Togli la ragione e lasciami sognare in pace…

Se qualche anno fa mi avessero detto “Parteciperai ad un evento di beneficenza, a tinte bianconere, in un lussuoso hotel vista lago, con la presenza di 180 persone vestite di tutto punto, tra cui il presidente della Juventus Andrea Agnelli, Fabio Paratici, la coach Rita Guarino e una serie di giornalisti di un certo spessore e ne scriverai anche un pezzo”, beh, mi sarei ammazzata dalle risate. Ed invece, stanotte, con l’orologio che segna le 2.07, le poche ore di sonno accumulate nelle ultime settimane, non c’è verso di dormire. L’adrenalina mi fa ancora tremare il cuore e sento le gote sorridere mentre lo sguardo si colora della luca dei sogni, ma non quelli che si fanno ad occhi chiusi, quelli che senti sulla pelle quando è pieno giorno e quando l’orizzonte sembra così vicino da poter essere sfiorato con la mano.
Sono qui a cercare le parole, guardo questa tastiera nella speranza che le frasi giuste prendano forma da sole, mi torturo i boccoli e sento, d’un tratto, le guance calde mentre lacrime incomprese e prigioniere da troppo tempo di una cassaforte dorata senza combinazione, vanno a caccia della loro via di fuga. La bocca prova ad assaporarle mentre le narici si riempiono del profumo di una serata indimenticabile, il profumo di buono, il profumo del vento che spazza via le nubi e che mi fa scorgere il cielo di primavera.
In questa stanza buia cerco i dettagli di una vita che danno senso alla mia follia, una follia che sperpera doni e che, come i bambini nel giorno di Natale, mi osserva curiosa scartarli, con i fiocchi fra le dita e le carte stracciate in giro per casa. Da lì al caos è un attimo perché lo so bene che la lista dei desideri è sempre troppo lunga, ma so anche che ogni qual volta inizi a scriverla, a ridimensionarla, a cambiare l’ordine dell’elenco puntato, diventa la lista di qualcun altro ed io, al mio cuore, non posso più fare questo. Per tutte le pugnalate ricevute, per tutte le volte in cui ho lasciato che venisse messo al tappeto dalla ragione, per tutte le volte in cui è stato frantumato in mille pezzi e per tutte le volte in cui, quei pezzi, non combaciavano mai, ora so che è il suo tempo e che il segreto è lasciarlo volare in alto dove non esistono vertigini che tengano per non sfociare nelle acque dei mari inesplorati.
Come su una barca che sa quale rotta seguire, che sa quanti viaggi deve ancora da affrontare, ho preso il timone e l’ho messo nelle mani del mio cuore, consapevole che non esista posto più sicuro al mondo.

Libero com’ero stato ieri, ho dei centimetri di cielo sotto i piedi, adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori…sono nuvola e tra poco pioverà, e non c’è niente che mi sposta o vento che mi sposterà…

…Togli la ragione e lasciami sognare in pace”.

 

Se non avete visto correre almeno una volta Ayrton Senna non sapete niente di formula uno. E non sapete niente di motori, di quattro ruote, di velocità e di adrenalina.
Lui era il pilota per eccellenza, quello che amavi e tifavi a prescindere, quello che ti teneva con gli occhi incollati alla tv per un paio d’ore la domenica dove non capivi mai il confine fra il rombo di quel motore ed il tuo cuore.
Finché un giorno di venticinque anni fa quegli occhi si riempirono di lacrime perché a tutti i magnifici rumori dell’ennesima domenica di formula uno si aggiunse quello di un botto fortissimo, proprio come se un’automobile si schiantasse su un muro a 350 km/h.
Successe esattamente così. E successe ad Imola. Mio padre sobbalzò sulla poltrona, io non sapevo da che parte guardare affinché scorgessi anche un briciolo di realtà che non era quella sotto gli occhi di tutti.
Ayrton Senna se ne andò così, tra lo sgomento del mondo e l’incredibile passione dell’amare all’inverosimile ciò che si fa.
Ma venticinque anni dopo, sai bene che la leggenda di Ayrton Senna non è mani andata troppo lontano da quelle piste, fra le sue mani c’è ancora quello stesso volante che ha tradito la sua fiducia e gli ha spezzato la vita,  e sotto il suo piede quel pedale che lo ha spinto oltre ogni limite, fino ad arrivare là dove nessuno è più riuscito a prenderlo. Perché Ayrton Senna non ha mai avuto eguali, perché Ayrton Senna non avrà mai eguali.
1 maggio 1994

