I mondiali di calcio sono iniziati da appena 5 giorni eppure si sono già dati molto da fare nello stupirci in lungo e in largo.
Partiamo dai risultati, dai gol, dalle acrobazie, da quei messicani che sputano sangue e battono i campioni in carica (e sti cazzi), da quei numeri dieci che guardano le partite dalle panchine e da quelli che sbagliano un rigore proprio quando meno te lo aspetti, cosa ne evince? Ai miei occhi solo una cosa: questo è il Mondiale degli alieni.
Dai, senza troppi giri di parole: un Cristiano Ronaldo che contro la spagna piazza una tripletta letale, a cosa può essere paragonato? Ed un portiere che di professione fa il regista (o videomaker per gli amici di Rovazzi) e che para il rigore nientepopodimenoche a Lionel Messi? Ma il gol di Mertens? E L’assist di De Bruyne? E il Messico che fa secca la Germania? E la Svizzera che stoppa Neymar & Co? No dai ragazzi, seriamente, questo è il mondiale degli alieni. Ma non degli alieni – alieni e basta, anche e soprattutto dei normali che diventano alieni. E mi verrebbe solo da dire…finalmente. FINALMENTE. Che il Mondiale è di tutti. E chissenefrega se vince uno solo, a me pare che siano già tutti vincitori, troppa è la festa che si percepisce anche solo mentre friggi i fiori di zucca in pastella e la tv la intravedi di passaggio. Ok, scusate: mentre mia mamma frigge i fiori zucca in pastella ed io glieli rubo alla faccia della dieta 😉
Comunque senza divagare troppo, anche se è il mio pezzo forte, a me sti Mondiali gasano, e questi risultati “sorprendenti” mi gasano ancora di più, rendono tutto più avvincente. Mischiano, come detto, alieni con persone comuni e aiutano l’imprevedibilità a prendere il sopravvento sulla scontentezza.
Fantastico.
Allora buona serata gente, qualunque cosa facciate non dimenticatevi, però, di dare una sbirciatina a queste nazionali che, tra sorrisi e lacrime, ce la stanno mettendo proprio tutta per rincorrere quel pallone che contiene il sogno più grande: spingere il proprio paese il più in alto possibile, nell’olimpo degli dei del calcio, lasciare che un’intera popolazione getti in cantina ogni pensiero e si goda la spensieratezza di quella che è una grande festa.
E chissà mai che questa volta gli alieni saranno “solo” normali, ed i normali si trasformeranno in alieni.
Non ve lo nascondo, io un po’ ci spero 😉
Eh si, ci siamo. Aspettiamo questo giorno da 4 lunghissimi anni che sembrano non passare mai, e poi, un battito di ciglia e voilà, tutto pronto. Per un mese non si parlerà d’altro se non di Russia 2018, i Mondiali di calcio che dal 14 giugno al 15 luglio vedranno 32 squadre darsi battaglia per potersi ritrovare con le braccia al cielo e quella coppa stretta stretta fra le mani, ammirandola come un oracolo, come un quadro che prende colore, come un sogno che diventa realtà.
