Come te nessuno mai: Gimbo Tamberi campione di tutto
“Penso che un sogno così non ritorni mai più, mi dipingevo le mani e la faccia di blu, poi d’improvviso venivo dal vento rapito, e incominciavo a volare nel ciel infinito…”: vale scomodare Modugno per raccontare Gimbo Tamberi?
Vale, vale tutto oggi. Vorrei raccontarvi una cosa per spiegare Gimbo Tamberi dopo l’ennesima impresa di una carriera che è storia.
Agosto 2018: io, la mia follia, la mia fame di raccontare lo sport, ed un caro amico fotografo, saltiamo su un aereo con rotta verso Berlino, ci sono gli Europei di Atletica. Il day 6 di quella spedizione conta la finale di salto in alto maschile. C’è Tamberi in ripresa dopo il brutto infortunio patito alla vigilia di Rio, vediamo che combina. Sarà tornato quello del 2.39 record italiano?
La gara è un misto di emozioni, Gimbo lotta, eccome, la medaglia è alla portata, c’è la “cazzimma”, ma manca la brillantezza, 2.33 diventa l’Everest e a vincere è il padrone di casa, Przybylko, con 2.35. Io li sento i commenti attorno, “Non è più quello di prima”, “Non tornerà ad essere il Gimbo Tamberi che ci ha fatto sperare per un futuro top dell’atletica”, “Mi sa che ormai ce lo siamo giocati”, “Dovrebbe fare qualche sceneggiata in meno e lavorare di più”, eppure io avevo visto altro. Avevo visto un talento sotto le macerie, avevo visto il carattere di chi non conosce la parola arrendersi, la disperazione per un mancato podio, l’amore per uno sport che è sempre stato di più di una passione e di un’ossessione, saltare non era questione di vita o di morte, era di più, molto di più.
E poi ho visto gli occhi, gli angoli della bocca piegati all’in giù, le mani che gesticolano, ed un “fanculo” mega galattico che lampeggiava sulla fronte. In mixed zone c’era un Tamberi che mi raccontava le sensazioni, con i conti in sospeso in una mano e la voglia di spaccare il mondo nell’altra. “Ci sei Gimbo, la strada è “solo” lunga, ma è quella giusta, devi spostare ad una ad una le macerie che ti hanno investito, poi troverai la luce”. Mi ringraziasti, un sorriso amaro, forse un po’ per farmi contenta, e andasti via.
Quello sguardo sbarazzino e velato di malinconia mi restò dentro, ed oggi, ogni volta che ti vedo prenderti a schiaffi all’inizio di una rincorsa pennellata come in un quadro di Giotto, penso all’Everest che hai scalato a mani nude e alla luce che ti avvolge là, in cima, al cospetto di un mondo che ha capito, ha applaudito e si è inchinato.
L’Italia intera ti ringrazia perché l’atletica italiana ha trovato in te, “un capitano, c’è solo un capitano”, ma questo non basta, bisogna andare oltre, oltre le vittorie, oltre le medaglie d’oro, oltre quell’Inno che ogni volta è lacrime e pelle d’oca, perchè è solo oltre che scopri l’uomo, l’esempio, la gratitudine.
Ti siamo grati Gimbo Tamberi, ti sono grata: io l’atletica l’ho sempre amata profondamente, ma tu mi hai preso per mano e mi hai portato con te ad esplorare la luna, le stelle, il sole, hai spalancato una porta su un angolo di cielo di cui non conoscevo forma, né tanto meno esistenza. È l’angolo dei sogni che diventano realtà, delle leggende, di un libro bianco ed una penna, ma tu non ti sei limitato a scrivere la storia è la storia che ha scritto di te perché oggi la storia sei tu.
Resterai nell’Olimpo delle leggende italiane per sempre, ma sempre sempre sempre, con indosso un abito che nessuno è riuscito ad indossare in maniera così impeccabile, è l’abito del “Nothing is Impossible”, e dopo questa ennesima notte di magia ha definitivamente un altro senso…l’impossibile che diventa possibile sei tu.
Con il cuore in mano, ti dico grazie Gimbo Tamberi, infinitamente grazie.
foto Fidal
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