Pensi di avere un limite, così provi a toccare questo limite. Accade qualcosa. E Immediatamente riesci a correre un po’ più forte, grazie al potere della tua mente, alla tua determinazione, al tuo istinto e grazie all’esperienza. Puoi volare molto in alto“- Ayrton Senna

La cosa più importante è essere te stesso, senza permettere a nessuno di ostacolarti, senza essere diverso perchè qualcuno vuole che tu sia diverso. Devi essere te stesso. Molte volte farai degli errori a causa della tua personalità, del carattere o delle interferenze che puoi trovare lungo il cammino. Ma solo così puoi imparare: dai tuoi errori. E’ questa la cosa principale: utilizzare gli errori per imparare. Io credo nell’abilità di concentrarsi profondamente, in modo da rendere e progredire ancora di più“. – Ayrton Senna

Se una persona non ha più sogni, non ha più alcuna ragione di vivere. Sognare è necessario anche se nel sogno va intravista la realtà. Per me è uno dei principi della vita“. – Ayrton Senna

 

I love football.
E lo dico oggi per l’ennesima volta, dopo l’ennesima stagione di calcio dilettanti che si chiude, dopo l’ennesima annata di salti mortali ed emozioni infinite, dopo l’ ennesima domenica fatta di mille parole, ed ennesimo magone che mi sovrasta quando mi rendo conto che da qui a tre mesi sarà tutto un po’ diverso.
È facile guardarsi indietro ora e capire come tutto possa trovare il proprio posto, vivere la settimana novanta minuti per volta, in realtà, ha sempre un significato più profondo della leggerezza che scorre poi, insieme ai titoli di coda e al sipario che cala. Le domande che hai posto agli altri, d’un tratto, ti piombano addosso e lo sai che per le risposte ci vuole tempo e pazienza, ma ancor di più ci vogliono i dettagli. 
Gli occhi di quel bambino che non stava nella pelle nell’entrare in campo con bomber della prima squadra, possono bastare? Quel pres che ti abbraccia con lo sguardo commosso e ti ringrazia per esserci stata passo dopo passo, significa davvero qualcosa?
Il giocatore che la domenica sera ti scrive per un 5 di troppo e che prova a spiegarti il suo punto di vista non senza presunzione non senza umiltà, sono boccate d’ossigeno, certezze o grattacapi?
Quella coppia di nonnini così dolci che ti aspettano con la caramella in mano sono simbolo d’affetto nonché ricordo di un passato che tu non hai più?
La battuta prima di entrare in campo, per sdrammatizzare una tensione che c’è eccome, il selfie post vittoria, lo sfottò genuino, la scaramanzia che è d’obbligo, il seggiolino scomodo, il tifoso che ti tiene l’ombrello e ti offre il caffè, le storie che senti raccontare in tribuna, l’abbraccio tra due avversari che se le sono date per novanta minuti ma che poi “più amici di prima”, la testa alta di un capitano che non ne vuole sapere di mollare, nemmeno se sei sotto 3 a 0 e mancano 5 minuti, il coraggio di un mister che erge ad eroi i suoi ragazzi, difendendoli a spada tratta, la cattiveria gratuita di chi “Va beh ma sei donna, che ne sai tu” o di chi pensa di non essere sentito quando gli dai le spalle dopo la foto e mica lo sa che avete una passione in comune grande quanto una casa, le interviste del giovedì, la scelta accurata su chi mettere in luce, il “chissà se è abbastanza, chissà se ho fatto bene, chissà se questa frase è giusta così“, il vocale col collega, lo sfogo di un ragazzo che di fronte ad infortunio non sa dove aggrapparsi, la gioia di un padre che “Signorina, è il primo gol in prima squadra”, l’adrenalina dello spogliatoio che respiri non appena intravedi il campo di quella domenica…

…ma da che parte pende la bilancia?

