Willy Gnonto è una favola semplice, quasi troppo semplice per sembrare vera.
A 19 anni ancora non compiuti le cose difficili le ritrovi spesso in una dimensione parallela e fanno rima con la paura che non conosci, ed anche un debutto in Nazionale Maggiore quando hai alle spalle un passato fatto di un padre operaio, di una madre cameriera, di un paesino di 30 mila abitanti che si affaccia sulle sponde del lago Maggiore, può rivelarsi in un sogno semplice inzuppato nella speranza. La speranza di credere che, talvolta, il talento misto al sacrificio e al crederci per davvero, siano l’equazione perfetta.

Corsi e ricorsi storici: Italia – Germania

In una calda sera che anticipa l’estate alle porte e prova definitivamente a chiudere quel maledetto cerchio mondiale, al minuto ’65 si alza il tabellone luminoso, quello che indica “Willy Gnonto è il tuo momento”. Lo stadio Dall’Ara lo ha già scelto, appena dopo Mancini, e lo applaude aggrappandosi a quella freschezza sul volto in segno di rinascita. Voltare pagina può passare da questo sorriso. Gli fa spazio Politano ma poco importa, il numero undici dell’Italia si fionda su quella fascia destra come se non vedesse l’ora di percorrere il binario che più che da Donnarumma a Neuer, lo porta da Verbania al Paradiso.

Passano cinque minuti e lui sa già cosa deve fare, deve prendere la sua personalità a due mani e colpire, mordere un Keher già ammonito, per lasciare il segno. Fa di più. Forse Keher avrebbe tanto voluto farsi ammonire di nuovo, ma non ci riesce, Gnonto vola via, in quelle ali c’è il suo sogno, in quei piedi, in quell’assist per Pellegrini, c’è un gol alla Germania che la storia ci insegna avere sempre un certo peso specifico. E poi c’è il gol di Kimmich che fa un po’ rabbia ma non spegne gli entusiasmi, contrasta i 25 mila del Dall’Ara che cantano, spingono, danno fiducia a volti nuovi per un percorso lunghissimo che sarà, anzi che è già iniziato.

Willy Gnonto, lo stagista

I tre fischi valgono un mattone posto sulle ceneri, il post partita raccoglie un imbarazzo timido ma genuino, speciale a tratti, perchè si aprono finestre sugli archivi di libri fermi al capitolo uno e dal titolo “Cosa farò da grande”. Willy Gnonto maschera Il rossore sulle guance con le sue sane origini ivoriane e si presenta come se fosse ad un provino: tre anni di liceo classico gli valgono il soprannome di latinista, l’infanzia tra Suno e Baveno dove cresce a pane e calcio, l’approdo all’Inter “Conoscevo tutti, era casa mia” ed i tragitti Verbania – Appiano all’età di 16 anni quando poi osa: “A quest’età ho scelto di giocare e sono andato in Svizzera“. Oggi è un punto fermo dell’attacco di Andrè Breitenreiter dello Zurigo, quest’anno 30 presenze tra coppa e campionato e 10 gol. Dopo quest’apparizione chissà, magari qualche riflettore in più si è acceso sugli occhioni grandi di Willy Gnonto.

Con la mano che attorciglia il pantaloncino, i complimenti che piovono da ogni dove, l’umiltà di chi sa che questo è solo un punto di partenza, un sorriso accentuato da un apparecchio che sa ancor di più di gioventù, c’è un’Italia che vuol tornare a volare in alto insieme ai 170 centimetri di quello stagista con l’apparecchio che punta al contratto a tempo indeterminato.

E se da un lato c’è un motto che potrebbe recitare più o meno così: “Crescere, sbagliare, fare gol”, dall’altro c’è il tuo:

Il mio motto è divertirmi qualunque cosa io faccia“.

Pensa, Wilfred “Willy” Gnonto, anche il mio. E allora vivi il tuo sogno e facci divertire.

foto goal.it

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Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l’aquilone,
Togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace…

Posso partire da qui? Dalle bolle di sapone? Dal luccichio che nascondono, dalla magia che abbracciano, dalla leggerezza che mettono nel serbatoio per poter volare in alto. Chissà quante volte, da piccolina, ho soffiato troppo forte e lo ho viste scoppiare sul nascere, riempiendomi le dita di sapone, sentendone un profumo che non poteva bastare per gli occhioni grandi di una bimba troppo testona e curiosa che quelle bolle voleva trasformarle in ali per se stessa per farsi trascinare lontano.

Se penso alla mia ultima settimana mi sento così leggera e al tempo stesso piena da non saper da che parte iniziare per raccontarla.

Partiamo dalla leggerezza allora, partiamo dal saper prendere le cose così come vengono, senza troppe aspettative, e senza la paura di uno di quei no che sa tanto di portone sbattuto in faccia e bernoccolo sulla fronte. L’ho affrontata così questa impresa, imponendomi solo due regole: la prima era quella del “Senza rimpianti”.

I tag su IG, quelli belli

Quando la mia amica Gaia, interista sfegatata, mi ha taggato nel post dei The Jackal Commenta con noi la finale di Coppa Italia Juve – ,aInter“, era un po’ uno sfottò tra amiche tifose di due squadre diverse, della serie “Se andassimo noi sarebbe la fine”. Ma quando mi sono soffermata su quell’asta benefica, sulla possibilità di aggiudicarsi una maglia e devolvere tutto in beneficenza, per poi ritrovarsi su una poltrona vip dell’Olimpico di Roma e sul divano di casa Ebay accanto ai The Jackal, ho pensato che più che uno sfottò, potesse essere un bel mix di occasioni. Tante occasioni bellissime, in una botta sola. Ci ho pensato due notti e poi, appunto, ho applicato la prima regola: senza rimpianti.

