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Yeman Crippa e diecimila metri che fanno il solletico alla vita

Ho letto che un passo di una persona alta circa 1.70 corrisponde a 60 centimetri, questo significa che per compiere mille metri servono circa 1667 passi, moltiplicato per diecimila si arriva a 16.670. Ora io non sono quanti ne abbiamo compiuti Yeman Crippa ieri sera quando si è laureato campione europeo in questa disciplina, ma credo saranno una piccolissima parte rispetto a quelli fatti dal 2003 ad oggi. Ed il 2003 non è il suo anno di nascita, ma il suo anno di rinascita.

Il 2003 è l’anno in cui Yeman ed altri otto bambini (fratelli e cugini) iniziano ad essere portati in Italia dall’orfanotrofio a 300 km da Addis Abeba, in Etiopia. Quest’operazione durerà cinque anni e sarà mossa da un gesto d’amore straordinario ad opera di Roberto Crippa e Luisa Fricchione, una coppia di coniugi milanese che decide di allargare a vista d’occhio la famiglia. Yeman e Nera sono i fratelli più grandi, poi Kalamu, Gadissa, Mekdes, Elsa, Asnakec, Mulu, e Uonishet, nove, i figli erano nove, Uonishet purtroppo non c’è più a causa di un incidente in Etiopia avvenuto qualche anno fa.

Come si fa con tutti questi bimbi in casa e tante bocche da sfamare? “Il cibo non è mai mancato e per fortuna la nostra abitazione aveva diverse stanze, ma sui vestiti abbiamo optato per il riciclo, le marche non erano ammesse, non si andava a sciare in inverno, nessuna vacanza eccessivamente costosa d’estate, io credo che sei sobrio i soldi te li fai bastare anche se sei un agente di commercio prima ed un badante poi“, ha affermato il signor Crippa nel 2008 (fonte repubblica.it) quando il Presidente Mattarella ha voluto premiarli con l’onorificenza italiana per lo straordinario gesto di solidarietà.

Poi succede che le cose non sempre vanno come le hai programmate, i genitori si separano, la famiglia si trasferisce in Trentino ma basta l’amore per non gettare ombre su un futuro che da incerto aveva ritrovato la luce. Ognuno di questi ragazzi, oggi, ha imboccato la sua strada, c’à chi fa il cameriere, chi la commessa, chi la parrucchiera e chi l’atleta. Anche Neka lo è. Yeman è nel gruppo delle Fiamme Oro e dopo il calcio ha scelto l’atletica, mentre l’atletica sceglieva lui. Correre per scappare, correre per andare lontano, correre per sentirsi vivo e divertirsi. “Non mi accontento di questo bronzo – ha dichiarato ai campionati europei di Monaco dopo il terzo posto nei 5.000 – vedrete nei 10.000, ci sarà da divertirsi”. Così è stato. Con quel finale che era tutto un programma o forse un destino già scritto. Il resto lo hanno fatto l’esultanza alla Ronaldo, i “muscoli alla Marcell Jacobs che io non ho” ed il giro d’onore con il tricolore sulle spalle. In un’estate di Inno d’Italia cantato più e più volte a squarciagola, questo forse, lo abbiamo sussurrato appena. Aveva il sapore della rivincita, non tanto sul norvegese o sui due atleti francesi bruciati nel finale, quanto sulla vita, una vita che Yeman Crippa ha saputo rimodellare a forma di un paio di labbra con gli angoli all’insù.

C’è un amore che smuove il mondo, diecimila metri fanno appena il solletico.

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foto GRANA/Fidal

gimbo tamberi

L’urlo di Munich: sopra ogni cosa, Gimbo Tamberi

Sdraiatevi per terra, tenete gli occhi ben aperti e poi ditemi cosa vedete a 230 centimetri dalla punta del vostro naso. Il soffitto potrebbe non essere troppo lontano, in questo periodo dell’anno troverete sicuramente qualche insetto che svolazza da quelle parti, magari pure un sogno potrebbe passare di lì e non vi basterà allungare la mano per afferrarlo. Se la stessa domanda la facessi a Gimbo Tamberi io so cosa risponderebbe: lui a 230 centimetri da terra trova sempre e solo una cosa, trova il filo a cui è appesa la sua esistenza. Saltare oltre non è questione di vita o di morte, è molto di più.

Gimbo Tamberi ha una storia che parla per sé e che racconta l’inimmaginabile, racconta la perseveranza, i sogni infranti e defibrillati quando la linea sembrava già piatta, racconta la bellezza e la fatica dell’impossibile e di un eroe che quell’impossibile decide di appallottolarlo e gettarlo in un cestino. E tutte le volte che scende in pista aggiunge una pallina di carta in più a quel secchiello ormai strabordante.

L’urlo di Munch, ieri sera, è diventato l’urlo di Munich e ancora una volta a prendere fiato a pieni polmoni e a gridare più forte di tutti è stato Gimbo Tamberi, l’uomo delle mission impossible. E con lui lo hanno fatto quelli che lo hanno amato dalla prima volta e quelli che hanno imparato ad amarlo nel tempo, credendo in un talento smisurato, in una abnegazione fuori dal comune ed in un’espressione un po’ sfacciata giudicata forse troppo in fretta agli albori di una carriera che finalmente mette d’accordo tutti.

Il volo pindarico costruito in una Monaco 2022 buia ha acceso nuovamente la luce, è andato oltre il covid, la pedana bagnata, gli acciacchi di una stagione imperversa e come sempre ha trovato la rima baciata in un mood mentale che ora fa scuola. Gimbo Tamberi è il più classico dei campioni moderni che ha saputo coltivare il talento, diversamente non saremmo qui a raccontare di lui; ed intanto lui racconta di noi, indossa la maglia azzurra, ci abbraccia e ci trascina a soffrire di vertigini: amarlo, adesso, non basta più, dobbiamo essergli grati di tutti i posti qualunque in cui ci porta e che con la sua energia trasforma in magici.

“Capitano mio capitano”, che dispensa saggezza e sorrisi e discorsi da “Polase scansati proprio” ad ogni spedizione, anche la forza di gravità si è dovuta arrendere alla sue ali ed io darei qualcosa di più prezioso dell’oro che ha al collo per poter scrivere il suo libro, la sua storia, che altro non è che la storia di un ragazzotto marchigiano che semplicemente ce l’ha fatta.

Nella foto Francesca Grana/Fidal, emozioni, olio su tela.

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