La nostra attesa, però, è stata vana: per noi italiani è già tutto finito ancor prima di iniziare, per noi che sto benedetto calcio lo viviamo ancor più intensamente di una strafiga abbordata in discoteca che ci sta (uomini) o della goduria di una fetta di pane e nutella al 2° giorno di ciclo (donne), per noi che “toccatemi tutto ma non il calcio”, per noi che “ssssssh c’è la partita”, per noi che “domenica si va allo stadio e tanti cari saluti”, per noi che la maglietta della nostra squadra ce l’abbiamo tatuata addosso, per noi che l’esultanza del nostro bomber del cuore la facciamo pure quando evitiamo etilometro e carramba dopo una notte di bagordi, ecco che, d’un tratto, si materializza quell’idea di estate senza Italia, e farci i conti non equivale nemmeno lontanamente ad un’equazione di 82esimo grado, farci i conti è semplicissimo e tremendamente doloroso. Zero, zero assoluto, noi non ci siamo, noi restiamo alla finestra, noi proveremo a consolarci fingendo che non ci interessi, che abbiamo altro da fare, che un mese vola, che non fa caldo, che la politica ci affascini di più, che gli elefanti volano e bla bla bla, ma in qualunque momento passeremo davanti alla tv, grazie anche ad una rigorosa programmazione Mediaset che trasmetterà match o trasmissioni inerenti per 27 ore giornaliere (mi chiedo per quale cavolo di motivo in tutte le altre edizioni con Italia presente dovevamo sorbirci le entusiasmanti telecronache Rai o aprire un mutuo con Sky per goderci un po’ di Coppa del Mondo, in fondo sono passati appena 4 anni mica stiamo parlando del 15-18) sbirceremo ed un filo di malinconia arriverà dritta dritta nei nostri occhi. Dai, non facciamo i fighi va, che sarà durissima. Però c’è una cosa che ci insegnano fin da bambini, ed è quella di saper prendere tutto con il sorriso. Non dico che sarà un gioco da ragazzi ma, proviamoci. Sorridiamo a questo “dramma sportivo” e proviamo a credere che ci rialzeremo, che torneremo più forti, che ci prenderemo la nostra rivincita. Che non è certo quella di vincere il 5° mondiale, abbiate pazienza che le cose belle richiedono tempo, la nostra prima rivincita sarà quella di ritrovarci lì, mano nella mano, sconosciuti ma fratelli, con l’odore di pizza attorno ed il suono di un mandolino in sottofondo, dimostrando, però, che siamo molto di più: siamo italiani, armiamoci del nostro inimitabile sorriso e stendiamoli tutti, impariamo da questa lezione perché, in realtà, siamo già pronti, siamo già in piedi, occhi negli occhi, testa alta e cuore in mano.
Nonostante tutto: “…siam pronti alla morte, l’Italia chiamò!”
Ore 17 Russia – Arabia Saudita.
Ci siamo per davvero.
Buon Mondiale a tutti!
Il giorno dei giorni cantava Ligabue, il giorno dei giorni per le ragazze di Milena Bertolini è proprio questo.
Italia – Portogallo vale tanto, tantissimo, vale un pass per i mondiali di Francia 2019 (con una giornata di anticipo perché altrimenti il discorso si rimanderebbe al 4 settembre in Belgio – Italia) a vent’anni dall’ultima partecipazione azzurra, vale tre punti d’oro, vale la settima (sì settima) vittoria consecutiva di questo percorso bellissimo, vale l’ennesimo tassello su un movimento che finalmente anche nel nostro paese sta crescendo, vale un tricolore che vuole sventolare in alto, vale un orgoglio di donna per dimostrare che “Non solo ci siamo anche noi” ma “Cazzo se ci siamo anche noi!”, vale un mix di emozioni che, come sempre, prende forma al momento giusto e rende tutto più chiaro. O tutto più azzurro, dipende, dai punti di vista. Non vale un “senso di rivalsa” contro la non partecipazione dei maschietti a questa rassegna mondiale. Non scherziamo dai, lo sport è fatto di momenti e di insiemi, le dimostrazioni verso gli scettici e gli imbecilli sono una cosa, ma chi ama lo sport tanto quanto lo amiamo noi, sa esattamente cosa si prova, lo sport è fatto di momenti, insieme per rialzarsi, insieme per vincere. Punto.
Ore 20.45, allo Stadio Artemio Franchi di Firenze, il fischio d’inizio lancerà verso novanta minuti che non vi chiedo di guardare, non ve lo consiglio nemmeno, ve lo auguro. Forse potreste capire. Ma non come fa la Rai che in un venerdì qualunque di giugno, quello dove i palinsesti sono zeppi di programmi imperdibili, affida il tutto a Rai Sport, della serie “Ok ma non troppo” perdendo ancora una volta la chance di dimostrarsi coraggiosa e superiore (tienitela pure stretta la tua mediocrità, tranquilla), vi auguro di capire come quelli che si immedesimano, che ci credono, che sognano e che lottano, fianco a fianco.
Noi con voi, voi con noi, è il “nostro” motto giusto?
E allora…”Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”.
Presenti.
E’ stata una lunga giornata e domani avrò un altro milione di cose da fare, ma questo commento non poteva aspettare, le imprese non possono aspettare, arrivano quando meno te le aspetti e le emozioni che ti travolgono devi metterle al più presto nero su bianco o finisci per perderle chissà dove e ritrovarle quando valgono la metà perché la mente dimentica in fretta, il cuore no.
