Inutile nascondersi: certe cose ti segnano, e ti segnano per sempre. Un anno fa lottai in piazza San Carlo a Torino per tenermi stretta questa vita ed il ricordo di quegli istanti, il ricordo di quella notte, mi creano uno sgomento che non pensavo potesse mai arrivare a toccare me. Ed invece, coinvolta a pieno regime, con paure che forse non mi abbandoneranno mai, con paure con cui convivi e che, però, ti aiutano anche a capire i tuoi limiti e a spronare te stessa per oltrepassarli. Il punto è che certe cose non fanno solo male, certe cose faranno male per sempre, le cicatrici restano cicatrici ma guardandole da un’altra prospettiva quei segni non sono ricami dell’anima?

Le mie mani e la mia mente si rifiutarono di mettere insieme i pezzi per un po’ ma cinque giorni dopo riuscii a partorire questo pezzo per dare testimonianza di un 3 giugno che sarà sempre un sogno infranto al pari di un ricamo che ha saputo rendere la mia anima un po’ meno bella ma certamente più forte.

Ringrazio ancora sportface.it che mi diede quest’opportunità.

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E’ stato uno strano lunedì quello della scorsa settimana, un lunedì tra un mix di malumori, incomprensioni e scadenze pressanti, un lunedì di quelli che ti fa maledire la fine del weekend, un lunedì vero e proprio insomma. Ecco perché quella sera accovacciata sul mio divano e con il mio amato mac fra le mani, cercavo qualcosa che mi facesse un po’ distogliere l’attenzione dai mille pensieri che mi frullavano nel cervello, che mi desse una scossa. Cercavo senza sapere dove posare realmente gli occhi fin quando sono stati gli occhi stessi a trovare luce. “Maxischermo in piazza San Carlo a Torino con piattaforma riservata a giornalisti e addetti stampa”, avevo letto sul web. Un brivido lungo la schiena, avevo già capito, la mia mente aveva già fatto un salto lungo circa 150 km, il mio cuore non aveva neanche saltato, era già là. Dovevo provarci e riuscirci. Sono partite circa 30 mail dal mio computer quella sera, trenta mail che hanno quasi tutte trovato risposta: “Ci mandi i suoi dati e le faremo sapere”, manco avessi presentato una canzone per il festival di Sanremo.

Poco meno di 48 ore dopo, la risposta attesa da tutta una vita: “Il suo accredito è stato accettato, ci vediamo sabato, buon lavoro”. Mezz’ora di salti incontrollati ed una svariata serie di note vocali alla collega che avrebbe vissuto con me quella medesima esperienza.

“Daniele vado a Torino sabato, chiedimi quello che vuoi”, la conferma più piccata ad un pezzo della famiglia Sportface. Già lo so, starete pensando questa è pazza, e in fondo normale non lo sono mai stata, ma io amo la mia follia, la sola, insieme a questa perseveranza e a questa smisurata passione, che mi permetta di raggiungere ciò che ho sempre sognato o molto più banalmente di fare ciò che amo di più, in spicci, di essere felice.

I convenevoli ve li tralascio: l’attesa, la cura maniacale nel preparare lo zaino e gli attrezzi del mestiere, l’ansia a diecimila, l’euforia di poter essere in mezzo ad un popolo di 30 mila persone che condividono i tuoi stessi colori e di poterlo fare da un posto privilegiato, quello di giornalista, l’adrenalina di poter scrivere della tua squadra del cuore che per l’ennesima volta si gioca il “tutto in una notte”, l’orgoglio di esserci, i pezzi del puzzle che d’improvviso s’incastrano ed un sorriso quasi spavaldo di fronte a quel lunedì nero che sembra d’un tratto così lontano. E poi il viaggio, la bandiera che sventola, i cori su cori e su cori. Ribadisco: lo so che sono pazza e che non mi capirete, ma non sono qui per questo. Io non voglio essere capita per ciò che faccio o ciò che provo quotidianamente, vorrei essere capita per ciò che ho sentito in quella lunga notte.

