Nove anni dopo Monza è un’invasione di rosso, di rosso Ferrari. Charles Leclerc, 21 anni e l’incredibile capacità di prendere per mano migliaia di tifosi e condurli là, sulla cima di un podio volando fino a mischiarsi con quel verde bianco e rosso di cui c’è traccia indelebile dove non arrivano le mani, ma arrivano gli occhi e i cuori.

Perso il conto delle palpitazioni in un weekend pressoché perfetto, basta rivedere quei filmati, consci di aver perso in diretta uno spettacolo di un’adrenalina disarmante, per riafferrare quei brividi lunghi più dell’attesa di tutto questo.

Che meraviglia rivedere pezzi di quei giri di pista, trattenere il fiato fino alla bandiera a scacchi, abbracciare virtualmente un ragazzo che si mette le mani sul casco e dice “Siete i migliori, i migliori per sempre”, che meraviglia sentirlo parlare italiano, stringersi a sé nel momento dei paragoni con un certo Schumacher, vederlo salire sul podio, festante, mentre l’Inno di Mameli risuona facendo da collante in quell’unica macchia rossa come il fuoco, come il sangue versato e mischiato a lacrime che non hanno mai fatto sì che la passione affogasse e l’amore per un cavallino affogassero senza appigli.

Charles Leclerc nel suo sguardo giovane e ammaliato, specchio di un talento cristallino, puro come l’animo gentile di un combattente che indossa la corazza solo un passo oltre quell’asfalto, ma estremamente semplice appena dietro la riga di partenza, forse non lo sa di cosa è stato capace, mentre la storia ha già confezionato l’impresa, non si può non essergli grati per averci fatto tornare ad essere vincenti, in casa nostra.

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Foto ilpost.it
calcio.nostalgia e passione (ig)

 

 

 

Ora sì, è di nuovo domenica, centotrenta e passa giorni dopo. Poche ore ed il primo fischio di questo calcio “dilettanti” risuonerà nelle nostre orecchie, poche ore e la prima lunghissima domenica delle trenta, poi a venire, sarà tutto ciò che abbiamo aspettato per un’estate intera.
Qualcuno ha delusioni da smaltire, qualcuno ha ancora fame di vittorie, qualcuno non è riuscito a porre un punto dopo l’ultima stagione e sente di avere altre carte da giocarsi, qualcuno, semplicemente, non riesce a farne a meno.
E allora…

Per tutti quelli che anche oggi, da oggi, sarà bellissimo…
Per tutti quelli che non vedevano l’ora…
Per tutti quelli che agosto l’hanno passato a sudare sotto il sole, o in ufficio a studiare, a preparare i dettagli…
Per tutti quelli che quella panchina la sognavano la notte…
Per tutti quelli che un nuovo coro è sempre il modo giusto per ricominciare…
Per tutti quelli che stamattina si sono svegliati con le farfalle allo stomaco…
Per tutti quelli che staccano alle due dal lavoro e corrono al campo…
Per tutti quelli che prima di uscire di casa diranno: “Mamma fammi l’in bocca al lupo”…
Per tutti quelli che, da buone mamme, diranno “In bocca al lupo tesoro” e dentro di loro spereranno solo che andrà tutto bene…
Per tutti quelli che capiscono e non capiscono, accettano per amore o per affetto….
Per tutti quelli che non compariranno nemmeno sulla distinta ma avranno sempre un ruolo di prim’ordine…
Per tutti quelli che indosseranno la maglietta numero uno sapendo di avere il ruolo più delicato e più esaltante allo stesso momento…
Per tutti quelli che daranno una pacca sulla spalla, comunque andrà…
Per tutti quelli che avranno bisogno di una pacca sulla spalla, comunque sarà andata…
Per tutti quelli che vivono per il gol, per chi vive per l’assist e chi sta sempre lì, a recuperar palloni…
Per tutti quelli che armati di penna e computer afferreranno emozioni al volo e proveranno a descriverle…
Per tutti quelli che “campionato nuovo, scarpe nuove”…
Per tutti quelli che già oggi stringeranno i denti, perché la prima non possono perdersela…
Per tutti quelli che “io ci metto il cuore, vada come vada…
Per tutti quelli che torneranno a calpestare quel terreno dopo mesi di sofferenza…
Per tutti quelli che indosseranno la fascia da capitano e per chi non lo farà ma si sentirà capitano comunque…
Per tutti quelli che è arrivato il momento di dimostrare chi sono per davvero…
Per tutti quelli che cercheranno in tribuna gli unici occhi che vorrebbero sentirsi addosso, e per chi saprà ricambiare quello sguardo con un’esultanza, un sorriso o con il silenzio…
Per tutti quelli che al 90esimo sapranno di aver dato tutto ma di poter fare sempre di più…
Per tutti quelli che, semplicemente, ci credono, da sempre e per sempre.