Memento audere semper: fase uno

the jackal

Ho lanciato una campagna crowdfunding, ho contattato non so quante persone in tre giorni (grazie grazie grazieeeeeee!), gli ho spiegato la finalità benefica ancor prima del mio sogno, ed ho provato a far capire loro che è sempre il momento giusto per un gesto nobile (questo me lo hai insegnato tu papy). L’asta ha avuto due vincitori, Ezio, l’interista palermitano mio compagno di avventura, e me. Alle ore 18 di domenica scorsa ho chiamato mia mamma, mia zia e mio zio per poter urlare la mia felicità. Mi avesse risposto qualcuno…

…ho virato su mia cugina: “Ho vinto, ho vinto iooooo” e almeno lei la soddisfazione di saper schiacciare il pulsante verde sullo smartphone me l’ha data. E poi ho scritto su Facebook, su Instagram, sulla mia campagna crowfunding, sullo stato di whatsapp mai utilizzato fino a quel momento, su mille conversazioni a caso per ribadire a chi stava dall’altra parte la mia mattaggine, poche illusioni, mi conoscono da tempo, la conoscevano già. Il tutto, chiaramente, nella più classica domenica lavorativa, tra partite commentate, interviste e redazione. Ma questo non ditelo al mio capo.

Memento audere semper: fase “The Jackal sto arrivando”

the jackal

Vi tralascio i preparativi: chiama Livia l’amica romana sempre pronta ad ospitarti, prenota il treno, recupera la valigia, decidi cosa mettere in valigia, ed ovviamente fai la valigia a mezz’ora dalla partenza (must immancabile di ogni mio viaggio), prova a dormire di notte, non dimenticarti di mangiare, e poi lavora, lavora, lavora, che la vita da freelance è una corsa continua tra scadenze, giornate sempre troppo corte, un telefono acceso h24, arrampicate a mani nude su montagne di problem solving (esistono le lauree ad honorem per questo?) ed acuti attacchi di “Mannaggia a me e a chi me lo ha fatto fare” salvo poi “Dio benedica la mia indipendenza”.

Alla luce di tutto ciò: “It’s coming Rome”. Per alzare l’adrenalina, in una giornata da 152°, percepiti 157° sul campo, mettiamoci subito una mezz’ora di ritardo del treno. Muoversi nella capitale soprattutto in mercoledì particolarmente sportivi tra Coppa Italia ed Internazionali di Tennis, ve lo lascio immaginare. A casa di Livia nemmeno il tempo di abbracciarci è stato subito un trucco e parrucco e zaino e prenota il taxi e “Fammi un caffè ti prego”.

Ta daaaaa, lo stadio Olimpico

the jackal

Giunta allo stadio con 45 minuti di anticipo (sì, per la prima volta in vita mia sono arrivata in anticipo), i primi (e unici) applausi li ho ricevuti dal mio contapassi che alle 18.07 aveva già sforato i 10 mila passi. Varcati i primi cancelli dell’ingresso gladiatori, mai nome fu più azzeccato, ho applicato la seconda regola: essere me stessa. Ringrazio tutti quelli che avevano dispensato perle di saggezza sul “Fai così, fidati”, fidatevi voi, per una volta, sapevo esattamente cosa dover fare, tradotto, nulla. Essere me stessa è bastato e avanzato.

Ho salito quelle scale al ritmo del mio cuore che ha poi toccato gli 8 mila battiti al minuto quando mi sono affacciata dalla tribuna vip su quel rettangolo verde. Occhi a cuore e pace dei sensi.

Dalla poltrona vip al divano dei The Jackal, il salotto era completo. Ecco perchè alla domanda di Fru: “Come ti senti quando hai lo stadio sulla sinistra e la tv di fronte e sei costretta a guardare la partita lì?”La risposta non poteva che essere una sola: “A casa, come se fossi a casa”. Non ho mentito. Ero lì, su quel divano, con indosso la maglietta di capitan Chiellini, con un sorriso che raccontava già molto e con gli occhi che facevano il resto. Al posto giusto, al momento giusto, più di un tapin vincente di David Trezeguet ai tempi d’oro.

Mary seven felice, grazie The Jackal

Quello che è successo in quei lunghissimi novanta minuti, divenuti centoventi, sconfitta della Juve annessa (😢😡) lo trovate qui. Tutto il resto, le emozioni, le sensazioni, i brividi, invece, li trovate qui 💙 È la cassaforte senza combinazione, una volta entrati, è impossibile uscirne.

Leggera e piena. Ecco come si spiega.

Il segreto per far volare le bolle di sapone sta in un fil di fiato.

Libero com’ero stato ieri ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi 
Adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori

ps. Il più bel messaggio ricevuto: “Grazie per l’insegnamento: anche se una cosa sembra difficile o impossibile, non provarci è un delitto”. Thank you.

Caro Matteo Berrettini, la conosci la canzone di Marco Mengoni “Esseri Umani?” quella che fa “Credo negli esseri umani, credo negli esseri umani, credo negli esseri umani che hanno coraggio, coraggio di essere umani…”

Ecco, quella lì.

Ho messo tre sveglie tra le 4.25 e le 4.31 only for you. Mi sono arrotolata nel plaid come un salsicciotto, ho postato una rigorosa storia Instagram a testimonianza dell’essere davvero (più o meno) sveglia, ho divorato mezza scatola di biscotti (e per questo potresti pagarmela caramente), ho ingannato l’ansia con una serie di tweet idioti, ed ho tifato spudoratamente per te.

Quel ragazzino con mille tic e la maglietta viola non ha ancora nessuna intenzione di abdicare, mentre tu, la tua romanità, il tuo servizio supersonico non riuscite a scalfirlo come l’Italia intera sta sperando da sotto le coperte ed un occhio verso la tv. Il secondo set si chiude con il punteggio di 6 -2 ed il sottofondo dei netturbini che passano a ritirare l’immondizia, che ovviamente ho dimenticato di mettere fuori, mi distrae un po’.

Passa una pubblicità e dice “Le cose cambiano se sei tu il primo a farlo” ed effettivamente potrebbe essere catalogata nella top ten delle dieci reclame meno ingannevoli della storia.

All’inizio del terzo set iniziano pure ad arrivarmi le prime mail di giornata, il venerdì sta iniziando. Nel frattempo Nadal ha cambiato racchetta, gli si è rotta una corda, qui ci si aggrappa a tutto pur di un miracolo.

Sul 2 a 1 nel terzo set (prima volta in vantaggio per Matteo Berrettini) il “non sento la palla” ha lasciato il posto ad un po’ di scioltezza, io intanto sento (immagino) già il mio capo e le sue rotture di 🎾🎾. Nel frattempo mi sono ricordata di fare l’autolettura del contatore: no non sono uscita al freddo e al gelo, mi ero segnata il numero ieri pomeriggio. Mi sono ritrovata a parlare su whatsapp con Elena l’assistente virtuale; lei scrive stile “ET Telefono Casa”, io mi rendo conto che nell’ultima settimana è la conversazione più normale che abbia avuto, mentre si materializza l’immagine della mia vita sociale che sbatte ripetutamente la testa sul muro alla “Homer Simpson”.