Perché tra un flash, una battuta, uno scambio d’opinioni, gli scongiuri verso un cielo grigio, una diretta facebook, perché tra un gol di Cristiano Ronaldo ed un gol di Mario Mandzukic erano circa le 21.45 quando quell’ultimo scorcio di stagione ha preso avvio. La Juve non gira, il centrocampo è lento e si è abbassato troppo, la difesa pare meno solida del solito, Higuain è così fuori dal gioco e poi c’è il talento cristallino di uno su cui ho scommesso non appena l’ho visto calciare un rigore con la maglia rosa del Palermo, ha 23 anni, si chiama Paulo Dybala e questa sera pare imprigionato nelle sue stesse paure. Casemiro e Ronaldo fanno il resto ma proprio quando cerchi conforto nei tuoi fratelli bianconeri,quando il tuo sguardo si scontra con il silenzio assordante di un’intera piazza che non riesce a spiegarsi il perché ancora una volta, sul più bello, tutto sfumi, ecco che quel silenzio si tramuta in un rumore che sa tanto di spari, ecco che il cuore ti si ferma e che la mente vola non a 150 km di distanza ma là dove non pensi possa esistere vita.

Una frazione di secondo, una folla impazzita che sta correndo proprio nella tua direzione, lo sforzarsi di trovare una lucidità che non fa capolino nel tuo cervello ma che, grazie a Dio, non soffoca quell’istinto di sopravvivenza a cui ti aggrappi come se fosse l’ultimo brandello di vita. Lo zaino in spalla e la mano della tua collega che hai afferrato e trascinato il più lontano possibile: non c’era tempo per le domande, c’era da correre. Circa 400 metri di corsa disperata evitando di calpestare la gente a terra e provando a non scontrarti con nulla, quelle mani che si disuniscono per un attimo, ma gli occhi che non si perdono e le dita nuovamente intrecciate. Il riparo sicuro è quello di un bar in cui ti fermi e ti ritrovi accerchiata di persone che hanno sangue ovunque, che urlano e piangono e non sanno il perché. “Una bomba, hanno sparato, arrivano” ed il terrore a quel punto trova spazio in un bagno in cui gli affanni di un respiro trasalito rimbombano a più non posso. E adesso cosa facciamo? Potevo lasciare che la paura di morire avesse la meglio sulla voglia di vivere? Noi, fratelli sconosciuti, ci siamo abbracciati, abbiamo condiviso il terrore e, quando abbiamo ripreso a respirare, l’umanità.

Ho visto gente che si consolava senza sapere cosa dire e chi avesse davanti, ho visto ragazzi infermieri in borghese bianconera, prendersi cura del prossimo ferito, ho visto gente che predicava calma, bambini accolti da mamme improvvisate ma oneste, soccorsi pronti e polizia attenta, cellulari prestati perché sopportare anche che le proprie famiglie piangessero sarebbe stato troppo. Ho rivisto quello scenario di una piazza devastata, perché c’era da recuperare la borsa della tua amica che lì dentro aveva anche le chiavi della macchina e che, nuovamente grazie a Dio, dopo poco era come un miraggio fra le tue mani, e ho capito che la guerra era passata di lì. C’era d abbandonare Torino, la città dei tuoi sogni, e c’era quello sgomento nel cuore che non si dava pace e che ti impediva anche di capire quanto i miracoli esistessero, quanto tu stessa fossi un miracolo.

Il ritorno a casa e la notte insonne pensavo facessero il resto, mi sbagliavo. Il resto lo hanno fatto gli occhi e le mani di mio padre e mia madre, dei miei fratelli, che sono stati la mia ancora di salvezza in quel mare in burrasca. Non potevo permettere a nessuno di non farmeli vedere più, di non riassaporare più i loro profumi, di non alimentarmi dei loro sorrisi. Io non so a cosa hanno pensato quelle trentamila persone, io so che ho pensato a loro ed è così che mi sono salvata. Ma ancora non era finita e forse questa storia non avrà una fine. Quando ho rivisto le immagini il giorno dopo, quando le parole hanno trovato una collocazione di senso compiuto, quando i milioni di messaggi che i social ed il mio cellulare mi hanno recapitato ribadendomi che fossi più viva di quanto in realtà credessi, ho trovato anche tutte quelle lacrime che fino a quel momento non avevo ancora versato. Ed eccole le domande che arrivano puntuali come una sentenza. E non sono né i perché, né da dove è nato tutto ciò, niente del genere, le domande che mi hanno martellato il cervello erano che fine avessero fatto tutti i disabili che avevo attorno, gli stessi che avevo difeso poco prima non appena la gente si mettesse nella loro traiettoria impedendogli di vedere la partita, che fine avesse fatto quella signora tanto simpatica con cui avevo condiviso le ansie da Champions dal pomeriggio, che fine avesse fatto quel giornalista tanto carino dagli occhi azzurro cielo, e ancora di più dove fosse quella bimba che si era seduta accanto a me pochi istanti prima del triplice fischio, che mi aveva chiesto in che porta dovessimo segnare e che al gol di Mandzukic mi aveva stretta così forte come se mi conoscesse da sempre o come se volesse donarmi un pezzetto del suo piccolo grande cuore. Ho pregato per loro, spero che Dio mi abbia ascoltato anche questa volta.