Marco Cecchinato ha battuto Novak Djokovic ed è in semifinale al Roland Garros. Rileggetela almeno due, tre ma anche quattro volte questa frase, perché è vera, è tutta vera. Spalancate i vostri sorrisi e godetevi un connazionale così tanto vicino al tetto del mondo.
Piccola precisazione: non ho intenzione di fare la figa io che di figo non ho manco l’unghia del dito mignolo del piede, e non mi metto certo qui a fare i copia – incolla da wikipedia per mostrare un repertorio di nozioni tennistiche e non su questo ragazzotto che oggettivamente avevo solo sentito nominare fino a poche settimane fa, ma l’adrenalina di poter leggere il nome di un italiano accostato ad un così magnifico momento di sport, mi porta ad essere qui, all’1 e 44 di notte, a commentare di un’impresa tanto epica quanto affascinante. Perché Novak Djokovic lo conosciamo tutti, è l’ex numero uno del ranking mondiale con un alquanto discutibile taglio di capelli a cui puoi dire poco o nulla, antipatie e simpatie a parte, ma sapere che oggi Marco Cecchinato, un siciliano semi-sconosciuto di 26 anni che nella sua vita non ha fatto altro che lottare e crederci, lottare e crederci mettendosi alle spalle anche una squalifica per scommesse poi finita in cantina a causa di un difetto procedurale, lo ha battuto, è qualcosa che non ha definizione e che stasera, mentre vi infilate sotto il lenzuolino, dovrebbe farvi sentire ancora più orgogliosi di essere italiani. Signori e signore, c’è un uomo oggi che entra di diritto nella storia del tennis italiano e lo fa oltrepassando trionfalmente l’ingresso principale di un campo in terra rossa su cui capeggia una scritta: chapeau monsieur Cecchinato.
Caro Marco, ricordati però che le imprese sono fatte per un unico motivo: essere susseguite da altre imprese. I libri di storia sono pieni di pagine bianche che non aspettano altro che qualcuno si armi di inchiostro per lasciarne traccia indelebile, e le nostre menti ed i nostri cuori, soprattutto d’estate, emigrano in un deserto assetati di emozioni. Dissetaci, e facci sognare ancora un po’. E dormi stanotte. Adesso andrò a nanna anche io, ma non prima di aver riguardato ancora una volta quel punto finale. Pura magia.
Ma davvero d’estate esiste qualcosa di meglio di un panino con la salamella ed una birretta fresca con gli amici? Certo: un panino con la salamella, una birretta fresca con gli amici ed…un torneo estivo!
Volley o beach, calcio o calcetto, maratone e percorsi ciclistici, partitina a tennis, tuffo in piscina o gara a freccette, scegliete quello che volete ma scegliete!
Da consumatrice esperta di tornei (e di panino con la salamella e di spritz in compagnia e…lo so che si vede), come non consigliarvi il torneo dell’Amicizia – Memorial Pino Conte? Presso l’oratorio di Madonna in Campagna a Gallarate, sarà festa dal 18 giugno al 20 luglio per la 28° edizione consecutiva.
Calcio a 5, con regolamento calcio a 7, su campo in erba sintetica, è qui che si sfideranno venti e passa squadre per alzare al cielo l’ambito trofeo (della serie cara Champions scansate proprio), trofei come sempre firmati Introini & Pavan della mitica Elena.
Per tutte le info e le iscrizioni cliccate esattamente QUI
Vi aspettiamo numerosissimi, anche perchè detto sinceramente, sta cosa che l’Italia non è ai Mondiali in qualche modo bisognerà superarla, almeno proviamoci!
Vanno in archivio con un pareggio i primi novanta minuti di questa finalissima che vale l’accesso alla serie D.
Al gol di Berberi, zampata arrivata al 14′ del primo tempo, risponde un rigore a 5′ dal termine firmato Mosca.
Fra sette giorni ad Inveruno si deciderà chi si laureerà campione in quest’eccellenza e potrà coronare il sogno di volare in serie D.