Porca vacca che dritto, preludio di un game a zero e del 4-3 nel terzo set; intravedo un capello bianco sulla testa di Nadal. Ace a 218 km/h, io e la mia lancia Y ci caghiamo addosso quando in autostrada sfioriamo i 135 km/h. E fu così che il leone tornò a ruggire, con tre prime, un altro game a zero, ed il primo set in tasca. 1-2, daje Matteo.

Il quarto set va sul 2-2, io mi chiedo se esisterà mai un contorno occhi capace di rimediare al panda che si è impossessato del mio volto, so già la risposta ma lasciatemi googlare in pace.

“Se finisce prima delle sette torno a letto un paio d’ore”, mi ero detta con un po’ di rammarico dopo i primi due set. Ore 7.22, match più vivo che mai e gran voglia di colazione che avanza a passi da gigante. Resisto o oggi finisco per farne dodici. Nel frattempo ci sono scambi in cui passo dall’apnea totale all’orgasmo puro, chiede scusa ai miei vicini per il casino.

Ore 7.41, fine dei giochi. In un attimo Nadal accelera e Matteo Berrettini non regge l’urto. 4-1, (6-3, 6-2, 3-6, 6-3).
“Ogni anno migliora, finale a Wimbledon, semifinale qui, è un giocatore che ha un grande carisma. È un bravo ragazzo. Penso abbia uno splendido futuro davanti a sè”. Chapeau Rafa, immenso, infinito, immortale campione.

Vado a “nanna” Matteo, fai bei sogni anche tu. Oggi sarebbe servito un eroe per l’impresa, sei stato “solo” un essere umano, ma non nasconderti dietro quell’asciugamano, non abbassare la testa quando prendi le tue cose e saluti gli Australian Open, a testa alta, sempre, anche oggi, soprattutto oggi.

Devi mostrarti invincibile
Collezionare trofei
Ma quando piangi in silenzio
Scopri davvero chi seiCredo negli esseri umani
Credo negli esseri umani
Credo negli esseri umani
Che hanno coraggio
Coraggio di essere umani

Ps. Livello di rosicamento di Novak Djokovic, tre ulcere

Pps. Noi italiani ci sarà sempre un Matteo di cui saremo orgogliosi

Ppps. Berrettini ti amo 😍

Ma si, sdrammatizziamo, scriviamole due pagelle ignoranti per far scivolare via la rabbia di uno stop di petto che in fondo ci ha solo fatto perdere l’unico trofeo stagionale che avremmo potuto vincere. Non che ci avessi creduto, sia chiaro, nell’anno della sfiga nera con ciliegina sulla torta il crociato del giocatore più forte che abbiamo, la lotteria dei rigori non ci avrebbe sorriso neanche se li avessimo tirati a porta vuota, però di riffa o di raffa al 120esimo ci siamo pure arrivati più o meno vivi.

Poi magari un giorno un commento su questa Juve lo scrivo pure in maniera seria, ma per adesso lascio l’onore ai professori delle aule Facebook e ai giudici dei tribunali Instagram, io mi prendo l’onere dell’autoironia. condimento necessario per la trama di un film dal titolo “Ridiamo per non piangere”.

Quindi, ecco un po’ di pagelle ignoranti a caso, su altrettanti personaggi a caso (siamo messo agli atti che restano uniche ed inimitabili le pagelle ignoranti di calciatori brutti)

LE PAGELLE IGNORANTI – I BOCCIATI

Arianna Bergamaschi 2.5 – Vent’anni di carriera e diverse apparizioni anche al vaticano (l’ho letto su wikipedia), non bastano per prendere il sopravvento né sul maglioncino rosa shocking con cui si presenta a San Siro, né per strappare mezzo commento twitter a suo favore. Alla seconda battuta mi aveva già scritto mia cugina, alla terza mio fratello, alla quarta la mia vicina di casa, il messaggio era univoco: “Ma questa chi caz…è?”. Ce lo stiamo chiedendo in tanti. Ma rispolverare l’Oriettona Berti nazionale con le sue conchiglie vi faceva schifo?. Bergamaschi voto 2.5 (solo perchè il 2 l’ho promesso ad Alex Sandro).

Alex Sandro 2 – La mia prof di matematica delle superiori diceva: “Partiamo da zero, se ti alzi dalla sedia arriviamo a 1, se arrivi fino alla cattedra vale il 2”. Ecco. Il primo anno di Juve ci aveva veramente illuso, ora ogni volta che si allaccia uno scarpino va in affanno e a forza di errori da “matita rossa” anche la confezione metallica dei Caran D’Ache datati 1999 è tornata di moda. Più che rosso…profondo rosso.

Telecronisti Mediaset 5 – Probabilmente il mio telecronista ideale deve ancora nascere ma l’accoppiata Callegari – Paganini mi pare rivedibile. Al gol di Mckennie sembrava fosse morto qualcuno (forse De Vrij?), al gol di Sanchez, dove un morto lo abbiamo avuto per davvero, è partita la discografia di Raffaella Carrà, nel mezzo Inter Channel si è affidata al sentimento. Oltre il 5 non ce la posso fare.

Handanovic 5.5 – Sembra mio nonno.

Rabiot 4 – Possiamo venderlo insieme ai suoi immancabili guanti su Vinted?

Bentancur 5.5 – Quando entra ha ancora il segno del cuscino sulla faccia e la bolla al naso; il tepore da panchina, tè caldo e copertina, sono i suoi migliori amici. Ad un certo punto con una scivolata guadagna una rimessa laterale e veramente, oltre questo, non penso potremo chiedergli altro per il prossimo mese e mezzo. Sonni profondi.

