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Storia di un anno che insegnò ad una matta a…volare! Waiting 2019

Ho preso in mano la lista dei buoni propositi del 2018 e non ho fatto altro che arrabbiarmi con me stessa. Ho chiuso gli occhi nella speranza di riaprirli e non trovarmi di fronte a quei 53 punti di cui meno della metà si è trasformata in cosa fatta. E le colpe, al di là di un destino che non sempre è di luna buona, sono soltanto mie. Perché se alcuni limiti oggettivi faticano a dare tregua, altri hanno la flessibilità giusta per essere deformati a tal punto da assorbire le sembianze di un sorriso che basterebbe per vedere tutto da un’altra prospettiva dando alle cose una luce nuova, filtrandole come un post su instagram che in realtà è solo un appuntamento con la propria memoria per fissare lì, in quell’angolino di anima, un ricordo che vale come punto di partenza.

Poi ho richiuso gli occhi ed ho provato a rendermi conto della vita che mi è passata addosso. 
Ho respirato ed analizzato tutto ciò che mi venisse alla mente dandomi le colpe che merito e le lodi che merito. Perché deve essere così, perché è giusto così.
Ho fatto diversi sbagli quest’anno.

Ho sbagliato quando non mi sono concessa un taglio di capelli in più, un tacco dodici in più, un libro in più, una giornata in più, solo per me, ho sbagliato quando non ho saputo valorizzare a puntino il mio lavoro, per la paura di non essere all’altezza.
Ho sbagliato quando non ho detto sì a quell’amica, o presunta tale, che in realtà aveva bisogno di un sì qualunque e non del mio, ed ho sbagliato perché avrei dovuto dimostrarle che in realtà non perdo l’equilibrio salendo le scale e lasciandola alle mie spalle, né “lei” né chiunque altro.
Ho sbagliato quando ho lasciato quel progetto a metà, prometto che lo rispolvererò.
Ho sbagliato quando non me ne sono fregata abbastanza dei giudizi altrui, ma siamo sulla strada giusta, almeno io, perché voi, beh voi siete dei poverini.
Ho sbagliato tutte le volte che non mi sono vista bella, né carina, né accettabile, né adeguata, in pratica sempre. Questa è una ferita aperta ed una lotta continua che non mi dà tregua.
Ho sbagliato perché non ho avuto abbastanza coraggio e forse questa è una delle cose che mi rimprovero maggiormente e che mi fa più male.
Ho sbagliato perché avrei potuto dire qualche grazie in più e qualche scusa in più, ah l’orgoglio, e forse avrei anche potuto concedere qualche abbraccio in più e qualche bacio in più, ma ho il cuore di pietra.
Ho sbagliato perché sono ancora troppo sensibile e questo proprio perché ho il cuore di pietra.
Ho sbagliato quando non mi sono innamorata di me stessa quelle sere in cui ho indossato il mio “vestito migliore” nella speranza che tu potessi guardare me, oltre l’intimo di pizzo intendo, guardarmi per spogliarmi di ogni mio dubbio ed insicurezza ed apprezzarmi non solo per quello che sono ma per quello che saremmo. Perché se fai qualcosa che è puramente interpretabile ecco, non puoi pretendere che dall’altra parte ci sia qualcuno che interpreti tutto esattamente come lo interpreti tu e non è nemmeno questione di illudere, è questione di non chiedere, di stare a debita distanza solo per non sapere, per la paura di un sì che scombussolerebbe la tua vita ordinaria e arida di sussulti, o di un no che al contempo ti darebbe lo stesso scricchiolio al cuore e la stessa forza per prendere una decisione che saprebbe portarti oltre, là dove i tuoi occhi non osano e la tua anima cerca ossigeno. Ma ad un certo punto, punto giusto? Punto e a capo, e così sia. È ancora non so perché il destino mi sbatta in faccia segnali al led tutte le volte in cui io dica stop, tutte le volte in cui io dica “Questa è l’ultima”, ma spero che il 2019 sia più clemente perché tutti questi segnali portano verso strade che percorse da sola sono buie, desolate, insignificanti e non arrivano mai a destinazione, mentre io ho bisogno di arrivare lontano. Da sola evidentemente, ma lontano, dove io so.