Adesso arriva il bello. Sognavo di scrivere il mio primo articolo sulla mia Juventus in modo totalmente diverso, sognavo di commentare di un Gigi con la coppa al cielo, sognavo di raccogliere le emozioni di quel popolo così tanto simile a me. E sognavo anche di piangere mentre digitavo ogni singola lettera su questa tastiera. Sognavo di avere il cuore a mille, proprio come adesso. Ecco perché so che un giorno sarò di nuovo lì, perché che sono folle l’ho già detto? Non mi lascerò vincere dalla paura. Ci vorrà tempo? Ci vuole sempre tempo. Non ho mai visto sogni realizzarsi con il solo schioccare delle dita. E a tutti questi sogni se n’è aggiunto uno: mi piacerebbe guardare negli occhi quel talento cristallino con il numero ventuno sulle spalle e mi piacerebbe che ci scambiassimo un po’ di paure. Così diverse e in fondo così uguali. Lui e la paura di accarezzare un pallone in quel di Cardiff, io e la paura di non poter più sentire sussultare il mio cuore come quel 13 maggio 2012 quando cambiai la mia foto di copertina su facebook lasciando che lo sguardo dell’uomo più uomo e campione più campione che conosca si commuovesse dinanzi al tributo più meraviglioso mai visto. Il nesso è così semplice ed immediato tra  due. Ecco, vorrei anche questo dalla mia vita. Perché se c’è una cosa che ho imparato da questa tremenda vicenda è che l’amore vince sempre. E allora che vi siate aggrappati a chissà quale pensiero in quegli istanti, all’amore per i vostri figli o per i vostri compagni, per i vostri amici, per le vostre madri, per voi stessi o a Dio, non fa differenza: non lasciatevi vincere dalla paura, lasciatevi vincere dall’amore.

 

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Avete mai provato a guardare oltre? Oltre tutto e tutti intendo? Oltre le scarpette colorate, oltre il gel e le pettinature strane, oltre i riti scaramantici, oltre i selfie, oltre uno stop che ogni tanto la palla sfugge, oltre i gol mangiati e quelli stampati all’incrocio dei pali, oltre le lamentele per un 5.5 di troppo, oltre le parole strappate e quelle dette invano? Sì? E cosa avete visto? Li avete mai visti due occhi pieni di lacrime che raccontano una storia intera?
Vedete, ci sono mille e più motivi per cui io ami lo sport, ma quello delle storie di vita è certamente uno dei più affascinanti. Bastano frammenti, a volte, un pezzetto qua e là, ricuci i pezzi e il gioco fatto. Ti trovi di fronte intere pagine scritte da persone qualunque che d’un tratto diventano eroi. Noti i pesi sulle spalle, le cicatrici, la forza nelle braccia che spingono in piedi quando sei faccia a terra, noti le mani che tremano perchè i ricordi sono ancora vivi, i sorrisi spenti per quell’occasione mancata…
…noti la verità. Esiste qualcosa di meglio delle verità? Ah sì, essere se stessi. 
Le storie più belle sono quelle che ci mostrano esattamente per ciò che siamo. Ma non per ciò che siamo con quelle scarpette e quei tatuaggi, per ciò che siamo realmente, nudi e crudi, pieni zeppi di difetti ma unici. 
E allora andate oltre gente, fate un passo in più, scovate, cercate, non fermatevi, andate oltre che le persone bisogna amarle per il loro animo e che lo spettacolo, OLTRE, è da togliere il fiato.