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Inutile nascondersi: certe cose ti segnano, e ti segnano per sempre. Un anno fa lottai in piazza San Carlo a Torino per tenermi stretta questa vita ed il ricordo di quegli istanti, il ricordo di quella notte, mi creano uno sgomento che non pensavo potesse mai arrivare a toccare me. Ed invece, coinvolta a pieno regime, con paure che forse non mi abbandoneranno mai, con paure con cui convivi e che, però, ti aiutano anche a capire i tuoi limiti e a spronare te stessa per oltrepassarli. Il punto è che certe cose non fanno solo male, certe cose faranno male per sempre, le cicatrici restano cicatrici ma guardandole da un’altra prospettiva quei segni non sono ricami dell’anima?
Le mie mani e la mia mente si rifiutarono di mettere insieme i pezzi per un po’ ma cinque giorni dopo riuscii a partorire questo pezzo per dare testimonianza di un 3 giugno che sarà sempre un sogno infranto al pari di un ricamo che ha saputo rendere la mia anima un po’ meno bella ma certamente più forte.
Ringrazio ancora sportface.it che mi diede quest’opportunità.
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E’ stato uno strano lunedì quello della scorsa settimana, un lunedì tra un mix di malumori, incomprensioni e scadenze pressanti, un lunedì di quelli che ti fa maledire la fine del weekend, un lunedì vero e proprio insomma. Ecco perché quella sera accovacciata sul mio divano e con il mio amato mac fra le mani, cercavo qualcosa che mi facesse un po’ distogliere l’attenzione dai mille pensieri che mi frullavano nel cervello, che mi desse una scossa. Cercavo senza sapere dove posare realmente gli occhi fin quando sono stati gli occhi stessi a trovare luce. “Maxischermo in piazza San Carlo a Torino con piattaforma riservata a giornalisti e addetti stampa”, avevo letto sul web. Un brivido lungo la schiena, avevo già capito, la mia mente aveva già fatto un salto lungo circa 150 km, il mio cuore non aveva neanche saltato, era già là. Dovevo provarci e riuscirci. Sono partite circa 30 mail dal mio computer quella sera, trenta mail che hanno quasi tutte trovato risposta: “Ci mandi i suoi dati e le faremo sapere”, manco avessi presentato una canzone per il festival di Sanremo.
Poco meno di 48 ore dopo, la risposta attesa da tutta una vita: “Il suo accredito è stato accettato, ci vediamo sabato, buon lavoro”. Mezz’ora di salti incontrollati ed una svariata serie di note vocali alla collega che avrebbe vissuto con me quella medesima esperienza.
“Daniele vado a Torino sabato, chiedimi quello che vuoi”, la conferma più piccata ad un pezzo della famiglia Sportface. Già lo so, starete pensando questa è pazza, e in fondo normale non lo sono mai stata, ma io amo la mia follia, la sola, insieme a questa perseveranza e a questa smisurata passione, che mi permetta di raggiungere ciò che ho sempre sognato o molto più banalmente di fare ciò che amo di più, in spicci, di essere felice.
I convenevoli ve li tralascio: l’attesa, la cura maniacale nel preparare lo zaino e gli attrezzi del mestiere, l’ansia a diecimila, l’euforia di poter essere in mezzo ad un popolo di 30 mila persone che condividono i tuoi stessi colori e di poterlo fare da un posto privilegiato, quello di giornalista, l’adrenalina di poter scrivere della tua squadra del cuore che per l’ennesima volta si gioca il “tutto in una notte”, l’orgoglio di esserci, i pezzi del puzzle che d’improvviso s’incastrano ed un sorriso quasi spavaldo di fronte a quel lunedì nero che sembra d’un tratto così lontano. E poi il viaggio, la bandiera che sventola, i cori su cori e su cori. Ribadisco: lo so che sono pazza e che non mi capirete, ma non sono qui per questo. Io non voglio essere capita per ciò che faccio o ciò che provo quotidianamente, vorrei essere capita per ciò che ho sentito in quella lunga notte.