Allegri 5.5 – Quando nel post gara afferma che Rugani sia stato il migliore in campo, ho un mancamento, quando aggiunge che Alex Sandro sia tornato ai suoi livelli ho un dubbio: il suo spacciatore è lo stesso di sempre? No perchè me lo ricordavo più all’avanguardia. Allucinato (altrimenti non si spiega)

LE PAGELLE IGNORANTI – I PROMOSSI

Sanchez 7.5 – Questo giocatore ha coraggio. Non tanto per il gol decisivo che regala la Supercoppa ai suoi, ahimè, quanto per le dichiarazioni post partita: “Conte mi diceva che nessuno era forte come me qui e poi mi metteva gli ultimi quindici minuti” (ho un dejavù ndr), ma io sono un leone in gabbia, se mi lasciano giocare sono un mostro”. L’autostima, questa sconosciuta. Agghiacciande.

Chiellini 7 – Nel decimo anniversario dalla tragedia della Costa Concordia, il mio capitano non abbandona la nave, anzi, abbraccia Alex Sandro come se fosse una scialuppa di salvataggio, collezionando insulti in toscanaccio puro tra il diaframma e la trachea. Per chi sperava nel canonico “Solo donne e bambini” gli è andata male: donne, bambini e la pecorella smarrita. Capitano, mio capitano 💙

Sport Mediaset 6.5 – Commentatori a parte grazie perchè sono riuscita a vedere una partita per intero senza interruzioni. Sono commossa. Dazn scansate proprio.

Bonucci 8 – Premio Oscar miglior attore non protagonista, scritturato per Rocky 7.

Perin 6 – In un periodo in cui siamo tutti in coda, anche lui pare in coda, per fare la prima Comunione però. Insieme a De Sciglio.

Barella 6- – Mi spiace ma finché non lo rivedo in versione after con occhialini e bicchiere in mano, la sufficienza non gliela darò mai. Latitante.

Mckennie 7 – Aaaaaaah come porta la croce Harry Potter 🤦🏻‍♀️

Inzaghi 6 – È la media perfetta tra il voto 8 che merita per il primo trofeo nerazzurro, ed il voto 4 per la voce da shining con cui si presenta ai microfoni finali. Da paura 😱

Mia mamma 10 e lode – A parte che per lei è sempre 10 e lode, ma la telefonata al triplice fischio “Chi me lo ha fatto fare di rimanere sveglia pure per i supplementari?” vale tutto. Oggi, però, è riuscita anche a rincarare la dose: “Ad un certo punto ho pensato ce la facessimo. Ma uno più capace di Alex Sandro non ce l’avevamo?”. Magari mamma, magari.

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Novak Djokovic è l’argomento del giorno e la dimostrazione più eclatante di quanto la legge sia uguale per tutti. Non scherzo eh, non c’è alcuna ironia. La legge è uguale per tutti gli uomini.

Piccola intro: il serbo pluricampione di tennis, nonché numero uno indiscusso al mondo, dopo il ritiro dalla Atp Cup di Sidney ha seriamente messo in dubbio la sua partecipazione al primo grande slam del 2022, gli Australian Open. Gli appassionati di questo sport hanno titubato di fronte alla possibilità di non vedere all’opera il numero uno mondiale, ma ora possono dormire sonni tranquilli, ci sarà. Allarme rientrato.

Ginocchia, spalle, caviglie, stanno tutte benissimo, la dignità, forse, un po’ meno. Novak Djokovic non ha mai confermato o meno di essere vaccinato contro il covid. Lungi da me il giudicare la scelta, non è questo il luogo per parlare di pro vax o no vax e non ho nemmeno le competenze per farlo. Ho la mia idea, certo, che resterà la mia idea, comprensibile o meno, giudicabile o meno, accettabile a prescindere.

Oggi sono bastate carta, penna e la firma di un medico per scrivere che il sig. Novak Djokovic ha un’esenzione tale da non permettergli di essere vaccinato e quindi ammissibile al torneo seppur con un aggiro della regola. Ma anche qui alzo le mani. Non sono un medico. È bastato anche un tweet, però, per confermare che i campioni sono campioni e gli uomini sono uomini. Non sempre i due concetti si intersecano fra di loro o combaciano, quanto piuttosto troppo spesso si snobbano, discostano, talvolta interrompono quello che t’aspetti o non t’aspetti. Idolatri un campione per una carriera e poi bastano centosessanta caratteri, che nell’era del digitale valgono quanto un testamento, e puff…scompare tutto.

A me di sicuro piace il tennis, non sono la massima esperta o conoscitrice in genere. Credo che la classe di Federer sia ineguagliabile per i prossimi mille anni, la forza di Nadal e la sua dedizione son tra gli elementi che più stimo nei campioni sportivi, Nole, invece, non l’ho mai digerito seppur intoccabile. È la sua bacheca che parla per sè. Poi c’è il tennis italiano che resta comunque una miniera inesauribile di talento forse ancora tutto da esprimere, con Berrettini capostipite di un treno ad alta velocità ma anche di una lunga serie di apprezzamenti puramente femminili ed irripetibili a tal punto che pure l’accademia della Crusca potrebbe arrivare a coniare nuovi termini di acuta lusinga. (Se all’ascolto ci fosse qualche mio amico, è pregato di smetterla di ridere, grazie 😂)

Dicevo, il tweet. Et voilà.

“Ho trascorso del tempo fantastico con i miei cari durante la pausa e oggi sto andando in Australia con un permesso di esenzione. Let’s go 2022!”.

Due anni di pandemia e nemmeno il tatto nel comunicare, nell’approcciarsi ad un mondo ancora in affanno. Spallucce, superficialità, la spocchia come se tutto fosse dovuto. Si guarda avanti, certo, sono la prima a farlo e a credere nella momentanea convivenza con questo maledetto virus, ma sono anche la prima a credere che centosessanta caratteri o poco più possano essere decisamente più funzionali. Soprattutto quando il nome accanto ad essi abbia un certo peso. Perchè se quel nome fosse Mary Seven la risonanza mediatica di una stronzata potrebbe ricadere, al massimo, su un migliaio di persone, nonostante l’etere riesca, talvolta, con un semplice tasto on/off ad amplificare tutto a dismisura.

Se invece il nome accanto è quello di un Novak Djokovic qualsiasi ecco che allora giusto il tempo di cliccare invio ed un miliardo di persone si ritrovano coinvolte. Il peso specifico è altamente diverso. Ma in fondo dare l’esempio è nobiltà di pochi, appartiene agli uomini, non ai ricchi.

Tienitelo pure stretto quel permesso, Nole e torniamo agli albori.

La legge è uguale per tutti. Per tutti gli UOMINI, appunto.