Vorrei saperlo, ma non l’ho ancora capito. Metto tutto sul piatto poi, non appena mi scorgo per leggere i numeri, chiudo gli occhi e schiaccio sul pulsante tilt. Come un film che alla velocità della luce si ripresenta nella tua testa, rivedi tutte ma proprio tutte le immagini, del campo, dei pezzi scritti, dei chilometri percorsi, di quegli occhi neri che non saranno mai come nessun altro paio di occhi.

Da che parte pende la bilancia non lo so mai, la verità è che non mi interessa saperlo, mi bastano i brividi, i nodi allo stomaco, il rossore sulle guance ed i miei occhi bassi quando “Sei bravissima, grazie per tutto quello che fai per noi”, ed i brividi sulla pelle. E se volete misurarli provateci voi e poi fatemi sapere, io non ci sono ancora riuscita.

Ci sarà tempo per dividere gli affetti dalla necessità di avere nuovi stimoli, io dopo queste trenta faticose giornate, nonostante tutto, sto già iniziando il conto alla rovescia e vado a nanna convinta, per l’ennesima volta che no, non è solo un gioco. 

I love football. I love my work.

 

Sabato è successo qualcosa di incredibile e di impensabile fino a qualche tempo fa.
Una squadra di calcio professionistico ha vinto lo scudetto sia con la formazione maschile che con quella femminile, ed il tutto è successo in Italia, a Torino, alla Juventus.
Non sono qua per raccontare record, 8 di fila, nessuno in Europa, due consecutivi in due anni di vita, ecc., i numeri parlano da sé e non c’è bisogno di aggiungere altro, in realtà non sono qua per raccontare nulla ma per godermi lo spettacolo, per lasciare che il mio lato di tifosa prenda il sopravvento e per vedere e rivedere delle immagini che mi facciano brillare gli occhi. E poco m’importa dell’immondizia che ho letto sul web in questi giorni, siamo abbastanza forti per farci scivolare addosso tutto, per rimanere in piedi dopo l’ennesima batosta europea, per non cadere nelle provocazioni di gente che vive di alibi, noi che gli alibi non sappiamo nemmeno dove stiano di casa.
Noi siamo quelli del “Fino alla fine” in un legame di cui si conosce solo il principio. 
E allora per tutti quelli che ancora ci credono e che non smetteranno mai di farlo, per tutti quelli che sono ancora troppo incazzati per arrendersi dopo una sconfitta più dura di un pugno allo stomaco o ancora di più al cuore, emozionatevi guardando il bianco ed il nero sventolare là dove nessuno a sfiorarlo, cucito addosso a uomini e donne che non solo altro che i NOSTRI eroi.
Tu chiamale se vuoi…emozioni!

 

 

 

 

Gabriel Omar Batistuta ha colpito ancora un po’ come faceva con quelle esultanze in cui, finta mitraglietta in mano, sparava scatenando tutta la sua adrenalina.
Poco più di un mese fa il mondo del calcio (e non solo) si era prodigato per fare gli auguri all’attaccante argentino che ha raggiunto il mezzo secolo, oggi il Re Leone torna a ruggire e lo fa in modo diverso, nella maniera più dolce possibile. Già perché quando si parla di famiglia, di figli, di insegnamenti, di lezioni di vita, anche il cuore tutto d’un pezzo di un gigante che ha scardinato senza parsimonia le difese di ogni squadra avversaria, prende connotati diversi e si lascia andare, non troppo lontano o là dove il controllo pare superfluo, ma si lascia andare seguendo le frecce in cui giusto e buon senso capeggiano come immagini al led.
Ecco perché la breve storia emersa da un’intervista rilasciata da Batistuta sta non solo facendo il giro del web e riscuotendo successo, ma sta anche regalando (nuovamente) il lato umano di un uomo in un momento in cui, e ancora una volta, il calcio sia tutto soldi, var, arbitri, titoloni ignobili di giornale e tette al vento, nonché ruoli dirigenziali improvvisati e buoi che danno dei cornuti agli asini.  Niente di nuovo insomma.
Allora andiamo con ordine e raccontiamo questa storiella, poi teniamocela stretta che male non fa. Perché succede anche che in un periodo un po’ particolare della tua vita caschi a fagiolo e allora sai che non è il Gabriel Omar Batistuta di turno a farti capire quello che in fondo hai sempre saputo e difeso, ma sono comunque questi piccoli aneddoti lontani anni luci da te a dare forza e vento ad una ruota che gira perché “Quando sembra tutto fermo la tua ruota girerà, sopra il giorno di dolore che uno ha”…o prima o poi, gira davvero.