Le origini risalgono a quando le popolazioni politeiste dedicavano un giorno all’anno ad ogni dea legata alla terra, celebrandola ad esempio per la ritrovata fertilità. Per i greci era la Dea Rea, rea appunto di essere la madre di tutti dei, per i romani era la Dea Cibele, simbolo della Natura e di tutte le madri. Nel tempo assunse poi significati diversi ed evoluzioni: in Inghilterra di festeggiava il “Mothering Sunday” ovvero quando, nella quarta domenica di quaresima, era concesso a tutti i giovani lontani da casa per motivi di lavoro, per fare i servi altrove e quindi,  banalmente, per guadagnarsi da vivere, tornare in famiglia. Diversa la concezione di “mother’s day” americana: si iniziò a commemorare questo giorno legandolo al discorso del suffragio alle donne e a discorsi pacifisti, perchè ogni madre era simbolo di pace. In Italia ci penso un sacerdote, ovvero Don Otello Migliosi nel 1957, a celebrare la festa della mamma durante le sue messe nella chiesa di Assisi, dando perciò ufficialità all’iniziativa dell’anno precedente ideata dal sindaco di Bordighera Raul Zaccari. Nell’epoca più recente la Festa della Mamma trovò spazio su tutti i calendari nel giorno 8 di maggio, poi per convenzione fu spostata alla seconda domenica di maggio.
Oggi rileggendo le origini di questa festa mi rendo conto che tutto trova forma in te: tu sei la terra, la fertilità, la natura, la famiglia e l’unione, tu sei i diritti di donna e la pace. Tu sei maggio che è il mese dell’amore, ed anche il mese in cui mi hai dato alla luce, tu sei il trait d’union di una matta famiglia, sei nonna innamorata tutta da prendere in giro, sei colei che mi lascia le scaloppine pronte quando esce perché “non si sa mai” e quella che si commuove se io mi commuovo. Tu conosci tutti i giocatori della Juve perchè ti faccio “una testa così”, ed ami i mercoledì di Champions perché si sta insieme, poco importa se poi arriva o non arriva un rigore che mi cambia la serata, importa però se cambia il mio umore. Tu mi guardi e sai e non chiedi, o se chiedi pur conoscendo la risposta, tu sei, come dico sempre, il mio orizzonte e il mio porto sicuro. Ma più di tutto sei colei che ha tatuato i valori che contano nel mio animo risoluto, lindo e a te devoto. Tu che mi hai insegnato ad amare le cose semplici, sei la cosa più semplice che io abbia mai visto e forse è proprio per questo che ti amo. Infinitamente.

Buona festa della Mamma a tutte coloro che hanno avuto il coraggio di esserlo, a tutte coloro che avrebbero il coraggio di esserlo ma che non lo saranno mai, o forse lo saranno comunque, a chi nasconde un segreto dentro di sé, a chi costruire il cuore di un figlio e cullarlo tra le proprie mani difendendolo da ogni tempesta, amandolo incondizionatamente. E a auguri a te, mia dolce mammina. 

– Avere il culo grosso ti costa un abbonamento annuale in palestra, la rinuncia alle abbuffate di schifezze e l’umiliazione quando fai shopping di fronte alle 170 cm x 51 kg e taglia 38, e nonostante tutto il culo grosso te lo tieni;🙈😂🍟🍔🍹🍹🍹
– Essere una donna che lavora nel mondo del calcio ti costa 89345698249487 sfottò, cori negli spogliatoi, soprannomi ed appellativi vari 🦉
– Essere una donna appassionata di calcio e juventina, ti costa sofferenza ogni qualvolta si pronunci la parola #champions, ti costa un iPhone intasato di foto, video, gif varie ed eventuali dal 1997 senza interruzione, oltre che l’investimento di un treno in piena corsa al 93′ di un mercoledì qualunque passato dall’essere “un mercoledì da leoni” a “un mercoledì da co…”🙈😤😱😈👋👋👋
– Essere una donna, appassionata di calcio, juventina, che gioca al fantacalcio con 9 uomini che hanno la delicatezza di Pio e Amedeo (moltiplicata x 9 appunto) e che te la fanno assaporare dal 15 agosto al 31 luglio, che all’asta di inizio anno manco se ti presenti in gonna e tacco 12 ti lasciano i tuoi pupilli…ti costa ancora più caro, ma la soddisfazione di svegliarsi il lunedì mattina e vedere che con il punteggio di 68.5 a 68 hai vinto la prima #fantachampions della storia, non ha eguali.
Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il resto c’è il #fantacalcio
Dimenticavo: il karma fa sempre il suo corso Filippo Cazzola 😂😂😂😂😂😂 😂 abbandona il gruppo wa peggio di schettino 😂😂😂
Sami Khedira ti amo 😍