Perché tra un flash, una battuta, uno scambio d’opinioni, gli scongiuri verso un cielo grigio, una diretta facebook, perché tra un gol di Cristiano Ronaldo ed un gol di Mario Mandzukic erano circa le 21.45 quando quell’ultimo scorcio di stagione ha preso avvio. La Juve non gira, il centrocampo è lento e si è abbassato troppo, la difesa pare meno solida del solito, Higuain è così fuori dal gioco e poi c’è il talento cristallino di uno su cui ho scommesso non appena l’ho visto calciare un rigore con la maglia rosa del Palermo, ha 23 anni, si chiama Paulo Dybala e questa sera pare imprigionato nelle sue stesse paure. Casemiro e Ronaldo fanno il resto ma proprio quando cerchi conforto nei tuoi fratelli bianconeri,quando il tuo sguardo si scontra con il silenzio assordante di un’intera piazza che non riesce a spiegarsi il perché ancora una volta, sul più bello, tutto sfumi, ecco che quel silenzio si tramuta in un rumore che sa tanto di spari, ecco che il cuore ti si ferma e che la mente vola non a 150 km di distanza ma là dove non pensi possa esistere vita.
Una frazione di secondo, una folla impazzita che sta correndo proprio nella tua direzione, lo sforzarsi di trovare una lucidità che non fa capolino nel tuo cervello ma che, grazie a Dio, non soffoca quell’istinto di sopravvivenza a cui ti aggrappi come se fosse l’ultimo brandello di vita. Lo zaino in spalla e la mano della tua collega che hai afferrato e trascinato il più lontano possibile: non c’era tempo per le domande, c’era da correre. Circa 400 metri di corsa disperata evitando di calpestare la gente a terra e provando a non scontrarti con nulla, quelle mani che si disuniscono per un attimo, ma gli occhi che non si perdono e le dita nuovamente intrecciate. Il riparo sicuro è quello di un bar in cui ti fermi e ti ritrovi accerchiata di persone che hanno sangue ovunque, che urlano e piangono e non sanno il perché. “Una bomba, hanno sparato, arrivano” ed il terrore a quel punto trova spazio in un bagno in cui gli affanni di un respiro trasalito rimbombano a più non posso. E adesso cosa facciamo? Potevo lasciare che la paura di morire avesse la meglio sulla voglia di vivere? Noi, fratelli sconosciuti, ci siamo abbracciati, abbiamo condiviso il terrore e, quando abbiamo ripreso a respirare, l’umanità.
Ho visto gente che si consolava senza sapere cosa dire e chi avesse davanti, ho visto ragazzi infermieri in borghese bianconera, prendersi cura del prossimo ferito, ho visto gente che predicava calma, bambini accolti da mamme improvvisate ma oneste, soccorsi pronti e polizia attenta, cellulari prestati perché sopportare anche che le proprie famiglie piangessero sarebbe stato troppo. Ho rivisto quello scenario di una piazza devastata, perché c’era da recuperare la borsa della tua amica che lì dentro aveva anche le chiavi della macchina e che, nuovamente grazie a Dio, dopo poco era come un miraggio fra le tue mani, e ho capito che la guerra era passata di lì. C’era d abbandonare Torino, la città dei tuoi sogni, e c’era quello sgomento nel cuore che non si dava pace e che ti impediva anche di capire quanto i miracoli esistessero, quanto tu stessa fossi un miracolo.
Il ritorno a casa e la notte insonne pensavo facessero il resto, mi sbagliavo. Il resto lo hanno fatto gli occhi e le mani di mio padre e mia madre, dei miei fratelli, che sono stati la mia ancora di salvezza in quel mare in burrasca. Non potevo permettere a nessuno di non farmeli vedere più, di non riassaporare più i loro profumi, di non alimentarmi dei loro sorrisi. Io non so a cosa hanno pensato quelle trentamila persone, io so che ho pensato a loro ed è così che mi sono salvata. Ma ancora non era finita e forse questa storia non avrà una fine. Quando ho rivisto le immagini il giorno dopo, quando le parole hanno trovato una collocazione di senso compiuto, quando i milioni di messaggi che i social ed il mio cellulare mi hanno recapitato ribadendomi che fossi più viva di quanto in realtà credessi, ho trovato anche tutte quelle lacrime che fino a quel momento non avevo ancora versato. Ed eccole le domande che arrivano puntuali come una sentenza. E non sono né i perché, né da dove è nato tutto ciò, niente del genere, le domande che mi hanno martellato il cervello erano che fine avessero fatto tutti i disabili che avevo attorno, gli stessi che avevo difeso poco prima non appena la gente si mettesse nella loro traiettoria impedendogli di vedere la partita, che fine avesse fatto quella signora tanto simpatica con cui avevo condiviso le ansie da Champions dal pomeriggio, che fine avesse fatto quel giornalista tanto carino dagli occhi azzurro cielo, e ancora di più dove fosse quella bimba che si era seduta accanto a me pochi istanti prima del triplice fischio, che mi aveva chiesto in che porta dovessimo segnare e che al gol di Mandzukic mi aveva stretta così forte come se mi conoscesse da sempre o come se volesse donarmi un pezzetto del suo piccolo grande cuore. Ho pregato per loro, spero che Dio mi abbia ascoltato anche questa volta.