Giornalista: “La gente si chiede: come è possibile che il figlio di Batistuta (Joaquin 20 anni) lavori in una copisteria? Non voglio sminuire un lavoro assolutamente degno, però è qualcosa di insolito”.
Batistuta: “Che i miei figli lavorino, per me, è come poter regalare loro la dignità”. Potrei permettermi di regalare ai miei figli delle auto nuove e di lusso, ma non so quanto si sentirebbero felici, o almeno quanto potrebbe durare quella felicità. Io so che magari prendono l’auto, si fanno un giro per le vie del centro e le ragazze, o la gente, li guardano. Molti potrebbero pensare “Ah, però, guarda che auto che ha”, e questo li potrebbe imbarazzare, perché dentro di loro sanno che quell’auto non è veramente loro. Non c’è paragone col guidare un’auto magari meno bella e potente, ma di cui poter dire: “Questa me la sono guadagnata da solo”.

Le parole talvolta non servono, alleviano un po’ il dolore, soffiano sulla ferite, proiettano momentaneamente in altre dimensioni, ma non servono a cambiare le cose, a dare nuove speranze e nemmeno a voltare pagina. Il dolore fa parte del percorso, bisogna saperci convivere, bisogna riuscire ad inglobarlo in un angolo di se stessi e bisogna trovare il coraggio, la forza di ripartire, in un modo o nell’altro.
Lo sgomento di un anno fa lo ricordo bene ed è quasi lo stesso di adesso quando mi imbatto in una missiva che è una carezza sull’anima, non trovo altro modo per definire il coraggio e la purezza di un padre ed una madre che riescono ancora a sentire il battito del proprio cuore e che riescono ancora a respirare nonostante la rabbia per quella stessa vita, tanto amata, e tremendamente crudele.
Un anno fa se ne è andato Davide Astori ed io non voglio dire niente se non invitarvi a leggere le parole di una madre ed un padre che stanno compiendo un vero miracolo, ovvero andare avanti affidandosi ancora e nonostante tutto al sentimento più profondo: l’amore.

Un anno senza Davide non si può raccontare. Non esistono le parole, ma forse neanche servono, perché in fondo quello appena passato è stato un anno CON Davide, in un modo diverso e che non avremmo mai voluto scoprire, ma comunque insieme a nostro FIGLIO.

Ecco, INSIEME è la parola che vorremmo pronunciare più forte, ma non possiamo. La nostra voce oggi non è più quella che Davide ha sentito sin da bambino e forse adesso farebbe fatica a riconoscerla, perché il dolore l’ha cambiata per sempre.

Per questo non riusciamo a leggere questa lettera e affidiamo a voi i nostri sentimenti, così come tanti amici hanno fatto in questi giorni in cui il ricordo si è fatto inevitabilmente più intenso.

Per noi Davide NON È UN RICORDO che si attenua o si riaccende a seconda delle circostanze, semplicemente perché Davide non è un ricordo: Davide è una PRESENZA.

Davide è vicino a noi ogni istante. Lo vediamo nella nostra splendida nipotina Vittoria, un piccolo miracolo che ci fa trovare il coraggio di lottare contro la tristezza ogni giorno. Lo rintracciamo nelle parole di molte persone, anche sconosciute talvolta, che hanno il bisogno di testimoniarci quanto Davide sia per loro un riferimento, un esempio, a volte uno stimolo per affrontare i momenti più duri. E poi lo ritroviamo nei racconti di chi lo ha conosciuto, degli amici che hanno condiviso con lui gli attimi più felici della sua vita, racconti che ci fanno sentire ancora il suono contagioso della sua risata o quello più profondo della sua saggezza, a volte troppa per un ragazzo così giovane.

Tanti in questi mesi ci hanno detto che il nostro Davide era speciale, dotato di una GENTILEZZA rara, spesso disarmante. Ed è vero. Davide non doveva sforzarsi per esserlo, è sempre stato così, sin da bambino: naturalmente, istintivamente, gentile. Ma guai a scambiarla per debolezza o remissione: era la sua FORZA. Davide era fortissimo, era la roccia a cui aggrapparci. Per questo noi oggi cerchiamo di essere forti come lui, ma soprattutto come lui ci vorrebbe. È la nostra SFIDA quotidiana, durissima, ma ci proviamo. Grazie a Davide, che ci ha lasciato l’eredita più preziosa che si possa desiderare: un amore infinito. Quello della gente per lui, quello di Davide per la gente, ma soprattutto quello di Davide per la vita.