Girovagavo sui miei social alla ricerca di alcune parole che potessero allietare una serata fatta di mille pensieri e mi sono imbattuta in questa roba qui…le stesse identiche lacrime di allora, la stessa pelle d’oca ed il cuore che trema…dieci giorni senza di voi sono un martirio, mai più.

– Resoconto di una stagione indimenticabile (under 10 2016-17) –

Non so neanche da dove partire eppure so che devo farlo, ma poi divento prolissa e mi sgridate…ma devo farlo.
E allora partiamo dall’inizio.
Da tre anni fa quando mi venne chiesto di allenare. “Io? Ma non sono in grado…”
E poi eccomi lì, su quella panchina a guardare quei piccoli ometti crescere, incantata. Eravate così piccini, ed era difficile spiegarvi che così piccini c’era da farsi le ossa con quelli più grandi. Ma noi eravamo lì, anche quando prendevamo 10 gol a partita, siamo sempre stati lì.
Poi c’è stato l’anno scorso e l’anno di transizione, si è cresciuti un po’, non abbastanza per imporsi, ma il giusto per capire che la strada fosse quella giusta. Abbiamo perso qualche pezzo e non potevamo fare diversamente se non compattarci ancor di più e accogliere chi si stava affacciando per la prima volta in questo mondo. Fatto anche questo.
E così succede che inizi a giocartela, che perdi di misura e fa male, malissimo, ma dentro nascono nuove consapevolezze e cresci. E t’iscrivi al campionato primaverile e arrivi 4° ad un solo punto da tutte e tre le squadre che ti precedono, e batti la capolista, e fai sei vittorie di fila, e vai ai tornei con le squadre di FIGC e strappi due pareggi che…come ve li spiego, e poi fai il torneo estivo in cui capisci di potertela giocare fino in fondo e arrivi ad un soffio da una semifinale che sarebbe stato il giusto premio per tutto. Vi ho guardato negli occhi in quello spogliatoio e vi ho visto amareggiati, delusi, con le lacrime: “Mister ci credevamo, potevamo farcela…”, mi si è spezzato il cuoreSe non abbiamo vinto è perché non eravamo ancora pronti, ma vi prometto che lo saremo”. Era proprio qui che volevo arrivare. Avete abbandonato le vostre paure ed ora lo sapete anche voi quanto siamo diventati squadra. Perché i tu, io, lei, lui non esistono più, esiste solo un NOI.
NOI che a settembre ripartiremo più forti, più grandi, per una nuova avventura, NOI che staremo ancora insieme e questa è una promessa che ci siamo scambiati ieri ed ogni giorno, NOI che siamo un muro d’acciaio, che dimentichiamo i parastinchi, che non ascoltiamo e che facciamo a gara per tirare le punizioni,NOI che quando segniamo è subito “Esultanza del Tacchino”, NOI che giochiamo alla crossbar challenge, NOI che in macchina mettiamo Rovazzi perché ci piace così, NOI che ci facciamo riconoscere in ogni campo ed anche in ogni pizzeria, NOI che siamo NOI e non abbiamo eguali, NOI così imperfetti e così pesti, così pesti e così EROI. I miei EROI.
Non avrei mai creduto di essere all’altezza e forse alla vostra altezza non lo sarò mai perché tutte le volte che vi guardo e provo ad insegnarvi qualcosa, siete voi ad insegnarla a me.
Non potrei essere più orgogliosa di così ed anche se un giorno le nostre strade si divideranno so che ovunque andrò, ovunque andrete, voi avrete sempre un po’ di me, io avrò sempre e per sempre un po’ di voi.