Perché potete pure continuare a chiamarlo “Calcio dilettanti”, o “gioco”o come cavolo volete voi, ma tanto lo sappiamo tutti che è di più, molto di più…

E allora ognuno al suo posto e buon campionato a tutti quelli che…il calcio dilettanti è il Calcio!

 

Bianco che abbraccia il nero, coro che si alza davvero, Juve per sempre sarà.
Recita così l’inno della Juve, quella Juve che ieri sera, all’ultimo respiro, è riuscita ad avere la meglio sul Napoli grazie all’autogol di Koulibaly. Il centrale biancazzurro, uno dei più forti centrali al mondo, ha commesso un errore, un autogol, al 93′, proprio quando sembrava che il big match fosse destinato ad un pareggio ottenuto in remuntada. Ed invece, nel tentativo di sparare oltre lo stadium quella sfera piombata in area, il “centralone” maldestramente la spedisce nel sette alle spalle di Meret. Fine dei giochi, la Juve vince 4 a 3.
Ma oltre il triplice fischio ecco che Giorgio Chiellini, capitano della Juventus ,decide, ancor prima di congratularsi con i suoi compagni, di andare ad abbracciare quell’avversario di mille battaglie, quello che “No, un autogol così non te lo aspetti”.
E forse in questa foto non si vedono le stampelle, testimoni di un destino che al toscano 35enne ha riservato una salita nuova, di circa 6 mesi, per un ginocchio che ha fatto crack, ma si vedono due colori ben distinti che si mischiano, che si confondono e si rispettano. Potreste vedere il bianconero da un lato e l’azzurro dall’altro, potreste vedere il blu (Italia) ed il verde-giallo-rosso (Senegal), o più semplicemente il bianco & il nero.
Quelli come me, che invece sanno guardare più a fondo, non vedono differenze; intravedono una C enorme sul braccio sinistro dell’uno, ed uno sguardo sconsolato ma riconoscente sul volto dell’altro. In questo foto ci sono due cuori enormi, nascosti sotto due maglie diverse, che si sfiorano, che si avvicinano e che tremano.
In questo foto c’è un senso di rispetto assoluto che il cuore lo fa tremare anche a me. 
In questo foto c’è l’esempio che martedì, al primissimo allenamento dell’anno, riporterò ai miei pulcini, mettendo davanti ai loro occhi puri il senso di un gioco meraviglioso che in realtà “solo” un gioco non è.

 

 

Virgil Van Dijk, semplicemente il top player della passata edizione di Champions League. Il più forte. Più di Ronaldo e Messi, più di chiunque altro. 
Eppure vederlo seduto di fianco a quei due mostri sacri un po’ effetto lo ha fatto, nonostante gli 84 milioni di euro versati dal Liverpool al Southampton nel dicembre 2017 non siano proprio due bruscolini ed una certa aura di valore intorno a Van Dijk l’hanno pur creata, appunto, tempo fa. “Sopravvalutato“, “Come può valere tutti quei soldi?“, “Pazzi“, “84 milioni per un difensore, da non credere“. Sì in tanti le hanno sputate queste sentenze, e per un secondo tralasciamo la storiella che conosciamo bene, quella dei “million dollari” del calcio, come direbbe un mio amico. Ragioniamo allora su un passato che non ha lasciato scampo ad un ragazzo che tutto questo se l’è costruito passo dopo passo, mattone dopo mattone, crescendo con quella fretta di chi si ritrova a cestinare la carta d’identità in cambio di sabati sera trascorsi a lavare i piatti in un ristorante. Perché mamma e fratello andavano aiutati, perché togliersi dalla maglia quel cognome che ricordava la figura paterna di un padre che, in realtà, non c’è mai stato, poteva solo dar sollievo all’orgoglio ma non valeva né un pagnotta né un affitto pagato.
E così se c’era da lavare i piatti per sopravvivere si lavavano, e così se c’era da stringere i denti tra un allenamento e l’altro, si stringevano. Perché la fatica Virgil Van Dijk l’ha guardata negli occhi se l’è cucita addosso. Un po’ come il coraggio. Lo stesso che lo ha aiutato a sopravvivere, grazie a sua madre, quando nel 2012 quei dolori all’addorme si fecero troppo insistenti per essere una banale influenza come qualche dottore disse. Un’operazione d’urgenza e due mesi di riabilitazione furono abbastanza per rimetterlo in piedi.
La gavetta, allora, potè tornare a scorrere, fin quando si accorse di lui il Southampton, fin quando il Liverpool decise di aiutarlo a diventare il più forte difensore d’Europa, fin quando in quella Montecarlo dell’altro ieri, tutta agghindata a festa, al richiamo di “Uefa men’s player of the year” i riflettori hanno intrapreso una strada diversa da quella cui erano abituati, e si sono consumati su 193 centimetri di eleganza e determinazione.
E pensare che se fosse stato per Jacques Lips proprietario di quel ristorante di Breda…”Lascia stare il calcio, non ti darà mai da vivere, qui guadagni soldi sicuri”…