Chiudo gli occhi di nuovo e mi trema il cuore.
Mi balzano in testa le immagini di un’estate vissuta a mille, le immagini di un torneo che mi ha vista rinascere, le immagini dei concerti che mi hanno cullato e degli amici, quelli veri, che ci sono sempre stati. Le immagini di Milano di giorno e di Milano di notte (adoro), le immagini degli spritz condivisi e pregustati, le immagini di tutte le mie corse, dei miei sacrifici, l’immagine di mia madre che mi vede stanca ma felice, le immagini di una videocamera e di un microfono, le immagini di tutte le scommesse vinte talvolta con qualche mano d’azzardo. Mi trema il cuore quando penso a Berlino, a quanto ho voluto quell’esperienza, a quanto l’ho costruita tassello dopo tassello, a quanto mi sono sentita figa (per una volta) in quell’Olimpia Stadium da brividi, mi trema il cuore quando penso che io e le mie pesti siamo ancora insieme su un percorso così complicato ma così voluto e mi trema il cuore perché mi amano incondizionatamente e perché stiamo costruendo insieme qualcosa di unico che non avrà mai eguali nella vita.
Mi trema il cuore per quel sì che nella mia testa è frullato per giorni, pronunciato in maniera titubante, sussurrato quanto basta per salire su una nave rossoblù comandata da pulcini che sanno dove condurla. Ho trovato un altro posto che sa di casa.
Mi trema il cuore tutte le volte che penso alle mie notti insonni, fra pensieri e pezzi che riescono a trovare forma solo nel buio, fra un lavoro che mi succhia pure il midollo ma che è anche la più magica delle pozioni che vale scorci di felicità.
Mi trema il cuore per ogni immagine di un rettangolo verde che no, non ce la faccio, sono fatta così, sono matta così. Ogni minuto di quei novanta minuti ha le stesse emozioni della prima volta, ha le stesse emozioni dell’ultima volta e quella passione che se tradotta in litri traboccherebbe pure dalle damigiane di un paradiso di vino, resta sempre il mio orgoglio più grande. Dio benedica mia nonna o chiunque me l’abbia trasmessa perché è il più bel difetto di fabbrica che io abbia.
Poi mi balzano alla testa le immagini di uno specchio a forma di maryseven.it, uno specchio da maneggiare con cura ma che non incute più timore: riuscire ad aprirsi, a confrontarsi, a raccontarsi è un processo lento e faticoso, ma io so che sono nata per domarla quella fatica.
E poi ancora ci sono le immagini di te che mi chiami zia per la prima volta ed io che mi sciolgo, le nostre mani che si intrecciano, i tuoi giochi, i tuoi occhietti furbi, le canzoni che dondolano te, alle prese con la nanna, me, alle prese con l’amore che non conoscevo. E come se non bastasse, voilà: tutto elevato al quadrato, perché la vita mi ha dato due opportunità per rinascere e quelle opportunità siete voi, voi che siete tutto l’amore del mondo ed io che per una volta riesco a sentirmi amata come non mai. Riky del mio cuore, Lorenzino del mio cuore, per sempre.

E così tracciamo la linea, voltiamo pagina come si suol dire.
Alla luce di tutto questo non faccio altro che rendermi conto di ciò che sono: un casino vivente. Scombussolata, strampalata, ironica, pazza, orgogliosa, disordinata, insicura ma allo stesso tempo decisa, ammaccata, ferita, delusa, semplice, onesta, ma con una forza incredibile. Mi crogiolo in questo e vado avanti. A testa alta e con il mio sorriso.
Vera più che mai, pura, uragano fra la tempesta.
Ho ancora tanta troppa voglia di scalare le montagne.
Non soffro più di vertigini.
Fammi volare 2019.

Un passo indietro ma solo per prendere le rincorsa“.

Doing what you like is freedom, loving what you do is happiness”.

2 commenti
    • Mary
      Mary dice:

      Saró pure instancabile ma intanto stamattina ci vorrebbe una gru per alzarmi dal letto 😂😂grazie tesoro, tvb e spero di vederti presto 😘

      Rispondi

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