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Foto Getty Images

La 4° edizione del Festival dello Sport ha un titolo “L’attimo vincente” e la più alta forma d’espressione in un 2021 così ricco di successi ed emozioni altro non poteva essere se non chiamare a raccolta chi quell’attimo ha saputo coglierlo per entrare nella storia, viverlo per far sì che ne sia valsa la pena, e poi donarlo, a se stessi per darsi l’ulteriore conferma che sia tutto vero e agli altri, per emozionare oltremodo. Donarlo non come un dono la mattina di Natale, che scarti e poi metti in un angolo, donarlo come gesto di riconoscenza eterna per chi è sempre stato lì, per chi s’è improvvisato tifoso, per chi s’è innamorato all’ultimo, ed ora, solo ora, ha capito cosa si è perso.

Ai doni non si dice mai di no, e agli attimi? All’attimo che passa che si dice? Nulla, niente di niente. L’attimo si coglie. In religioso silenzio, con profonda ammirazione e la grande consapevolezza che potrebbe non ripassare più.

Alla luce di tutto questo io potevo forse farmelo sfuggire quest’attimo?

Il mio Festival dello Sport

No, non potevo.

Vivere il Festival così da vicino per me è stato un punto di pace, un contatto con la grande bellezza. E allora voglio raccontarvelo a modo mio, con le storie che ho ascoltato, le frasi che ho appuntato, le emozioni che mi hanno travolto l’anima e stropicciato gli occhi, le lacrime che hanno scavato solchi sulle mie guance, i sorrisi che mancavano da un po’. Incontro dopo incontro, lezione di vita dopo lezione di vita, attimo dopo attimo. Vincente, sia chiaro. 

Sinisa Mihajlovic – La “Partita della Vita”

festival dello sport

Una partenza col botto, quasi due ore d’incontro ed io ho pianto e riso per una buona ora e mezza. Sinisa Mihajlovic è…è…è Sinisa Mihajlovic. L’uomo tutto d’un pezzo che ha imparato a piangere.

“C’è un periodo della mia vita in cui mi ero dimenticato di piangere, oggi è diverso”.

“Sbattevo così tante volte quel pallone sulla serranda del garage che il mio vicino mi disse ‘Se tu non farai il calciatore, non lo farà nessuno’”.

“La Stella rossa è la mia squadra del cuore, ho fatto un provino e non mi hanno preso. Dopo 4 anni mi hanno pagato un milione di euro. Questo è per dire che non bisogna mai mollare”.

“Savicevic si è stirato scendendo dal letto”.

“Scoppia la guerra e il mio migliore amico mi ha distrutto casa, lui era croato io serbo. Questo è un incubo durato 10 anni. Come si può cambiare così improvvisamente?”.

“Negli anni della Lazio ci mettevamo d’accordo: uno menava e l’altro litigava, così ci risparmiavamo i cartellini. Oggi ogni fallo è un’ammonizione, non si può più fare come facevamo noi, io avrei giocato la metà delle partite, forse anche meno”.

“A Sanremo io ho cantato bene, Ibra no, ho fatto pure un disco 30 anni fa in Serbia, è colpa sua, di Amadeus e di Fiorello se abbiamo stonato”.

“Io a Firenze, mi sono divertito, i tifosi un po’ meno. Mi piacciono gli applausi, ma anche fischi non mi dispiacciono, certo quando sono i tuoi tifosi a fischiarti è diverso. Però non ho mai risposto a nessuna provocazione, almeno in campo, perché poi una volta ne ho beccato uno fuori dal campo e…ho risposto da uomo”.

“Arrivai al Milan di Berlusconi. Un onore essere stato il mister del Milan. Io però non mi faccio mettere i piedi in testa, per Berlusconi non era proprio così…ma il tempo passato con lui non lo potrò mai dimenticare. La mia avventura lì è finita perché come dice Trapattoni ci sono due gruppi di allenatori, quelli esonerati e quelli che saranno esonerati”.

“Curatevi bene perché se può capitare a me può capitare a tutti. Ogni volta che si parla con la mente vai in là, ripercorri tutto. C’è gente malata che si vergogna, si nasconde, ma questo non è giusto. È giusto anche piangere. Ognuno ha il suo carattere, io ho fatto vedere come sono io”.

“Gene gnocchi ha scritto: ‘La leucemia ha incontrato Sinisa, ora sono cazzi della Leucemia”. 

“In 24 ore non trovi un’ora per te stesso? Fate sport, non per forza il calcio, ma trovate un’ora per staccare dal resto del mondo e restate connessi solo con voi stessi”.

“Nei momenti di difficoltà si vedono uomini veri, amici veri. Bologna è speciale, ma tutta Italia lo è stata”.

“Il dottore mi disse: ‘Se arrivi a 500 globuli bianchi ti faccio andare alla prima di campionato’. Al sabato mattina ne avevo 450. “Beh dai 450 sono 500…’. Non voleva lasciarmi andare, gli risposi che se mi avesse dato il permesso sarei tornato con 2000 e che dovevo mantenere una promessa…lì ha capito”.

“Alla fine sono solo un vecchio di 53 anni con un midollo di 20”. 

festival dello sport

Euro 2020 – I campioni dell’Europa siamo noi

Mi è bastato vedere la coppa, credetemi. Ho visto la nostra coppa da vicino, la coppa da campioni europei. Davvero esistono parole per tutto questo? Ho chiuso gli occhi mentre Materazzi, Gravina, Insigne e Mancini rivivevano partita dopo partita quello che è stato un percorso magico, e mi girava la testa…no quella sbornia non mi è passata, “Ubriaca e Felice”…e amante della pastasciutta. Bonucci docet.

Gli Autogol – Il calcio non è una cosa seria

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L’oratorio, lo spettacolo teatrale, il Greast, il cabaret, le lezioni all’ultimo banco, l’imitazione dei professori, la radio locale, i 3/4  ascoltatori…l’inizio più semplice e l’arrivo più inaspettato. Gli Autogol possono anche non piacere, ma non si può non apprezzare la loro dedizione, la loro passione, la semplicità con cui si passa da Antonio Conte a Chiellini, da Allegri ai video sul fantacalcio. 

“Javier Zanetti ci ha invitato a casa sua, per il compleanno del figlio che è un nostro fans. Ad un certo punto eravamo in salotto con lui a guardare Milan – Lazio, al triplice fischio ci dice. ‘Non so come sdebitarmi…’, gli risposi ‘Tu con noi???????’”.