La storia di ieri racconta di un lavapiatti di 16 anni che non mai mollato, di un ragazzo che a 18 anni non era neanche fra i professionisti. La storia di oggi non la racconta nessuno, la scrive un uomo che continua ad arrivare dalle retrovie, a percorrere “la strada più lunga”, ma solo per prendere la rincorsa.

Dio benedica i testardi.

Photo credit exitonoticias.com

Un po’ di tempo fa, per non dire anni fa, lessi su un giornale questa frase: “Avevo tutti i soldi possibili per curare mio padre, eppure…“. Eppure, quei soldi, non bastarono per evitare a Gino Del Piero un destino crudele. Suo figlio, Alessandro, uno dei miei idoli di sempre tanto per il giocatore quanto per l’uomo, rispose così alla domanda del giornalista. Schivo, il suo carattere non lo ha mai visto esporsi troppo soprattutto sulle faccende personali, ma non per questo poco determinato nel rimarcare i pensieri ed i valori di una vita.
Con quella frase, con quelle poche parole, il concetto era molto semplice: i soldi beh certo, aiutano, come negarlo, ma contano davvero più di un affetto, un sentimento, un legame indissolubile?
La risposta, anche oggi, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti. Luis Enrique nel pomeriggio di oggi ha perso la piccola Xanita “Xana” di 9 anni a causa di un tumore alle ossa che non le ha lasciato scampo.
Nonostante le cure, nonostante i soldi, nonostante le mille possibilità, non c’è stato nulla da fare, un angioletto le ha portato quelle ali che la condurranno in un posto un po’ più lontano da questo.
A leggere tutto questo ed ora a scriverlo, ho un senso di dolore e sgomento che mi pervade dentro.
Vado sui social e leggo milioni di condoglianze provenienti da tutto il mondo.
Lo stomaco mi si attorciglia.
Passano pochi secondi e mi si attorciglia di nuovo. 
Se mi guardo attorno vedo tutto diverso e mi pare di non possedere nulla.
Non vedo una casa, non vedo un’auto, non vedo libri, collane, vestiti, del cibo. Non vedo niente.
Mi chiedo solo cosa conti davvero, me lo chiedo per l’ennesima volta come se fosse un dazio da pagare ogni qualvolta mi lamenti dei jeans che non mi entrano e della vacanza in Canada che non posso permettermi.
Se mi guardo ancora intorno, poi, vedo foglie, alberi, un cielo infinito ed un mare profondo a cui affidare anche i miei pensieri più intimi. Vedo sole, stelle, luna, tramonti, albe e silenzi. Vento e silenzi per l’esattezza. Vedo occhi blu e sguardi incredibilmente compromettenti almeno quanto sorrisi giganti che colorano giornate intere dando speranza a sogni nemmeno troppo notturni, nemmeno troppo nascosti.
Lo stomaco mi si attorciglia ancora e dentro quei nodi, indistricabili, trovo risposte limpide. 
Ciò che conta davvero non ha prezzo.
Fottuti soldi, la felicità è esattamente sul binario accanto e l’amore, quello vero, da stasera ha una spettatrice in più, volata in alto per dar man forte ad un cielo che sarà meno buio.

Ci mancherai moltissimo. Ti ricorderemo ogni giorno della nostra vita, nella speranza che un giorno torneremo ad incontrarci. Sarai la stella che guida la nostra famiglia“.