Adesso arriva il bello. Sognavo di scrivere il mio primo articolo sulla mia Juventus in modo totalmente diverso, sognavo di commentare di un Gigi con la coppa al cielo, sognavo di raccogliere le emozioni di quel popolo così tanto simile a me. E sognavo anche di piangere mentre digitavo ogni singola lettera su questa tastiera. Sognavo di avere il cuore a mille, proprio come adesso. Ecco perché so che un giorno sarò di nuovo lì, perché che sono folle l’ho già detto? Non mi lascerò vincere dalla paura. Ci vorrà tempo? Ci vuole sempre tempo. Non ho mai visto sogni realizzarsi con il solo schioccare delle dita. E a tutti questi sogni se n’è aggiunto uno: mi piacerebbe guardare negli occhi quel talento cristallino con il numero ventuno sulle spalle e mi piacerebbe che ci scambiassimo un po’ di paure. Così diverse e in fondo così uguali. Lui e la paura di accarezzare un pallone in quel di Cardiff, io e la paura di non poter più sentire sussultare il mio cuore come quel 13 maggio 2012 quando cambiai la mia foto di copertina su facebook lasciando che lo sguardo dell’uomo più uomo e campione più campione che conosca si commuovesse dinanzi al tributo più meraviglioso mai visto. Il nesso è così semplice ed immediato tra due. Ecco, vorrei anche questo dalla mia vita. Perché se c’è una cosa che ho imparato da questa tremenda vicenda è che l’amore vince sempre. E allora che vi siate aggrappati a chissà quale pensiero in quegli istanti, all’amore per i vostri figli o per i vostri compagni, per i vostri amici, per le vostre madri, per voi stessi o a Dio, non fa differenza: non lasciatevi vincere dalla paura, lasciatevi vincere dall’amore.
La bella favola del Brescia Calcio Femminile purtroppo sembra non avere un lieto fine: vicinissimo è l’addio alla Champions League e alla serie A 2018
Una canzone d’improvviso alla radio che non lascia scampo e riporta alla visione di ciò che è successo solo sette giorni fa…le foto, le parole, le emozioni fanno tutto il resto, fanno ancora tantissimo. Un omaggio incredibile per colui che la domenica e non solo ha saputo omaggiare me e milioni di appassionati di una classe che difficilmente avrà eguali: signore e signori, Andrea Pirlo.
“Lo so che è tardi, lo so che ormai sei là, ma sono convinto che là in alto oggi la guardavi con mio papà la partita! Questo gol, anche se non vorrà dire niente, anche se non servirà a niente, lo dedico a te #davideastori #forzaitalia #grazieatuttivoi”
Volevo augurarvi la buonanotte così, con questo messaggio che Mario Balotelli ha scritto sul suo profilo ufficiale instagram dopo la partita di stasera con l‘Arabia Saudita, vinta 2 a 1 grazie proprio ai gol di Balotelli e Belotti. Parte dunque con il piede giusto l’avventura del neo ct Mancini. Certo la strada è lunghissima, certo si sbaglierà ancora tanto, certo lo criticheremo come abbiamo sempre fatto con tutti i suoi predecessori, però…lasciatevi coinvolgere dalla tenerezza di questo post e per una volta cestinate tutte le critiche; il sangue amaro finisce per intoppare le vene, la dolcezza, al contrario, scioglie ogni remora ed aiuta a sorridere.
Good night