“Un’idea ci venne, lo abbiamo invitato alla partitella del mercoledì con i nostri amici. Non abbiamo detto nulla agli altri, quando è arrivato, beh…avevamo già vinto tuttp. Michele è riuscito a fargli un anticipo, quella foto è una reliquia”.

Cesarini e Rodini – 43 battiti al minuto 

Cesarini – Rodini, ho raccontato tutto qui

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“Le gare vengono studiate in ogni minimo dettaglio ma non gli ultimi 250 metri, gli ultimi 250 metri sono quelli di cuore, non c’è niente da studiare, devi ‘solo’ metterci il cuore”.

“Se puoi sognarlo puoi farlo. Sognare non costa niente”.

“Ho iniziato a ridere, ridere mi ha cambiato la vita”

“Lo sport è stata la mia salvezza. Ho genitori separati, vengo da una famiglia litigiosa, ho iniziato a pattinare per distrarmi per uscire da lì…sì, lo sport mi ha salvata”. 

“Cosa diresti alla Federica bambina?” “La parola resilienza l’ho imparata da piccola, alla bambina di tanto tempo fa direi di crederci e di non mollare mai”.

Elisa Di Francisca e Gaia Piccardi – Giù la Maschera

festival dello sport

Dicesi complicità femminile tra donne, quasi amiche, o forse molto di più, e no, non è cosa scontata, è rarità. Questo e molto altro è trapelato nell’incontro “Giù la Maschera” dove sono andati all’aria tutti i piani di giocare a nascondino con i propri sentimenti, dove la conta è finita troppo presto e dietro il primo angolo c’erano una marea di insicurezze messe nero su bianco. Elisa e Gaia quelle insicurezze le hanno trasformate in un libro, quel libro ha solo una chiave di lettura, la libertà.

“Tu racconti una storia ai lettori e in qualche modo stai raccontando una storia a te stesso. Le storie più belle sono quelle più difficili, poterle raccontare significa raggiungere l’apice di questo lavoro” (Gaia piccardi)

“La giusta distanza è quella che si deve mantenere per raccontare al meglio qualcosa…ma forse la giusta distanza non la si trova mai”.

“Io ho scritto questo libro e no, quando l’ho finito, non ero la stessa di quando l’ho iniziato”.

Vieri, Adani, Cassano, Ventola – Fenomeno Bobo Tv

La Bobo Tv dal vivo mi ha tanto ricordato me, alcuni amici, alcuni colleghi, che commentiamo cose a caso di calcio. Ma proprie cose a caso. Dal 1900 e qualcosa al 2021: amichevoli, finali champions, mondiali, palloni d’oro, sedute di fantacalcio, il cucchiaio di Pellè, Byron Moreno, acquisti insulsi alla Vampeta, il gol alla Del Piero, l’ignoranza di Adriano all’Hollywood, i voti del lunedì, tutto nel calderone, tutto. Bobo, Adani, Cassano e Ventola si cospargono di buona (e autentica) ignoranza senza fare troppa fatica, e cazzeggiano. Ventola cazzeggia un po’ di più perché capisce un discorso su tre. C’è leggerezza nell’aria e qualche parere più o meno condivisibile, molto più sensato di quanto senso possa avere tutto il resto presente in quel salotto, un salotto che, comunque, ti fa anche sentire a casa.

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“L’uomo si apprezza anche quando il mister fa male, non tanto quando chiama ‘Il Gavi della situazione’ ma quando ti spiega perché lo ha chiamato…”

“La comunicazione è libera, io voglio il contraddittorio, ma ditemi quello che pensate”.  

“Maradona con la palla da calcio ha fatto quello che nessun politico ha mai fatto ovvero ha promesso felicità e questa promessa l’ha mantenuta”

“Una parte fondamentale della cultura di una società la fa la comunicazione”

“Rispettate i vostri bambini anche se stanno in panchina, la colpa non è sempre degli altri”

“Finale di Coppa Italia faccio le corna all’arbitro e mi danno 3 giornate. Arrivo negli spogliatoi e dico ‘Ragazzi scusate ho sbagliato’. Pochi giorni dopo cambia dirigente e arriva Pradè, mi dice ‘Antonio se facciamo ricorso ti tolgono al 100% 1 o 2’ io gli risposi di non farlo, avevo esagerato, non era proprio il caso ma lui insistette ‘Vedrai ti tolgono sicuro 1 o 2 giornate’. Mi convinse ed andammo, me ne diedero altre tre, lo volevo uccidere”.

“Cassano mi devi 100 euro?” “Facciamo 50 e 50”. “No, no, tu mi devi 100 euro” “E perchè?” “Perché ho comprato la maglia del Verona”. “Hai ragione, ti chiedo scusa ma come potevo restare, lì scendevamo a picco”.

Bottaro e Busà – The Karate Kids

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I primi, non gli ultimi, ma ad oggi gli unici. Il karate sbarca alle Olimpiadi e rischia di essere l’unica apparizione, comunque andrà Bottaro e Busà hanno scritto la storia.

“Non sarò mai grato abbastanza alla mia famiglia”.

“Mi chiamavano arancina, dentro di me dicevo ‘Vedrai chi diventerò un giorno…’”

“Mio padre ha rivisto in me ciò che avrebbe voluto fare lui, ma ricordiamoci una cosa: i sogni sono i nostri, non i loro”.

“Avevo insicurezze che il karate mi ha aiutato a spazzare via, quando mi esprimo so che mostro la mia anima, e se mostro la mia anima non sbaglio”.

“Mi batterò affinchè il karate diventi sport ufficiale olimpico. Tutti i karateka devono battersi per far avverare questo sogno, tutti devono potersela giocare”.

“La scelta di una disciplina rispecchia quello che sei. Il karate ha valori puri e speciali, è molto formativo, ed io sono proprio così”.

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Francesca Piccinini – The Queen

La “Picci” che non ti aspetti…l’ho raccontata qui

Palmisano e Stano – Marcia da Impazzire

Simpatia ne abbiamo? E medaglie d’oro? Il titolo di quest’incontro è straordinariamente azzeccato… “Marcia da Impazzire”

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“Questi due atleti hanno nobiltato ogni giorno che li ha accompagnati a quel giorno”.