Coraggio Luis Enrique & family, coraggio. 

Impossible to forget…tredici anni fa, campioni del mondo.

È un ricordo troppo vivo per essere cancellato, è un’emozione ancora così forte per finire nell’oblìo, è un sogno che ancora vive nella memoria di tutti, appassionati e non, e che dà ancora speranza per il futuro.
Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, il cielo è azzurro sopra Berlino.

Quattro giorni prima Fabio Grosso, quattro giorni dopo ancora lui, Fabio Grosso per scrivere la storia di una nazionale che tanto ci fa arrabbiare molto di più rabbrividire…

…ovunque eravate allora, ovunque siate oggi, ovunque sarete domani, fra un anno, fra mille, tutto questo non lo dimenticherete mai, tutto questo non lo dimenticheremo mai.

Grazie Italia!

Chiudete le valigie, andiamo a Berlino! E chi se lo scorda più quel 4 luglio 2006? Chi se lo scorda quel Mondiale?
Il gol liberatorio di Grosso, la perla di Del Piero, del mio Ale, con il mio ex che disse: “Se segna Del Piero mi faccio prete”, prete non lo è diventato ma un calcio in c…gli è arrivato comunque qualche tempo dopo.
Sono passati tredici anni eppure rivedere quelle immagini per 384209490236417172 volta mi fa venire gli stessi identici brividi. Incollata a quel televisore insieme alla mia famiglia, per poi correre in piazza fino a notte fonda, con l’acqua della fontana che non bastava per gavettonarci tutti né tantomeno la voce per gridare al cielo quanto fosse bello giocarsi una finale mondiale…di lì a 5 giorni la storia.

Non so voi ma anche oggi, nemmeno oggi, sono riuscita a fare a meno di guardare queste immagini e allora lasciateci vivere nei ricordi se i ricordi sono questi.

ph. rompipallone.it

Salvarti sull’orlo di un precipizio, quello che la musica può fare…“, ma anche raccogliere 5000 fans al Rugby Sound Festival per Max Gazzè. 
Presso la suggestiva location di Legnano, dove è già partito l’evento dell’estate ovvero quel Rugby Sound Festival giunto ormai alla ventesima edizione, si sono radunate 5000 voci e 10000 occhi che si sono lasciati cullare dalle note del famoso cantautore romano.
Ieri sera, infatti, è stata proprio la volta di Max Gazzè che ha riservato una tappa del suo tour 2019 ai legnanesi (e non solo) e che con una semplicità disarmante ed un briciolo di timidezza, ha letteralmente addolcito un’atmosfera estiva bollente.
Gazzè, che va così ad allungare la lunga lista di ospiti illustri che hanno calcato il palco del famoso festival, prossimi Gazzelle, Timoria ed Omar Pedrini e J Ax con gli Articolo 31, non ha assolutamente deluso le aspettative.
La folla ha saputo ballare, ascoltare, sciogliersi ed emozionarsi. Tutti i successi più conosciuti hanno abbracciato un pubblico attento capace di apprezzare anche quei pezzi che “Davanti a tutti li cantiamo oggi per la prima volta, o forse seconda, se facciamo errori non fateci caso eh“. Il cantautore ha scherzato ma ha anche trovato la chiave per colpire là dove, forse, qualcuno potesse avere dubbi su un artista che le luci della ribalta le ha sempre un po’ smorzate, accettandole “solo” quando aveva realmente qualcosa da dire. E basta ascoltare i suoi testi per rendersene conto, curati in ogni dettaglio, ricchi di messaggi più o meno espliciti, ricchi di amore, ma anche evidenziatori fluo di una dedizione incredibile verso quello che è il suo mondo, la sua musica.
Un bassista odia la chitarra, la odia perché è piccola, ha i tasti piccoli, ma per questo pezzo pare necessaria” e allora via con “Potranno mai le mie parole esserti da rosa, sposa“.
Non sono mancate poi Cara Valentina, Teresa, I tuoi maledettissimi impegni, Mentre Dormi, La vita com’è, Favola di Adamo ed Eva, Il solito sesso, L’uomo più furbo, fino alla conclusione ampiamente richiesta con Posso, il pezzo portato recentemente al successo con Carl Brave.
Grazie, grazie di cuore, a parte il caldo e le zanzare è stato bellissimo“, dichiara alla fine prima dell’ultimo inchino insieme alla sua band.
Ed è così che quelle 5000 anime hanno abbandonato il pratone del Rugby Sound Festival , con un originale sound nelle orecchie e con la purezza di un artista che non ha certo elemosinato brividi.