Alle pesti del mio cuore, ai loro genitori che definire fantastici è poco, alla società OSGB di Gallarate, alla vera mister e al mitico preparatore del mio portierone, a tutti gli avversari con cui ci siamo scontrati, a quelli che ci hanno preso in giro e a quelli che si sono rimangiati tutto, a quelli che non credevano e che adesso credono, e a quelli che hanno lottato con noi e per noi dal primo minuto, al mio Buffonardo, al mio murone d’acciaio, agli ultimi arrivati diventati un pezzo fondamentale di questa famiglia, a chi c’è stato poco, al mio 2010 che si fa valere in mezzo ai 2007, a chi c’è da tre anni a questa parte, al mio Dybala, al mio tenerone che quando segna manda i baci alla mamma, alla quota rosa, al mio bomber e al mio capitano…GRAZIE di cuore.

Se amate il calcio, profondamente, date una possibilità ai bambini: allenateli, cresceteli, formateli, cullateli, fate tutto ciò che è nelle vostre forze e molto di più. E se avete una vita incasinata, un lavoro stressante, un cuore malconcio, ed il tempo che non basta mai, fidatevi di me, buttatevi in quest’esperienza. Non solo ne varrà la pena, ma non ci sarà niente al mondo che vi ripagherà di più.

“Voi metteteci il cuore…sempre”

#lepestidelmiocuore #imieieroi #osgb #under10 #finoallafine#murodacciaio #ilmiobomber #ilmiocapitano #mister #ilovethisgame#ilovefootball #onelove #onepassion #ilmegliodeveancoravenire#maryseven #quelgrancasinodellamiavita

Comunque niente volevo dire che le magre non sapranno mai cosa significhi salvare un gol con la cellulite: cara Lucrezia Cavazzin tu resti un fenomeno, con un ginocchio solo e taglia 38, ma ieri al minuto 47 è stata la rivincita delle vecchie, col salvagente incorporato, il ciclo ed un sinistro che manco per salire sul tram (perchè il destro invece…).
Il destino di quelle che quando alla nascita hanno chiesto di avere un po’ di culo ed hanno visto il senso metaforico rotolarsi dalla risate ed emigrare mentre il senso fisico aveva già colpito e affondato, non è sempre crudele, ora c’ho le prove😂😂😂

#maryseven #lamiasquadraèdifferente #forzapietrine#quelgrancasinodellamiavita #ilovefootball Open San Pietro Femminile#iononsononormale 😂😂

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9 aprile 2018, Facebook dopo la partita Csi tra Redentore e San Pietro 

Tutto, capisco tutto, ma se il bomber della vostra squadra sbaglia un gol, voi un vaffa non glielo riservate? Io sì, non lo nego, ma finisce lì. L’azione dopo sono già pronta a crederci. I fischi, invece, che siano di paura, e a maggior ragione di paura quando di fronte hai la tua squadra e uomini che si stanno spendendo per quei colori che ami tanto, no, non li condivido. E in tutta onestà non li condivido nemmeno verso un ex giocatore, per quanto tu, tifoso, possa “avercela” con lui magari perché ti senti “tradito”. Se poi la squadra in questione si chiama Juventus, ora davvero mi volete dire che questa Juventus, con tutto ciò che ha vinto, meriti dei fischi? Ha ragione Mughini: asini selvaggi.