Continuate a ricordarlo e non stancatevi di raccontarlo. Rivederlo sorridere in una foto, osservarlo correre nelle immagini, sentirlo nei vostri aneddoti non ci fa soffrire: per noi è come RIABBRACCIARLO ogni volta“.

 

Cinquantadue meravigliosi anni, di cui una ventina circa, trascorsi nel panorama del calcio italiano a regalare sprazzi di poesia, di luce, di eleganza e di tutte quelle gesta che fanno di un uomo un campione, e di un campione un uomo: buon compleanno Roberto Baggio.
Ora posso confessarlo ma il mio primissimo amore calcistico (dopo Totò Schillaci s’intende 😂) sei stato proprio tu che con la maglia della Juventus facevi magie, e con quella della nazionale collezionavi perle balistiche trascinandoci a tutti i costi verso un sogno USA scaraventato poi in una curva qualunque ma non per questo privo di emozioni.
Pensa che per te ho odiato pure quel Del Piero lì, ai miei occhi di bimba con un destro segnato, arrivato solo per rubarti il posto, cosa voleva lui da te? E da me? Col tempo l’ho capito, ma ho capito anche che non nascerà più un altro Roberto Baggio perché Roberto Baggio è un pezzo raro di un calcio malato che si è tuffato in quegli occhi fatti di un passato semplice dal profumo di buono e che proprio lì ha saputo cibarsi di passione e di amore, amore incondizionato.
E se nei miei di occhi invece ci sono ancora decine di gol incredibili, di passaggi smarcanti, di veli, di colpi di tacco, di stop perfetti, di fantasia, di punizioni ad arcobaleno, è nelle mie orecchie, nella mia mente, sulla mia pelle che conservo la traccia indelebile di un campione che in qualche modo mi ha segnato la vita, donandomi, una delle più belle dichiarazioni d’amore:

A tutti i giovani e tra questi ci sono anche i miei tre figli. Per 20 anni ho fatto il calciatore. Questo certamente non mi rende un maestro di vita, ma ora mi piacerebbe occuparmi dei giovani così preziosi e insostituibili. So che i giovani non amano i consigli. Anche io ero così. Io però senza arroganza, stasera qualche consiglio lo vorrei dare. Vorrei invitare i giovani a riflettere su queste parole.

La prima è passione. Non c’è vita senza passione e questa la potete cercare solo dentro di voi. Non date retta a chi vi vuole influenzare. La passione si può anche trasmettere. Guardatevi dentro e lì la troverete.

La seconda è gioia. Quello che rende una vita riuscita è gioire di quello che si fa. Ricordo la gioia nel volto stanco di mio padre e nel sorriso di mia madre nel metterci tutti e dieci la sera intorno alla tavola apparecchiata. E proprio dalla gioia nasce quella sensazione di completezza di chi sta vivendo pienamente la propria vita.

La terza è coraggio. E’ fondamentale essere coraggiosi e imparare a vivere credendo in voi stessi. Avere problemi o sbagliare è semplicemente una cosa naturale. E’ necessario non farsi sconfiggere. La cosa più importante è sentirsi soddisfatti, sapendo di aver dato tutto. Di aver fatto del proprio meglio, a modo vostro e secondo le vostre capacità. Guardate al futuro e avanzate.

La quarta è successo. Se seguite gioia e passione, allora si può anche parlare anche del successo. Di questa parola che sembra essere rimasta l’unico valore nella nostra società. Ma cosa vuol dire avere successo? Per me vuol dire realizzare nella vita quello che si è, nel modo migliore. Questo vale sia per il calciatore, per il falegname, l’ agricoltore o per il fornaio.

