna è: luoghi comuni come se piovessero, il cellulare che si riempie di frasi banali ma sentite, di foto anche squallide ma che valgono un pensiero, le mimose che non sono certo il fiore più elegante, invadono le case, il giallo che predomina. i social dei perbenisti impazzano e le serate nelle disco si sprecano…ma vi siete mai domandati cosa possa esserci dietro tutto questo?

Una madre single che chiede aiuto ad un babysitter per un paio d’ore con le amiche, un avvocato alle prese con la causa che può cambiargli la vita, un chirurgo che ieri o domani sarà pronta per ricucire il cuore di un essere umano, una donna delle pulizie con le braccia stanche, una pallavolista di serie A giudicata “dilettante”, una ragazza a cui viene tolto il respiro ogni volta che il suo ex le scrive, una 15enne alle prese con la prima cotta, una nonnina che ne ha viste tante, un’insensibile a cui hanno calpestato il cuore mille e più volte, una fanciulla di strada a cui vengono misurati i sentimenti in soldoni, una donzella con i capelli corti e per questo omosessuale, o con un colore diverso della pelle e per questo extracomunitaria, una giornalista affermata ma poco credibile o una piena di passione e di sogni…

che differenza fa? Coraggiose, determinate, sentimentaliste, inguaribili sognatrici, impacciate, con la cellulite ed i capelli arruffati, orgogliose, lunatiche, ironiche, sensibili, testone, buone, semplici, alte 180 cm, alte 160 cm, bionde, moro, con un 4° di reggiseno o una 1°, con la passione per la danza classica e la cucina, con il tacco dodici sempre pronto, o i tacchetti tredici sporchi di fango, timide, spregiudicate, vere, amanti della pizza e dei dolci, vegetariane e freddolose, incapaci nel ricordare “La Teoria della Relatività” ma capaci nel sapere a memoria tutte le canzoni di Vasco Rossi…

non ha importanza chi voi siate, cosa facciate, quali siano i vostri gusti del gelato preferiti o quanti esami abbiate passato all’università, né con quanti uomini siate state a letto, o quanti vestiti da sera abbiate comprato in attesa dell’occasione speciale, non ha importanza quali siano le vostre scelte, se puntiate di più sulla carriera o se non crediate più nell’altro sesso o se il vostro unico desiderio sia diventare madre, non ha importanza se il vostro viso mostri le prime rughe o se il vostro culo sia ancora così sodo da star bene in ogni pantalone…

…tutto ciò che conta davvero siete voi, SIAMO NOI e il modo esatto in cui vogliamo vivere la nostra vita.
Quando incontrate una donna provate a conoscerla, ed una volta che avrete iniziato a conoscerla, provate ad insegnarle ad amarsi perché per quanto possa farlo da sé non sarà mai abbastanza, solo così avrete l’onore di ammirare il quadro che non ha epoca e di un valore inestimabile, il suo sorriso. Poi armatevi di un briciolo di coraggio e amatela voi cosicché quel quadro possa essere solo vostro.

 

Auguri a tutte le donne e a tutti coloro che hanno finalmente imparato ad amarle.