No, non è solo un gioco: I love football
I love football.
E lo dico oggi per l’ennesima volta, dopo l’ennesima stagione di calcio dilettanti che si chiude, dopo l’ennesima annata di salti mortali ed emozioni infinite, dopo l’ ennesima domenica fatta di mille parole, ed ennesimo magone che mi sovrasta quando mi rendo conto che da qui a tre mesi sarà tutto un po’ diverso.
È facile guardarsi indietro ora e capire come tutto possa trovare il proprio posto, vivere la settimana novanta minuti per volta, in realtà, ha sempre un significato più profondo della leggerezza che scorre poi, insieme ai titoli di coda e al sipario che cala. Le domande che hai posto agli altri, d’un tratto, ti piombano addosso e lo sai che per le risposte ci vuole tempo e pazienza, ma ancor di più ci vogliono i dettagli.
Gli occhi di quel bambino che non stava nella pelle nell’entrare in campo con bomber della prima squadra, possono bastare? Quel pres che ti abbraccia con lo sguardo commosso e ti ringrazia per esserci stata passo dopo passo, significa davvero qualcosa?
Il giocatore che la domenica sera ti scrive per un 5 di troppo e che prova a spiegarti il suo punto di vista non senza presunzione non senza umiltà, sono boccate d’ossigeno, certezze o grattacapi?
Quella coppia di nonnini così dolci che ti aspettano con la caramella in mano sono simbolo d’affetto nonché ricordo di un passato che tu non hai più?
La battuta prima di entrare in campo, per sdrammatizzare una tensione che c’è eccome, il selfie post vittoria, lo sfottò genuino, la scaramanzia che è d’obbligo, il seggiolino scomodo, il tifoso che ti tiene l’ombrello e ti offre il caffè, le storie che senti raccontare in tribuna, l’abbraccio tra due avversari che se le sono date per novanta minuti ma che poi “più amici di prima”, la testa alta di un capitano che non ne vuole sapere di mollare, nemmeno se sei sotto 3 a 0 e mancano 5 minuti, il coraggio di un mister che erge ad eroi i suoi ragazzi, difendendoli a spada tratta, la cattiveria gratuita di chi “Va beh ma sei donna, che ne sai tu” o di chi pensa di non essere sentito quando gli dai le spalle dopo la foto e mica lo sa che avete una passione in comune grande quanto una casa, le interviste del giovedì, la scelta accurata su chi mettere in luce, il “chissà se è abbastanza, chissà se ho fatto bene, chissà se questa frase è giusta così“, il vocale col collega, lo sfogo di un ragazzo che di fronte ad infortunio non sa dove aggrapparsi, la gioia di un padre che “Signorina, è il primo gol in prima squadra”, l’adrenalina dello spogliatoio che respiri non appena intravedi il campo di quella domenica…
…ma da che parte pende la bilancia?
Vorrei saperlo, ma non l’ho ancora capito. Metto tutto sul piatto poi, non appena mi scorgo per leggere i numeri, chiudo gli occhi e schiaccio sul pulsante tilt. Come un film che alla velocità della luce si ripresenta nella tua testa, rivedi tutte ma proprio tutte le immagini, del campo, dei pezzi scritti, dei chilometri percorsi, di quegli occhi neri che non saranno mai come nessun altro paio di occhi.
Da che parte pende la bilancia non lo so mai, la verità è che non mi interessa saperlo, mi bastano i brividi, i nodi allo stomaco, il rossore sulle guance ed i miei occhi bassi quando “Sei bravissima, grazie per tutto quello che fai per noi”, ed i brividi sulla pelle. E se volete misurarli provateci voi e poi fatemi sapere, io non ci sono ancora riuscita.
Ci sarà tempo per dividere gli affetti dalla necessità di avere nuovi stimoli, io dopo queste trenta faticose giornate, nonostante tutto, sto già iniziando il conto alla rovescia e vado a nanna convinta, per l’ennesima volta che no, non è solo un gioco.
I love football. I love my work.
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