2 aprile 2018 – “Pensierando” guardando Tiki Taka 

Questo è quello che succede ancora nel 2018: i commenti sessisti, la volgarità, la mancanza di rispetto per chi, magari, lavora per 500 euro al mese o 5 euro ad articolo o spesso, credetemi, pure gratis. Se tu fossi stato uomo, caro giornalista, ti saresti beccato “solo” un vaffanculo, ma siccome tu che hai posto questa domanda (alcuni dicono stupida, io probabilmente avrei chiesto altro, mi pare comunque una domanda lecita) sei pure donna, sbam, è quello il tuo punto debole, sei donna. Quindi il vaffanculo non te lo prendi, wow, e per fortuna che sei carina perché se fossi stata cessa ciaone, ma una non risposta, uno sdegno, uno sguardo che dice “Questa, la solita donna idiota, ma chi ce l’ha messa qui“, arriva dritto come un treno in piena corsa e nemmeno troppo in ritardo, come in Italia spesso ci hanno abituato.
Io personalmente non so se ho più rabbia o più schifo, so che da 10 anni calco i campi di periferia e ne ho viste e sentite di cotte e di crude. Cotte e crude. Perché sono donna, perché non capisco niente di calcio, perché davanti mi fate una faccia e dietro, nemmeno troppo a bassa voce, dite altro, perché secondo voi “ho altri interessi” (e mi fermo qui), perché faccio il mio lavoro col sorriso e non va bene, ma se fossi troppo seria sarei una che se la tira e nemmeno quello andrebbe bene, perché non basta metterci tutta l’umiltà e la passione di questo mondo, no, e probabilmente non basta nemmeno fare il tanto famoso salto di qualità, quello che si sogna da tutta una vita, perché le cose evidentemente non cambiano, o se lo fanno si discostano troppo poco dai soliti cliché.
Ogni giorno, nel mio piccolo, combatterò una battaglia di donna innamorata del suo lavoro che punta solo ad una cosa: il rispetto. Perché sarò pure “tutta sbagliata” ma UNICA, ed ogni mattina, nonostante le occhiaie ed i capelli arruffati, io posso guardarmi allo specchio, non so quanti di voi possano permettersi lo stesso.
Stop.

(foto facebook Maurizio Sarri official)

http://www.corrieredellosport.it/video/calcio/serie-a/napoli/2018/03/12-39850373/sarri_alla_giornalista_non_ti_mando_a_fare_in_c_perch_sei_una_donna/

 

Di solito mi tolgo i macigni dalle scarpe gettandoli giù nel burrone senza nemmeno guardare che fine facciano, per una volta però concedetemelo:
questa roba qui è anche per la mia prof di religione, quella che diceva che non sapevo cosa volessi dalla vita e che non avevo né arte né parte.
Cara prof, io non ho fatto ancora niente nella mia vita e forse sono una pasticciona buona a nulla, dotata di zero autostima e “tutta sbagliata”, ma se proprio c’è una cosa che ho sempre saputo e che ho sempre fatto, ecco, è esattamente questa: la capacità di saper scegliere la mia strada, di fare mille sacrifici, di non smettere di crederci e sognare nonostante il mondo sia pieno di gente come lei. E per la cronaca se non dovesse conoscere i campioni qui intervistati, provi a dare un’occhiata su Wikipedia.
Con affetto,
Mary Seven.

ps. dimenticavo: per l’intervista cliccate qui   😉

Davvero c’è qualcosa da dire su Gianluigi Buffon? Davvero queste immagini hanno bisogno di commento? Davvero le tua mani,la tua saggezza, la tua grinta, la tua professionalità, il tuo attaccamento alla maglia, il tuo aplomb, il tuo non mollare mai, le tue lacrime per una nazionale che non va dove vorrebbe e dovrebbe, la tua umiltà, il tuo orgoglio chiamato innanzitutto serie B, la tua parata su Zidane in quel luglio del 2006, tutte quelle champions solo sfiorate e la lucidità nel riuscire a commentare ogni sconfitta senza esagitazione, il tuo abbraccio con Del Piero, il tuo sorriso ed il tuo saperti togliere qualche sassolino dalla scarpa senza mai alzare i toni, il tuo essere sempre così decisivo, i tuoi trofei, il tuo abbraccio con quel tifoso dopo l’europeo 2016, la tua fascia al braccio…trovano parole che riescono a descriverle?
Non c’è niente e nessuno che sarà mai abbastanza per essere il nuovo Gigi, ma ci sono e ci saranno sempre milioni di bambini che diranno “Mister, voglio fare il portiere ed avere il numero uno sulla schiena perchè il mio idolo si chiama Buffon!”.
Buon compleanno Capitano e grazie per tutte le emozioni che solo tu sei riuscito a farci provare in questi splenditi 40 anni.
#happybirthday #gigibuffon #cèsolouncapitano #gig1bday #finoallafine#ilmioportiereèdifferente #ilmiocapitanoèdifferente #thankyou#nonèsoloungioco #ilovefootball #onelove #onepassion

Foto FB Gianluigi Buffon Official