credit foto: Elena Di Vincenzo – Shining Production

Per una volta possiamo dirlo: del mondiale di calcio femminile se ne è parlato in lungo ed in largo, quasi da non credere e stavolta, mai come stavolta, ne siamo davvero estasiati.
Questa sera alle ore 21 il calcio d’inizio tra Francia – Corea del Sud darà il via all’8° edizione del campionato del mondo di calcio tutto al femminile, campionato che si concluderà il 7 luglio.
Chi alzerà l’ambito trofeo? Saranno le campionesse uscenti degli Usa? O le padrone di casa della Francia? E l’Italia, la nostra Italia, saprà stupire ancora?

Per parlare delle azzurre e di un sogno che torna dopo venti lunghissimi anni ci sarà tempo visto che l’esordio è previsto per domenica ore 13 contro l’Australia, ma per tutto il resto vi riporto qui di seguito un link da cui attingere ogni informazione possibile per non perdersi nulla, ma proprio nulla, di un evento che saprà colorare con un tocco pink (ma non troppo) un’estate che non è estate senza un Mondiale di Calcio.

E noi azzurre ci siamo, stavolta.

 

Per tutte le info sul Mondiale di Calcio Femminile clicca QUI

Togli la ragione e lasciami sognare in pace…

Se qualche anno fa mi avessero detto “Parteciperai ad un evento di beneficenza, a tinte bianconere, in un lussuoso hotel vista lago, con la presenza di 180 persone vestite di tutto punto, tra cui il presidente della Juventus Andrea Agnelli, Fabio Paratici, la coach Rita Guarino e una serie di giornalisti di un certo spessore e ne scriverai anche un pezzo”, beh, mi sarei ammazzata dalle risate. Ed invece, stanotte, con l’orologio che segna le 2.07, le poche ore di sonno accumulate nelle ultime settimane, non c’è verso di dormire. L’adrenalina mi fa ancora tremare il cuore e sento le gote sorridere mentre lo sguardo si colora della luca dei sogni, ma non quelli che si fanno ad occhi chiusi, quelli che senti sulla pelle quando è pieno giorno e quando l’orizzonte sembra così vicino da poter essere sfiorato con la mano.
Sono qui a cercare le parole, guardo questa tastiera nella speranza che le frasi giuste prendano forma da sole, mi torturo i boccoli e sento, d’un tratto, le guance calde mentre lacrime incomprese e prigioniere da troppo tempo di una cassaforte dorata senza combinazione, vanno a caccia della loro via di fuga. La bocca prova ad assaporarle mentre le narici si riempiono del profumo di una serata indimenticabile, il profumo di buono, il profumo del vento che spazza via le nubi e che mi fa scorgere il cielo di primavera.
In questa stanza buia cerco i dettagli di una vita che danno senso alla mia follia, una follia che sperpera doni e che, come i bambini nel giorno di Natale, mi osserva curiosa scartarli, con i fiocchi fra le dita e le carte stracciate in giro per casa. Da lì al caos è un attimo perché lo so bene che la lista dei desideri è sempre troppo lunga, ma so anche che ogni qual volta inizi a scriverla, a ridimensionarla, a cambiare l’ordine dell’elenco puntato, diventa la lista di qualcun altro ed io, al mio cuore, non posso più fare questo. Per tutte le pugnalate ricevute, per tutte le volte in cui ho lasciato che venisse messo al tappeto dalla ragione, per tutte le volte in cui è stato frantumato in mille pezzi e per tutte le volte in cui, quei pezzi, non combaciavano mai, ora so che è il suo tempo e che il segreto è lasciarlo volare in alto dove non esistono vertigini che tengano per non sfociare nelle acque dei mari inesplorati.
Come su una barca che sa quale rotta seguire, che sa quanti viaggi deve ancora da affrontare, ho preso il timone e l’ho messo nelle mani del mio cuore, consapevole che non esista posto più sicuro al mondo.

Libero com’ero stato ieri, ho dei centimetri di cielo sotto i piedi, adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori…sono nuvola e tra poco pioverà, e non c’è niente che mi sposta o vento che mi sposterà…

…Togli la ragione e lasciami sognare in pace”.