“Io gli dissi solo una cosa: portiamoci insieme quella voglia che avevamo da piccoli di cambiare il mondo”.

“La trappola del talento è un’arma a doppio taglio, genio e sregolatezza è un qualcosa che regge solo per eccezioni isolate, i campioni diventano campioni perché a quel talento hanno dedicato tutta la loro vita”.

Gianmarco Tamberi – 2 metri e mezzo sopra il cielo

Boom. Boom boom. Signori e signore, Gianmarco Tamberi. Ladies and Gentlmen Dick Fosbury e Javier Sotomayor

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“Quel salto è una storia infinita”.

“Dal maledetto infortunio al benedetto infortunio”

“Tutte quelle medaglia antecedenti alla propria gara altro non erano che un’ondata positiva, volevi solo essere all’altezza di chi aveva gareggiato prima di te”.

“Il 1 agosto 2021 resterà una data storica. Ci sono due 1 dentro, ecco perché doveva andare così”.

“Avevo paura di non trovare più stimoli, ed invece…voglio Oregon, nessun italiano è riuscito a vincere tutte europei, mondiali, olimpiadi sia outdoor che indoor…di solito quello che nessuno riesce a fare mi stimola”.

“Oggi sono leggero, sorrido alla vita. Forse non sono così giovane, ho 29 anni, ma la verità è mi sento rinato”.

Filippo Ganna – Gold Ganna

Per gli amici Top di Ganna, ma un top vero, con gli occhiali alla Harry Potter, la faccia da bravo ragazzo, la cazzimma di un non napoletano che in sella a quella bici sa fare solo due cose, abbattere record e vincere. 

“Papà ti sei fatto anche bello per il collegamento”.

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“La prima bici me l’ha regalata mio nonno, è in soffitta smontata perché volevo restaurarla ma il progetto è ancora in altomare”.

“Prima gara di G3 ho detto ‘troppa fatica non farò mai il ciclista’”.

“La scelta di diventare un ciclista professionista è arrivata durante il mondiale di Firenze nel 2013, ho saltato la scuola e mi avrebbero bocciato, ho accorciato i tempi ed ho abbandonato prima gli studi”.

“Il motivo per cui vivo è mangiare…ho un rapporto difficile con la nutella e gli orsetti gommosi”. 

“Una volta che capisci una gara in pista te ne innamori, sei in un velodromo dura pochi minuti ed è tutto racchiuso lì”

“Sono il leader del gruppo perché me lo hanno affidato…a volte i miei compagni mi chiedono “se hanno fatto bene, rispondo che se hanno dato il 110% hanno fatto bene”

“Siete andati a 67 km/h, il ghepardo va a 68 km/h” “La cosa positiva è che riesco a scappare dal ghepardo”

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Se hai amato un sogno con tutta te stessa, quel sogno non si dimenticherà mai di te, anche se lo hai trascurato un po’, anche se hai smesso di spulciare nel cassetto…

Al posto giusto, al momento giusto, con un sensazione di pace che mancava da un po’, con un sogno nel cuore che nemmeno io ricordavo essere così grande. 

Grazie Trento, grazie Festival dello Sport

Quanto l’ho aspettato questo giorno, quanto ho sognato d’essere lì, a Tokyo 2020, quanto avrei voluto vedere i palazzetti gremiti e gli stadi festanti…la vita sa sorprendere e talvolta ti coglie impreparato, o ti costringe a prendere tempo, a rimandare i traguardi, a vagliare ancora strade lunghe e tortuose.

E così, senza troppi giri di parole, senza ripetere le solite ovvietà, come ogni quattro anni (cinque a sto giro) da un bel po’ di tempo a questa parte, eccomi alle prese con la mia full immertion preferita. La magia di una presentazione resa semplice non ha intaccato le aspettative di un momento storico, fatto di grande bellezza e mille emozioni. Lo scorrere di immagini allineate al periodo, è stato un po’ sfogliare l’album di questi due anni, quando ci siamo inventati di tutto pur di rimanere a galla, fra le mura di una casa a prescindere troppo stretta, alle prese con festival sui balconi e crostate nei forni.

Quel ragazzo che guardava avanti, che correva su un tapis roulant, ha ben rappresentato la clausura forzata di un mondo che non aveva via d’uscita ma che non si è tirato indietro, rimboccandosi le maniche, provando, tentando, sperimentando, con estrema lucidità e con estremo coraggio. E al di là di tutto ciò che si dica, delle discussioni da bar o forse, ormai, sarebbe più giusto dire “Discussioni da Social”, io il coraggio lo apprezzo sempre.

Tokyo 2020 è, a mio avviso, il coraggio che si affida ai sogni e che genera magia. E da italiana, con un preciso ed imprescindibile sogno nel cassetto, immergersi in questa atmosfera, è un atto d’amore che dovevo a me stessa, per ricordarmi dove ero rimasta, per provare a capire se quelle emozioni, quelle lì, mi fanno ancora lo stesso effetto di Rio 2016, di Londra 2012, di Pechino 2008, di Atene 2004, di Sidney 2000,…nonostante oggi più che mai indossi una corazza che non permetta in alcun modo al mondo di toccare la parte più profonda di me.

E niente, passi la notte aspettando lo Zar, mentre i canottieri si proiettano nelle acque nipponiche, con sciabolatori e spadaccine che iniziano a calpestare pedane, e ti risvegli con l’avvincente basket 3 vs 3, una piscina che ha ripreso record ed un paio di medaglie che brillano molto di più del metallo che rappresentano. Gigi Samele, argento nella sciabola, Vito Dell’Aquila, oro, ad appena 20 anni, nel taekwondo 58 kg. L’Italia è caduta e si sta rialzando, e forse anche io sto ricomponendo i pezzi e ce la sto facendo.

Al primo Inno di Mameli mi sono commossa…non c’è corazza che tenga di fronte ad un’Olimpiade.

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Centosettantotto giorni, troppi per chi le Olimpiadi di Tokyo 2021 le attende in realtà da un anno. Ancora di più per chi, invece, quel sogno lo rincorre da tutta una vita.