La quinta è sacrificio. Ho subito da giovane incidenti alle ginocchia, che mi hanno creato problemi e dolori per tutta la carriera. Sono riuscito a convivere e convivo con quei dolori, grazie al sacrificio, che vi assicuro che non è una brutta parola . Il sacrificio è l’essenza della vita, la porta per capirne il significato. La giovinezza il tempo della costruzione. Per questo bisogna allenarvi bene adesso: da ciò dipenderà il vostro futuro. Per questo, gli anni che state vivendo sono così importanti. Non credete a ciò che arriva senza sacrificio, non fidatevi: è un’illusione. Lo sforzo e il duro lavoro costruiscono un ponte tra i sogni e la realtà.

Per tutta la vita ho fatto in modo di rimanere il ragazzo che ero che amava il calcio e andava a letto stringendo al petto un pallone. Oggi ho solo qualche capello bianco in più, e tante vecchie cicatrici, ma i miei sogni sono sempre gli stessi. Coloro che fanno sforzi continui, sono sempre pieni di speranza. Abbracciate i vostri sogni e seguiteli. Gli eroi quotidiani sono quelli che danno sempre il massimo nella vita ed è proprio questo che auguro a tutti voi ed ai miei figli.

Amo questa lettera.

Comunque aveva ragione Cesare…non è più domenica…

Tanti auguri Roberto Baggio 💙

Non avrei mai pensato di poter esultare con un Criiiiiiiistianoooooooo Rrrrronaldooooo e di veder combaciare le mie urla con affascinanti immagini in bianco&nero eppure da quella conferenza che mi fece capire “È tutto vero” sono trascorsi mesi di indizi ormai pronti a tramutarsi in prove. E la prova che tutto possa finalmente andare come da tempo speriamo, sei proprio tu Cristiano Ronaldo.

L’amarezza per un pareggio e per un’uscita di scena inaspettata, la fame di gol e la voglia di caricarti sulle spalle un intero popolo che non aspetta che te, la lucidità nelle analisi, l’eleganza dei tuoi gesti, il tuo marchio di fabbrica prima, durante e dopo un gol, l’esserti cucito addosso una casacca da sempre meravigliosa ma da qualche mese ancor più pezzo pregiato di un mondo che conosce la straordinarietà della tua presenza, gli obiettivi tuoi che sono di tutti, ed un amore, un affetto che probabilmente solo nei nostri più bei sogni pensavamo di poterci scambiare così, irrefrenabilmente ed incondizionatamente.

Ed oggi tu che sei l’uomo dei record per eccellenza, prendi un numero e lo aggiungi alla tua età a testimonianza di un tempo che passa e che non ha padroni se non se stesso, un tempo che però sa prendersi tutto e restituirti altrettanto se rispettarlo, accettarlo e maneggiarlo con cura rientrano ogni anno nella lista dei tuoi buoni propositi…

ed il tempo vale molto CR7 e questo ce lo insegni proprio tu che a volte in un millesimo di secondo sai trasformare la speranza in realtà e sai volare alto osservando tutto da un’altra prospettiva, da una finestra che forse fino a qualche mese fa era sempre stata chiusa, trascinando in cima quegli abili sognatori che quella vetta, fino ad oggi, l’hanno solo sfiorata.

E allora buon compleanno a te che hai scelto di affacciarti sul nostro mondo e di condividerlo…buon compleanno Cristiano Ronaldo o più semplicemente CR7 e perdona il nostro egoismo se mai come stavolta speriamo che il regalo sia tu a farlo a noi, perché insieme abbiamo nuvole e stelle da oltrepassare ed uno spettacolo da goderci. E per sdebitarci non temere, sapremo farlo al momento giusto…in fondo se ti dico standing ovation ti sovviene qualcosa?

Domenica amara per la farfalle biancorosse che nella prima giornata di ritorno incappano in una sconfitta che brucia contro una Zanetti Bergamo sicuramente alla portata delle ragazze di coach Mencarelli.
La sconfitta matura in un Palayamamay che ci prova in tutti i modi a sostenere le sue atlete, ma in poco meno di due ore di gioco le biancorosse soccombono per 3 a 1 alle loro avversarie.

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Una sconfitta indolore, la seconda stagionale: cade in piedi la Juventus di champions league di mister Allegri in terra Svizzera.
Dybala e compagni subiscono la volontà dello Young Boys e pagano carissime le loro stesse distrazioni, tant’è che al 90′ il risultato è di 2 a 1.
Potevo forse esimermi dal dare qualche numerino? No ovviamente.

Ecco quindi i miei pagelloidi targati SPORTAL.
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