Immaginatevi un bimbo che quindici anni fa ha avuto una visione, in una notte insonne fatta di buio e carezze mancate, mentre lanciava un giavellotto, immaginatevi una principessina che da più di un decennio “sacrifica” i suoi sabati sera con gli amici perché la domenica mattina alle sette la piscina chiama, anche quando fuori nevica è l’acqua è gelida, immaginatevi un gruppo di ragazze o ragazzi che trattano con i guanti quei fioretti, quel pallone, quegli anelli, quelle emozioni. Emozioni custodite gelosamente in un cassetto, spalancato solo al momento giusto, dotato di ali forti e di follia acuta. 

E poi immaginatevi una mamma che quella canzone la ripete come una preghiera ogni sera, un coach che si è cibato di numeri e libri per anni, un marito che ha trovato il coraggio di mettere da parte la propria carriera, un amico d’infanzia che quel sogno lo sente anche un po’ suo, un nonno che finge di non sapere ma conosce ogni minimo dettaglio…magari fosse tutto qui.

Immaginatevi ancora una giornalista, un insegnante, un presidente, una barista, un corriere, un produttore di medaglie, il commesso di un negozio di articoli sportivi, il pilota di un aereo, la receptionist di un hotel, la donna delle pulizie di un palazzetto, un fonico, un giudice, un vicino di casa che certe storie le ha viste crescere a distanza, un tifoso…tanti tifosi, tanti popoli così vicini che così vicini non lo sono mai…

A tutto questo che colonna sonora mettereste? Se chiudeste gli occhi che tinte avrebbero i vostri sogni? E riaprendoli quale sarebbe il colore della realtà?

In equilibrio, su un filo di lana ad un’altezza da brividi, ci sono 60 milioni di persone che scorrono, una dopo l’altra, con una mano legata al petto e con gli occhi che non percepiscono più scuse per non guardare lontano, ci sono sorrisi solleticati dal vento, e cuori che creano melodia danzante persino le nuvole…e non ci sono più paure.

Nessuno ha chiesto a nessuno di mettere tappeti, là sotto, per attutire le cadute, i lividi sono compresi nel pacchetto, nessuno ha chiesto ali, per poter volare, è una vita che chi osa se le costruisce da solo, nessuno ha proferito parola quando, d’un tratto, la più crudele delle bacchette magiche ha cancellato vite, sogni, speranze, e lasciato posto solo a sospiri, forza di volontà, resilienza…

…tutti, però, si sono aggrappati ai colori, alle note, al profumo di rinascita, al tessuto di seta che scivola fra le dita, alla sensazione amara o dolce di ciò che resterà in bocca dopo…

I cinque sensi, come i cinque cerchi, come Tokyo 2021: l’assonanza è perfetta e non poteva essere ridotta a brandelli, nascosta sotto le macerie di un’Italia che ancora si chiede se avrà la forza di rialzarsi, ma che, nonostante, tutto, continua a credere nei sogni. È il nostro turno, questa volta. Chiamateci eroi.

 

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In una fredda Chiavari si consuma l’ultimo atto delle final four di Supercoppa Italiana di calcio femminile, una supercoppa che finisce nella mani della Juventus di mister Guarino. Bomber in grande spolvero è Barbara Bonansea. L’attaccante con il numero undici sulle spalle trascina con una doppietta le sue compagne alla conquista del primo titolo stagionale.

Supercoppa Fiorentina

Supercoppa Femminile Juventus – Fiorentina (Mary Seven/maryseven.it)

Un gol per tempo e la Juve parte o meglio riparte da una vittoria enorme, frutto di una partita pressoché perfetta.

Prendere la valigia e andare dopo tanti mesi pareggia i conti con il freddo patito in questa due giorni. Lo spettacolo però dello stadio di Chiavari, tornare a vivere l’atmosfera del calcio giocato, ed immergersi, seppur con le dovute distanze e con la nostalgia di un pubblico che oggi avrebbe certamente reso onore a questi novanta minuti, hanno fatto il resto. Mary Seven bimba felice 1 duemilaeventuno 0.

Ecco la mia cronaca per sportal.it

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No, non c’è tregua, perché questo 2020 si porta via anche il “20 per eccellenza” Paolo Rossi o Pablito per chi ha a cuore quell’incredibile mondiale dell”82. Le immagini di oggi, di quel funerale nella sua Vicenza, di quei campioni del mondo che portano a stento il suo feretro, sconvolgono il profondo, toccano corde che scombussolano e non lasciano scampo ai suoi di un’anima segnata.

Se chiudo gli occhi e torno bambina penso a mio padre che mi racconta quell’impresa con le stesso ardore di quella sera, impresa ripercorsa in questi giorni ogni volta con un aneddoto in più, per un ricordo che non va mai troppo lontano dai cassetti delle cose belle.

Se riapro gli occhi vedo le immagini che scorrono ovunque per ribadire che quell’impresa è nostra, solo nostra, per poi sottolineare che in realtà è tua, sola tua e tu, caro Pablito, sei stato un signore che ci ha privilegiato nel condividerla con questo popolo che ora ti piange.

Paolo Rossi

Da quel lontano 1982…

Dall”82 ad oggi sono trascorsi 38 anni ed in realtà tanti della mia generazione erano ancora nel lungo corridoio della sala d’attesa (o forse nemmeno nei pensieri di mamma e papà come nel mio caso), ma la forza mediatica e ancor più la lucidità delle menti di chi c’era, hanno saputo farsi largo tra i capelli ingellati, i no look e milioni di follower.

Le immagini di quel percorso, di quel trionfo, hanno un posto d’onore nel cuore degli italiani a prescindere da cosa reciti la carta d’identità, a prescindere dalla posizione sociale, a prescindere che si tratti della famosa casalinga di Voghera o del tifoso attaccato alle reti di tutti i campi di Vibo Valentia.

A prescindere da tutto tu, Paolo Rossi, campione del mondo ’82 e Pallone d’Oro dello stesso anno, esile attaccante che ha saputo ribaltare i pregiudizi di chi non credeva che anche i “brutti anatroccoli possano trasformarsi in cigni”.

Oggi Prato, la tua città, per volere del sindaco ha appeso ai balconi il tricolore italiano: devi seguire il verde, bianco e rosso per trovare la strada verso il tuo ultimo campo di gioco.

Buon viaggio Paolo Rossi e grazie non solo per averci portato nell’Olimpo della storia del calcio ma anche per averci insegnato il valore assoluto del talento del sacrificio e della costanza.

foto notizie.it
il Giornale di Sicilia

 

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